Il Diavolo
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Il Diavolo

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In questo esaustivo libro di Arturo Graf c'è tutto (ma proprio tutto) sul Diavolo e ciò che lo riguarda: l'origine, le gerarchie, la tentazione, le truffe, l'infestazione, gli amori, i patti, la magia, l'inferno, ecc. In questa curata edizione il testo è stato prudentemente normalizzato nella forma.

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788835335634

IL DIAVOLO RIDICOLO E IL DIAVOLO DABBENE

Satana si mostra sotto due diversi e contrari aspetti, di vincitore e di vinto. Vincitore, egli appare terribile, e riempie gli animi di orrore e di paura; vinto, appare soltanto vituperoso, e provoca il disprezzo e il riso. Allora, coloro stessi che hanno tremato al suo nome, si rinfrancano, e allegramente si fanno beffe di lui. Bisogna notare ancora che, indipendentemente dalle disfatte cui soggiaceva troppo spesso, Satana, nel concetto popolare, non poteva serbare intera la terribilità sua, ma doveva assumere, in certe determinate condizioni, un carattere più mite, e starei per dire più umano. Il popolo, tratto dall’indole del suo pensiero, e più da un bisogno dell’anima, ha sempre famigliarizzato, più o meno, i suoi numi. Le plebi cristiane fecero scendere di cielo in terra, andar gironi pel mondo, entrare nelle case degli uomini, assidersi alle lor mense, attendere a mille svariate faccende, non pure gli angeli e i santi e la stessa Vergine Maria, ma ancora Gesù Cristo e Dio Padre. Come non avrebbero esse dato talvolta un consimile carattere di famigliarità al diavolo, a quel diavolo che essi credevano fosse continuamente in mezzo a loro, e il cui nome ricorreva così frequente nei loro discorsi? In un grandissimo numero di credenze e di fiabe popolari noi vediamo comparire un diavolo profondamente diverso da quello dei teologi e delle leggende ascetiche, un diavolo che ha figura e indole d’uomo, ha una casa come hanno gli uomini, faccende e brighe quali potrebbe avere un agricoltore o un artigiano; un diavolo che mangia, beve e veste panni, è qualche volta indebitato, qualche altra ammalato, e nulla più, o ben poco, serba di diabolico. Questo diavolo ammansato non si chiama più con nomi solenni o terribili, ma con nomi, umili, ridicoli gli uni, quasi carezzevoli gli altri: Farfanicchio, Fistolo, Berlic, Farfarello, Tentennino, Culicchia, Ticchi-Tacchi in Italia; Old Nick, Gooseberry in Inghilterra; Don Martin o Martin Piñol in Spagna, e così via.
Durante tutto il medioevo l’aspetto sotto cui si rappresenta il diavolo, se ha del terribile, ha più del ridicolo. Si veda come, non immaginando di suo capo, ma seguitando la tradizione, Teofilo Folengo dipinge il diavolo Rubicano nella decimottava maccheronea del Baldo:
Ille super lapidem ventosis fertur ab alis,
Quæ sunt de guisa veluti gregnapola gestat.
Quattuor in testam fert stantes vertice cornas,
Instar montonis tortas, dependet aguzzus
Nasus, qui semper vomit atro sulphure flammas.
Plus asini longas hinc inde volutat orecchias.
Deque cavernosis oculis duo brasida volgit
Lumina, nec minor est muso sua bocca lupino,
Extra quam dentes ut porcus grignat aguzzos.
Barba velut becchi marzo de sanguine pectus
Imbrattat, quo testa canis stat ficca tesini,
Quæ semper bau bau faciens sua labra biassat.
Vergognosa caput serpentis pars sua vibrat
Sibila, sed retro dependet cauda leonis.
Gambæ subtiles pedibus gestantur ochinis,
Undique sulphureum da corpore mittit odorem.
Baldo e i compagni, vedendo gli scambietti e sberleffi suoi, schiattano dal ridere.
Né i demoni son sempre torvi e dispettosi; anzi ridono volentieri fra loro, e talvolta eccitano al riso gli uomini, con lazzi e capestrerie da buffoni. Un sant’uomo, ricordato da san Gerolamo, vide un giorno un diavolo che sgangheratamente rideva. Chiestagliene la ragione, quegli rispose che un suo compagno diavolo, il quale stava seduto sullo strascico di una donna, era tombolato per terra nel momento che, dovendo passare un luogo fangoso, la donna s’era tirata su la veste. San Caradoc, essendosi un giorno stancato a lavorare, si tolse la cintura e la tonaca e le gettò in un canto. Venne il diavolo furtivamente e tolse la cintura con la borsa che v’era appesa. Andato il santo per riprenderle, non le trovò, e vide poco lungi il demonio che ruzzava allegramente.
Il diavolo ridicolo è anche un diavolo rimminchionito, al quale si possono dare a intendere le più gran panzane di questo mondo, che si lascia abbindolare da false promesse, non vede i tranelli che gli si tendono, e dà spesse volte prova della più strana e più supina ignoranza. D’ingannatore, egli si tramuta in ingannato, e dove soleva guadagnare, perde. Il primo e maggiore inganno gli è fatto da Dio. Secondo alcuni Padri, l’opera della redenzione non fu se non una divina e solenne frode ordita ai danni del nemico, il quale fu preso come un pesce all’amo, con l’esca della croce. Il diavolo s’immaginò di potere aver l’anima di Cristo in cambio delle anime degli uomini, e perdette queste, senza potere guadagnar quella. In più di una novellina popolare si vede Dio ingannare il demonio con promesse e concessioni di cui questi non può in nessun modo giovarsi.
Così ancora lo ingannano i santi e gli uomini comuni. Un giorno, in una caverna, Virgilio mago trova un demonio, il quale per arte di negromanzia era stato chiuso in un foro suggellato. Il demonio prega il poeta di liberarlo da quell’angustia, e il poeta acconsente, a patto ch’ei gli insegni la magia. Tolto il suggello, il demonio esce fuori, e mantiene la promessa; ma allora Virgilio mostra di dubitare ch’ei potesse capir veramente in così angusta prigione. Il demonio, per farlo certo, ci si raccoglie nuovamente dentro, e Virgilio, chiuso il foro come prima, se ne va pei fatti suoi. Pressappoco allo stesso modo, Paracelso trasse fuor da un abete un diavolo, e poi ve lo fece rientrare, dopo avere ottenuto da lui una medicina che sanava tutti i mali, e una tintura che mutava ogni cosa in oro.
Altri inganni si hanno in numerosi racconti popolari. Un contadino si obbliga di dar l’anima al diavolo, a patto che questi gli costruisca una casa, o gli ari un campo, o gli renda altro servigio, prima che il gallo canti. Il diavolo si pone all’opera tranquillamente; ma quando egli sta per finire, il contadino con qualche sua astuzia induce il gallo a cantare, e quegli è forzato di partirsi, senza aver premio alcuno della sua fatica. Il diavolo, in beneficio di tale o tale città, costruisce un ponte, con la condizione che l’anima del primo che vi passerà sopra gli abbia ad appartenere. Costruito il ponte, ci si fa passar sopra un cane, o altro quadrupede, e il diavolo deve contentarsi di quella preda. Di più d’uno si racconta che, invece dell’anima e del corpo, lasciò al diavolo l’ombra. Il diavolo insegnava una volta magia nella città di Salamanca. Egli aveva dichiarato ai suoi uditori che, a corso finito, avrebbe tolto in pagamento, anima e corpo, colui che rimarrebbe ultimo nell’aula. Venuto il giorno stabilito, gli uditori traggono a sorte chi debba soddisfare il debito. Rimane ultimo uno studente, il quale al diavolo, che sta per ghermirlo, addita l’ombra propria sul muro. Il diavolo, stimandola persona, s’avventa per acciuffarla, e intanto lo studente se la svigna. Questa novelletta diede argomento a una poesia di Teodoro Körner. Nel noto romanzetto del Chamisso il diavolo si toglie l’ombra di Pietro Schlemihl, ma sapendo ciò ch’ei si fa.
La dabbenaggine e la credulità di certi diavoli minori passano ogni limite. Il trovatore francese Rutebeuf, già ricordato, narra di uno, che pensandosi di raccogliere in un sacco l’anima di un villano moribondo, raccolse... un’altra esalazione. È celebre il diavolo di Papefiguière, di cui racconta le miserevoli avventure il Rabelais. Di grandissima dabbenaggine danno pure esempio i diavoli che vengono sulla terra a prendere moglie, come quel Belfagor, di cui narrano la storia il Machiavelli e lo Straparola, e quell’altro di una novella popolare spagnola, chiuso dalla suocera in un fiasco, e abbandonato sulla cima di una montagna.
I diavoli che Dante trova nella quinta bolgia del cerchio ottavo, se hanno del terribile, hanno anche del comico, sia nell’aspetto e negli atti, sia nei nomi. Essi sono Malacoda, Scarmiglione, Alichino, Calcabrina, Cagnazzo, Barbariccia, Libicocco, Draghignazzo, Ciriatto, Graffiacane, Farfarello, Rubicante, e hanno per giunta il nome collettivo di Malebranche. Essi stringono la lingua coi denti per far cenno al loro duce, come è usanza dei monelli, e il loro duce fa trombetta di ciò che non occorre rammentare. Si lasciano ingannare da Ciampolo, o chi altri si sia il famiglio del buon re Tebaldo, e due di loro, Alichino e Calcabrina, si azzuffano per ciò, e cadono nel bel mezzo del bollente stagno, d’onde i compagni li traggono coi raffi. Somigliantissimi a questi di Dante sono i diavoli che si vedono trescare per entro ai Misteri e alle Moralità del medioevo e della Rinascenza, e l’officio principale loro è quello di far ridere gli spettatori, con l’aspetto buffonescamente mostruoso, coi lazzi e con le smorfie, rincorrendosi e picchiandosi sulla scena. Essi appaiono frequentissimi in drammi di sacro argomento francesi, inglesi, tedeschi; molto meno nelle Sacre Rappresentazioni italiane.
In un Mistero francese composto nella seconda metà del secolo XV da Arnoul Greban, e intitolato La nativité, la passion et la résurrection de N. S. Jésus-Christ, Mistero che conta 34574 versi e non meno di 393 personaggi, sono parecchie scene in cui i demoni hanno parte assai ridicola. Saputo che il mondo sta per essere redento, Lucifero fa convocare a suon di tromba tutti i demoni: chi non risponde alla chiamata, chi manca al consesso, è frustato senza pietà, trascinato sulle natiche attraverso l’inferno, immerso sette volte nel più profondo del pozzo infernale. Satana, di ritorno dalla terra, ove non ha potuto in modo alcuno nuocere a Cristo, è scamatato a dovere, sebbene si appelli all’inferno tutto. In un’altra scena, Satana, Astarot e Berich sono presenti all’ascensione di Cristo; ma Satana solo può dire d’averla veduta. Astarot, quando vuole alzar gli occhi al cielo, cade riverso con le gambe all’aria, e Berich riceve un gran picchio sul capo. Si risolvono di tornare in inferno, sebbene sappiano qual festa li aspetti:
Astarot: Ce ne sera pas sans sentir
des miches de nostre couvent.
Berich: Bé! nous en sentons bien souvent,
par quoy ne m’en fait point si mal.
Un’altra volta Satana è legato con catene arroventate e trascinato per l’inferno: Lucifero gli domanda se suda. Nel Mistero di San Desiderio, composto circa quello stesso tempo da Guglielmo Flamang, i diavoli escono in vantamenti ridicoli, adoperando un linguaggio ridicolo e sconcio. In un altro, intitolato Pierre le changeur marchand, i diavoli, vedendosi tolta per intercession della Vergine un’anima, inveiscono arrabbiati e confusi contro Dio, che pronunziò sentenza a loro sfavorevole:
Autrement ne l’oseroit faire,
Et s’il le faisoit, abatuz
Seroit de sa mère et batuz
Dessus ses fesses.
In un Mistero tedesco della Passione Lucifero parla ai demoni della caduta sua e loro e della superbia che ne fu la causa; ma quelli lo ingiuriano e lo picchiano, perché non vogliono udir prediche. In un altro Mistero tedesco, intitolato la Resurrezione di Cristo, e composto nel 1464, Lucifero, dopo aver veduto spogliato il suo regno dal Redentore, è messo in una botte e legato con catene. Satana e gli altri demoni si partono in busca di anime da predare; ma, partiti appena, Lucifero li richiama, e tanto si sgola per farsi udire da loro che gliene viene mal di capo. Ritornati quelli, Lucifero non sa più perché li abbia chiamati, ed essi lo rimproverano e si dolgono delle anime perdute. Satana si mette di nuovo in viaggio, e prolungandosi l’assenza di lui, Lucifero comincia a essere in angustie, e a temere di qualche disgrazia. Sarebbe egli ammalato? l’avrebbero per caso accoppato? Finalmente Satana ritorna, portando l’anima di un ecclesiastico, e Lucifero a ridere, meravigliandosi che capitino in inferno coloro che dovrebbero guidar gli altri in paradiso; ma l’astuto ecclesiastico gli risponde per le rime, e lo assorda con le parole per modo, che quegli ordina di lasciarlo andare al più presto.
Ricorderò ancora una commedia spagnola, dove il diavolo fa assai trista figura, El diablo predicador, d’ignoto autore. La commedia è del secolo XVII, ma assai più antica di certo è la novella che le dà il soggetto. Il diavolo ha con sue arti messo in mala vista della popolazione un convento di francescani nella città di Lucca. I poveri frati sono a mal partito, quando l’arcangelo Michele scende di cielo col bambino Gesù in braccio, e ordina al calunniatore di riparare al mal fatto, e di riporre i calunniati nella riputazione di prima. Si può immaginare con che gusto il diavolo eseguisca il comando.
Il diavolo Scarapino, che il Boiardo descrive in un luogo dell’ Orlando Innamorato, appartiene alla famiglia dei diavoli ridicoli:
Era un demonio questo Scarapino,
Che de l’inferno è proprio la tristizia,
Minuto è il giottarello e piccolino,
Ma bene è grosso e grande di malizia;
A la taverna, dove è miglior vino,
O del gioco e bagascie la divizia,
Nel fumo de l’arrosto fa dimora.,
E qua, tentando ciaschedun, lavora.
Alla stessa famiglia appartengono i diavoli che Lorenzo Lippi introdusse nel suo Malmantile.
La derisione che colpiva il diavolo doveva, o prima o poi, naturalmente, colpire anche certe cose che si supponeva avessero stretta attinenza con lui, fossero da lui favorite e promosse: la magia e le strane sue pratiche. E questa derisione comincia appunto a farsi sentire quando cominciano a imperversare i processi contro le streghe. Nessuno la fece sonar più alto di Teofilo Folengo, l’arguto, immaginoso e festevole autore del Baldo, il principe dei maccheronici (1496-1544). Nella maccheronea VII di questo poema egli si burla dei domenicani, cui era affidata la inquisizione, e dice essere loro officio porre le streghe a cavallo degli asini,
Officiumque gerunt asinis imponere stryas.
Nella maccheronea XXI descrive in modo oltre ogni dire ridicolo l’officina, la scuola, il lupanare delle streghe, nel regno di Culfora, e si scusa di non dire tutto ciò che sa, trattenuto dalla paura degl’inquisitori, i quali potrebbero giudicarlo degno della mitera e del rogo. In una scena della sua Cortegiana, Pietro Aretino introduce l’Alvigia a piangere la morte della maestra sua, una vecchia strega che l’Inquisizione fa abbruciare; che era tenuta “una Salamona, una Sibilla, una Cronica da sbirri, da osti, da facchini, da cuochi, da frati e da tutto il mondo”; che osservava tutte le vigilie, e che a lei, sua scolara, lascia tutte le sue masserizie e le cose del mestiere: un’ampolla piena di lacrime d’amanti, carta non nata, orazioni da far dormire, ricette da far ringiovanire, un diavolo chiuso in un orinale, ecc. ecc. In una scena della Spiritata del Lasca dice il Trafela: “Come altri s’intabacca e comincia punto a credere a malie e streghe, agli spiriti e agl’incanti, si può dir ch’ei sia l’oca”; e spesso i negromanti e le operazioni magiche sono argomento di celia nelle commedie e nelle novelle nostre del Cinquecento.
Quel capo ameno (per non dirgli altro) di Benvenuto Cellini racconta nella sua Vita una curiosa storia, che fa molto al proposito nostro, e che qui non può essere passata sotto silenzio. Egli aveva, per certe diverse stravaganze, presa amicizia in Roma con un prete siciliano, di molto ingegno, di gran sapere, e assai profondo in negromanzia. Confidato a costui come tutto il tempo di vita sua avesse avuto grandissimo desiderio di vedere o udire alcuna cosa di quell’arte, n’ebbe promessa che ogni sua voglia sarebbe stata appagata, se si sentiva d’animo forte e sicuro, quale richiedeva l’impresa. Una notte, tolti con sé due compagni, se ne andarono nel Colosseo, e quivi il prete, paratosi secondo l’usanza, cominciò a disegnar circoli in terra, a bruciar profumi, a fare scongiuri, e quanto altro abbisognava. Dopo un’ora e mezzo che queste cerimonie duravano, comparvero parecchie legioni di diavoli, tanto che il Colosseo n’era pieno, e Benvenuto, invitato a domandar qualche cosa, domandò di poter essere con la sua Angelica siciliana. Per quella notte non ebbe risposta, e il prete gli disse che bisognava tornarvi un’altra volta, e ch’ei menasse con sé un fanciulletto vergine. Così fu fatto. Ricominciate le cerimonie e ripetuti gli scongiuri, più solenni quelle e più terribili questi, non andò molto che il Colosseo fu pieno di cento volte più diavoli che non ne fossero apparsi la prima fiata. Benvenuto rifece la sua domanda, e n’ebbe risposta che in capo di un mese il desiderio suo sarebbe appagato; ma, tanto era il numero dei demoni, e così minaccioso l’aspetto loro, che il prete cominciò a smarrirsi e a tremare, e con lui i compagni, e Benvenuto medesimo. Il negromante allora cominciò a usare modi dolci e soavi, per vedere di licenziare quei maledetti, e raccomandò di b...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. IL DIAVOLO
  3. Indice
  4. Intro
  5. A EDMONDO DE AMICIS
  6. ORIGINE E FORMAZIONE DEL DIAVOLO
  7. LA PERSONA DEL DIAVOLO
  8. NUMERO, SEDI, QUALITÀ, ORDINI, GERARCHIA, SCIENZA E POTENZA DEI DIAVOLI
  9. IL DIAVOLO TENTATORE
  10. BURLE, TRUFFE, SOPRUSI, ANGHERIE E VIOLENZE DEL DIAVOLO
  11. L’INFESTAZIONE DIABOLICA
  12. AMORI E FIGLI DEL DIAVOLO
  13. I PATTI COL DIAVOLO
  14. LA MAGIA
  15. L’INFERNO
  16. ANCORA L’INFERNO
  17. LE DISFATTE DEL DIAVOLO
  18. SEGUITANO LE DISFATTE DEL DIAVOLO
  19. IL DIAVOLO RIDICOLO E IL DIAVOLO DABBENE
  20. LA FINE DEL DIAVOLO
  21. Ringraziamenti