Mentre scrivevo il titolo di questo libro, mi sono ricordato, con un piacevole sussulto, che il titolo della mia tesi di laurea era: “La stupidità emotiva”.
Sono rimasto colpito da questo accostamento che segna un lungo percorso di pensiero che va da una prima ipotesi, che pone le emozioni come turbamenti dell’anima – capaci di renderci stupidi – all’altra ipotesi, in cui sono i pensieri – soprattutto quelli nascosti e invisibili – a produrre i turbamenti emotivi. Questo capovolgimento di idee mi ha portato a rivedere anche la funzione delle emozioni, che diventano così, un mezzo prezioso ed unico, capace di farci raggiungere quei pensieri invisibili che le producono: si apre, in questo modo, la strada ad una concezione del tutto nuova della psicoterapia. Nel primo libro di questa collana “Fra scienza e fede”, ho trattato ampiamente il problema della percezione ed ho definito i pensieri “combinatorie di percezioni”. Ora affronteremo l’altro arduo fenomeno del come la mente reagisce al flusso di percezioni che vengono dal mondo esterno. Se focalizziamo la nostra attenzione su quello che automaticamente facciamo dinanzi ad ogni oggetto percepito (un albero, un cane, una casa ecc), ci rendiamo conto che la nostra mente esprime giudici e la natura di tali giudizi è di due tipi: giudizi che “si limitano a costatare” l’esistenza di un oggetto e giudizi che “valutano” questo oggetto come buono o cattivo, utile o inutile ecc. Rimandando alle osservazioni fatte in precedenza circa la natura delle percezioni, vi invito ad esaminare insieme a me QUESTA COMUNE ESPERIENZA DEL GIUDICARE. Poiché possiamo affermare, senza timore di smentite, che siamo tutti esperti nell’arte del giudicare, mi permetto di pensare che vi sia facile concordare con me, sull’idea che i giudizi si distinguono in giudizi “costatativi” e giudizi “valutativi”. Partendo da questo presupposto, io sostengo la tesi che inizialmente i giudizi siano tutti costatativi, ma sotto la spinta “focalizzante” di un bisogno o di un desiderio: fame, sete, desiderio sessuale ecc., quello che era un oggetto meramente esistente, diventa anche un oggetto buono o cattivo, a secondo che sia ritenuto adatto o no a soddisfare un mio bisogno o un mio desiderio. La mia tesi è che, su una base uniforme di giudizi costatativi, la nostra mente elabora giudizi di valore, in base ai bisogni del corpo o in base ai desideri che nascono da quel grande libro mastro della nostra memoria, che registra e codifica tutte le esperienze secondo un codice valutativo di bene e di male. Tale memoria codificata è la base dei desideri e della trasformazione di una miriade infinita di giudizi costatativi in giudizi valutativi. Per non complicarci la vita e per rendere più semplice la spiegazione, partiamo dalla trasformazione dei giudizi costatativi in giudizi valutativi in base al bisogno fisico.
Attingiamo alla nostra esperienza quotidiana: di fronte ad una tavola imbandita noi vediamo, distinguiamo, costatiamo ogni genere di vivande che, se non abbiamo fame, hanno la stessa valenza di un muro o di un tavolo ecc, ma tra cui, se abbiamo fame, noi cominciamo a valutare ciò che è più utile e buono per noi, o ciò che ci piace di più. La stessa cosa accade se costatiamo di essere accanto a speciali esseri viventi che chiamiamo uomini, che poi distinguiamo in maschi e femmine, e fin qui ogni nostro giudizio è meramente constatativo, nel senso che si limita a registrare l’esistenza di questi due gruppi. Ma, se io, maschio, sono in preda ai miei bisogni sessuali, io trasformo la mia costatazione di avere di fronte un essere femminile in una valutazione della possibilità di poter soddisfare o no il mio bisogno; e da questa prima valutazione, deriveranno tutte le altre valutazioni, che emergeranno come acqua sorgiva dal grande pozzo delle mie convinzioni, e che avranno il potere (perdonate questa anticipazione) di guidare la mia mente focalizzando la mia attenzione. Ma facciamo un passo indietro… vi prego di seguirmi nel ragionamento: dato che è il mio bisogno che mi fa passare da una costatazione ad una valutazione, saranno le valutazioni di ciò che è bene e ciò che è male che mi spingeranno ad agire per soddisfare il mio bisogno o per evitare un maggiore squilibro. Quindi, dopo ogni valutazione si passa ad un’azione di aggressione o di fuga (sto semplificando). La mia tesi è che, dopo un giudizio valutativo, noi mettiamo in moto quel complicato meccanismo automatico che chiamiamo emozioni, dal latino e-moveo = “muovere da”; ovviamente, muovere da uno stato di quiete che ci è dato dai giudizi costatativi, a uno stato di movimento messo in moto dai giudizi valutativi. Per sintetizzare, possiamo affermare che vengono prima i pensieri, o meglio, i giudizi valutativi e poi le emozioni.
A mio parere, dietro le emozioni si nasconde una intelligenza, una razionalità invisibile il cui canale di accesso è dato proprio dalle emozioni. Le emozioni (emozioni per me è qualsiasi stato d’animo) non sono, quindi, dei disturbi o dei segnali di mal funzionamento del nostro apparato psichico, ma segnalatori preziosi, capaci di farci accedere ai pensieri e ai giudizi inconsapevoli, che si aprono una via di accesso alla consapevolezza proprio tramite le emozioni. Per rendere più comunicabile questo concetto sono abituato, nei miei seminari o nelle mie conferenze, a ricorrere all’esempio del cruscotto delle nostre macchine: sul cruscotto della macchina ci sono segnalatori luminosi che si accendono solo per segnalarci cose che noi non possiamo controllare direttamente con i nostri occhi; per es. quando comincia a mancare la benzina, si accende il segnale luminoso della benzina: è un segnale prezioso, perché ci permette di non rimanere fermi; noi non possiamo vedere il livello della benzina, perché il serbatoio è nascosto alla nostra vista: il segnale luminoso ci consente di vedere ciò che non possiamo vedere. Se consideriamo le emozioni come i segnali luminosi di un cruscotto, possiamo dire, allora, che esse ci consentono di vedere direttamente, e di rendere consapevole ciò che sfugge alla consapevolezza. In sintesi, le emozioni possono essere definite la porta di accesso all’inconsapevole, all’invisibile. Inoltre, possiamo affermare che le emozioni non sono un “corpo” a sé, e l’uomo non nasce emotivo, cioè ansioso, depresso, triste, aggressivo, calmo ecc., come fanno pensare sia il senso comune che il tipo di terapia psichiatrica che dà pasticche per modificare le emozioni indesiderabili e invalidanti o, ancora, le varie forme di psicoterapia che, comunque, si prefiggono lo stesso scopo: eliminare le emozioni indesiderabili. Per la psichiatria e la psicologia, infatti, le emozioni sono proprio invalidanti, e tutto lo sforzo di queste due discipline è concentrato nell’aggiustare questo meccanismo, che viene visto come qualcosa di autonomo rispetto ai giudizi o ai pensieri in genere. In breve, la psicologia e ancor di più la psichiatria non vedono il rapporto di dipendenza delle emozioni e di ogni stato d’animo dai pensieri. La posizione della psichiatria e della psicologia, per me, è sorprendente, in quanto ritengo che anche una semplice e banale riflessione sulle nostre comuni esperienze quotidiane, dovrebbe essere sufficiente per inficiare la tesi dell’emozione non dipendente dai pensieri. Spero di non annoiarvi e, ancor più, spero che voi mi seguiate in questa riflessione sulla seguente e banale esperienza, che può essere comune a tutti. Se, durante la notte, sento un rumore improvviso, e se mi limito a costatare che è solo un rumore, il mio animo rimane quieto, cosicché, se non ho niente da fare, mi addormento; se invece penso e valuto che quel rumore è stato provocato da un ladro, allora il mio stato d’animo p di chi è teso ed è sul chi va là; se passo poi ad una ulteriore valutazione, e cioè che di fronte ad un ladro non ho la possibilità di difesa, io non posso fare a meno di aver paura (esperienza questa che, a rifletterci bene, è comune a tutti). Quindi la sequenza è: pensieri o, meglio, giudizi valutativi di pericolo = stato emotivo di paura, panico ecc. e non viceversa, cioè: paura, panico e poi pensieri o giudizi che riguardano la paura. Ad essere più precisi e a voler seguire tutta la sequenza, dovremmo dire: pensieri o giudizi valutativi di pericolo o altro causano lo stato emotivo che chiamiamo ansia o panico e, a questo punto, è l’ulteriore valutazione che diamo allo stato emotivo chiamato ansia o panico, a determinare un avvitamento in un circuito vizi...