1.
«Qui io siedo ed attendo; mi circondano vecchie tavole infrante, e nuove tavole a metà scritte. Quando giunge la mia ora?
— L’ora del mio tramonto, della mia distruzione; giacchè una volta ancora io voglio discendere tra gli uomini.
Ecco quello che attendo: poi che prima devono giungermi i segni che la mia ora è venuta: — il leone giocondo con lo stormo delle colombe.
Frattanto, come chi è in ozio, io parlo con me stesso. Nessuno mi racconta cose nuove; le narro io a me stesso.
2.
Quando venni tra gli uomini, li trovai che si adagiavano in una vecchia presunzione: credevan tutti falsamente di sapere già da lungo tempo che cosa per gli uomini fossero il bene ed il male.
Una cosa vecchia e logora era per essi ogni discussione su la virtù; e chi voleva dormir bene, ancor prima di coricarsi, parlava del «bene» e del «male».
Mentre così sonnecchiavano, io li destai con la mia dottrina: che cosa sia il bene, che cosa il male nessuno ancor sa: nessuno fuorché l’essere che crea!
— Questi soltanto addita all'uomo il suo fine e alla terra il suo significato e l’avvenire: questi soltanto crea il bene ed il male nelle cose.
E io li invitai a rovesciare le lor vecchie cattedre e tutto ciò su cui un tempo si poggiava quella lor presunzione: li invitai a ridere dei grandi maestri di virtù, dei loro santi, dei loro poeti e dei loro redentori del mondo.
Li invitai a ridere dei savi accigliati, e di tutto ciò che, al pari di nero spauracchio, si appollaiava sino allora, in atto di ammonire, su l’albero della vita.
Mi sedetti su la loro grande via delle tombe, si, presso gli avoltoi e le carogne — e risi di tutto il lor passato, e della lor putrida antica magnificenza.
In verità, al modo de’ predicatori della penitenza e dei pazzi, io invocai lo sterminio su tutte le loro cose piccole e grandi. — Oh perchè le lor cose migliori son tanto vili? E così piccole anche le loro cose peggiori? — E così io ridevo.
E in me rideva e tumultava la mia saggia bramosia nata sui monti, una sapienza selvaggia dall’ali rumoreggianti, — la mia grande bramosia.
E più volte mi rapì seco lontano, in alto e via, mentr’io ridevo: e allora io volava rabbrividendo, come una freccia, in mezzo ad un’estasi ebbra di sole:
— Fuori del mondo, in remoti giorni, cui non mirò ancora alcun sogno, in meriggi più ardenti di quanto alcun artista abbia mai immaginato: colà dove gli dèi danzanti si vergognano d’ogni veste:
( — Parlo in similitudini zoppicando e balbettando come fanno i poeti: e, davvero, io mi vergogno di dover essere anche poeta! — ).
Dove ogni divenire mi appariva danza divina e divino capriccio, e il mondo libero e ritornante a sè stesso;
— Simile ad un incessante ricercarsi e ritrovarsi di molti dèi, a un beato riparlarsi, riudirsi e riappartenersi di molti dèi;
Dove il tempo mi sembrava uno scherno beato del momento dove la costrizione non era che la libertà, la quale si trastullava gioconda col suo pungiglione:
Dove ritrovai anche il mio vecchio demone, acerrimo nemico mio — lo spirito della gravità — di tutto ciò ch’egli ha creato: la costrizione, la legge, il bisogno, la conseguenza e il fine e la volontà, e il bene ed il male:
(Non deve forse esistere qualche cosa, oltre la quale, fuor della quale, si possa saltar danzando? Non devono esistere talpe e nani goffi, per trastullo di chi è leggiero, di chi è il più leggiero?).
3.
Là io raccolsi dalla via la parola «superuomo» e il concetto che l’uomo è cosa che dev’essere oltrepassata, — che l’uomo è un ponte e non una mèta: ch’egli deve chiamar sè stesso beato per il suo meriggio e per la sua sera onde, gli è segnato il cammino a nuove aurore:
— Io distesi su l’uomo, come una nuova porpora vespertina, la parola di Zarathustra, la parola del grande meriggio.
In verità, io anche additai alla ammirazione degli uomini nuovi astri e nuove notti; ed oltre le nubi e il giorno e la notte io distesi su di essi il riso, come una tenda variopinta.
Io insegnai loro tutto il mio pensiero e tutto il mio intento: che è di comporre in armoniosa unità ciò che nell’uomo è frammento e mistero e terribile caso.
— E, quale poeta divinatore d’enigmi e redentore del caso, io insegnai loro ad edificar l’avvenire e a redimer tutto ciò che fu, col creare.
Redimere il passato nell’uomo e crear nuovamente tutto Ciò che fu, sino a tanto che la volontà possa dire:
«Ma così io volli! Così io vorrò».
— Questo insegnai loro essere redenzione, e doversi chiamar con tal nome.
Ora io attendo la mia redenzione, — per ritornare l’ultima volta in mezzo a loro.
Giacchè un’altra volta voglio recarmi fra gli uomini: in mezzo a loro io voglio tramontare e, morendo, voglio porgere ad essi il più prezioso de’ miei doni.
Questo mi apprese il sole, il ricchissimo, che quando tramonta versa nel mare l’oro della sua inesauribile dovizia, sicchè per quel dono anche il più misero dei pescatori naviga col remo dorato! Ciò ho veduto una volta e nel vederlo non mi saziai di piangere.
Simile al sole vuol tramontare anche Zarathustra: e intanto egli qui siede ed attende, circondato da vecchie tavole infrante e da nuove, scritte a metà.
4.
Ecco qui una tavola nuova: ma dove sono i miei fratelli, che me la portino nella valle e la rivelino ai cuori umani?
Il mio grande amore verso i più remoti impone: «Non risparmiare il tuo prossimo!». L’uomo è tal cosa che dev’essere oltrepassata.
Ci sono molte vie e molti modi per ottenere ciò: quest’è affar tuo! Ma soltanto un buffone può pensare: «L’uomo può essere anche oltrepassato.».
Supera te stesso anche ne’ tuoi rapporti col prossimo: il diritto che tu puoi prenderti con la forza, non devi lasciartelo concedere!
Quello che tu fai nessuno può farlo a te. Vedi, la legge del taglione non esiste.
Chi non sa comandare a sè stesso, deve obedire. E più d’uno sa comandare a sè stesso, ma è ancor molto lontano dal saper obedire a sè stesso!
5.
Così son fatte le anime nobili: esse nulla vogliono per nulla, e meno d’ogni altra cosa la vita.
Solo chi appartiene al volgo può vivere per nulla; ma noi, cui la vita fu data, noi pensiamo sempre che cosa possiamo darle in contraccambio!
E, invero, è un parlare aristocratico il dire: «ciò che la vita promette a noi, noi vogliamo mantenere a lei!».
Non bisogna voler godere quando nulla si dà a godere agli altri. E a tutt’i modi non bisogna voler godere!
Poi che il godimento e l’innocenza sono le cose più vereconde: l’una e l’altra non amano esser ricercate. Dobbiamo possederle! — Ma prima ancora ci bisogna ricercar la colpa e il dolore!
6.
O miei fratelli, le primizie sono sempre sacrificate. E noi siamo primizie: per ciò non versiamo tutto il nostro sangue sui segreti altari del sacrificio, in onore di antichi idoli.
Ciò ch’è migliore in noi è ancor giovane, e alletta i palati vecchi. La nostra carne è tenera, la nostra pelle è simile a quella dell’agnello; — come potremmo non destar le brame dei vecchi sacerdoti?
In noi stessi dimora tuttavia il vecchio sacerdote degli idoli, che s’appropria la miglior parte di noi per il suo banchetto. Ah fratelli miei, come le primizie non dovrebbero essere olocausti?
Questo ci impone la stirpe cui apparteniamo; e io pregio coloro che non vogliono salvar sè stessi. Amo di tutto il mio amore quelli che periscono, perchè essi vanno di là.
7.
L’esser sinceri è di pochi! E chi fu un tempo sincero non per ciò solo vuol seguitare ad esser tale! Ma meno di tutti sanno esser sinceri i buoni.
Oh, i buoni! — «Gli uomini buoni non dicono mai la verità» per lo spirito dunque l’essere buono in tal modo è una malattia.
Essi cedono, i buoni; s’arrendono: il cuore segue il loro labbro; l’anima loro obedisce: ma chi obedisce non ode sè stesso!
Tutto ciò che i buoni chiamano il male deve fondersi insieme, perchè ne nasca una verità: o miei fratelli, siete voi cattivi quanto vi bisogna per una tale verità?
La temerità avventurosa, la lunga diffidenza, la crudele negazione, la noia, il tagliare nelle carni vive, oh come raramente tutte queste cose convengono insieme! Ma da codesto seme nasce la verità.
Vicino alla cattiva coscienza crebbe finora tutta la scienza! Spezzate, spezzate, o voi che possedete la conoscenza, le vecchie tavole!
8.
Se l’acqua s’infrange contro a travi, se ponti e sentieri varcano i fiumi e conducono oltre, perchè si dovrà credere a chi dice: «Tutto segue la corrente!».
Anche gli stolti ne dubiteranno. «E come? chiederanno essi, ogni cosa segue la corrente? Ma se i travi e i ponti sono sopra e oltre la corrente!».
«Sopra e oltre la corrente tutto è saldo; tutti i valori delle cose, i ponti, i concetti, tutto il male e tutto il bene, tutto ciò è stabile!».
Poi, quando giunge l’inverno, il domatore della corrente, anche i più scaltri si fanno diffidenti, e allora non gli stolti soltanto chiedono a sè stessi: «Dovrebbe forse ogni cosa star ferma?».
«In fondo tutto sta fermo», ecco una vera massima invernale, una buona cosa per tempi infecondi e un buon conforto per gli assonnati e per quelli che amano star rincantucciati dietro la stufa.
«In fondo tutto è fermo», ma hanno fatto il conto senza il vento.
Il vento che dissolve il gelo — un toro — non di quelli che arano — bensì un toro furioso, distruggitore, che con le valide corna spezza il ghiaccio! Ma il ghiaccio schiude le vie!
O miei fratelli, non è tutto ormai nella corrente! Non sono caduti nell’acqua tutti i parapetti ed i ponti! Chi si farebbe ancora sostegno del «bene» e del «male?».
Guai a noi! Evviva noi! Soffia il vento che scioglie il gelo! — questo predicate, o miei fratelli, per tutte le strade!
9.
V’ha un antico inganno che si chiama «il bene ed il male». La ruota di tale illusione girò sinora intorno agli indovini e agli astrologhi.
Una volta, quando si aveva fede in costoro, si credeva che tutto «fosse destino e non si facesse alcuna cosa se non perchè costretti!».
Più tardi si diffidò di tutti gli indovini e di tutti gli astrologhi: e per ciò si credette che la libertà fosse in ogni cosa: «tu puoi perchè vuoi!».
O miei fratelli, intorno agli astri e all’avvenire molte cose sinora si son credute, ma non già sapute; e per ciò anche riguardo al bene ed al male assai finora si credette, ma nulla si seppe!
10.
«Tu non devi rubare! Tu non devi uccidere!». — Tali parole una volta si chiamavano sacre: dinanzi a loro il popolo piegava il ginocchio e la testa e si toglieva le scarpe.
Ma io vi domando: dove s’ebbero mai ladri e assassini più tristi di tali sacre parole?
Non è forse l’essenza d’ogni vita il rubare e l’uccidere? E col proclamar sacre tali parole non si uccise forse la verità?
Forse un sermone della morte proclamava sacro ciò che contraddiceva alla vita e dissuadeva da essa? — Oh, miei cari fratelli, spezzate le vecchie tavole!
11.
La pietà per tutto ciò che è passato m’assale se io osservo ch’esso è in balìa della grazia, dello spirito, della follìa d’ogni generazione, che trasforma in un proprio ponte tutto ciò che fu.
Sorgerà un qualche titano ultrapossente, un qualche tiranno scaltrito, che con la sua grazia e la sua disgrazia saprà costringere e violentare tutto il passato, sino a tanto che esso divenga il suo ponte, il suo simbolo, il suo araldo, il suo grido del gallo?
Ma questo è il secondo pericolo e la mia seconda pietà: — chi appartiene al volgo risale con la memoria tutt’al più sino all’avo, — col quale cessa per lui d’esistere il tempo.
In tal modo tutto il pass...