La questione politica nell'impegno pastorale di Mons. Natale Mosconi
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La questione politica nell'impegno pastorale di Mons. Natale Mosconi

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Uno studio importante e difficile, ma doveroso nei confronti di un Pastore che si è occupato di politica, nel senso autentico del termine, senza mai uniformarsi a scelte precise e vincolanti. Studioso di storia della Chiesa, mons. Natale Mosconi aveva capito che l'impegno politico doveva essere accompagnato dalla verità e dalla carità, che sono l'espressione autentica di intendere il Vangelo.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788835383918

MONS. MOSCONI STUDIOSO E PROTAGONISTA DELLA STORIA DEL SUO TEMPO


Premessa al secondo capitolo.
Mons. Natale Mosconi ha vissuto le vicende della Chiesa nel rapporto con la travagliata vita politica del tempo, da quando era seminarista di liceo e maggiormente da chierico. Il pontificato di Leone XIII, soprattutto con l’enciclica “Rerum Novarum”, apriva anche agli studenti di teologia dei seminari la questione sociale del tempo e conseguentemente lo studio della dottrina sociale della Chiesa, mettendo quest’ultima al passo dei tempi. La presenza di un dilagante socialismo ateo, di un laicismo esasperato, di una massoneria dominante anche in Parlamento, segnavano la situazione italiana ma anche di diversi stati europei.
Con il magistero di Leone XIII si aveva la forte spinta a favore del laicato cattolico, la riorganizzazione dei Seminari, la formazione culturale del clero, il rilancio delle missioni, al di fuori di un proselitismo fine a sé stesso, ma aperto alle culture di quei paesi. Il suo grande sogno era quello di riunificazione con le Chiese orientali. Questo grande magistero aveva, di fatto, spronato i cattolici all’impegno religioso e politico, togliendoli da quel disimpegno che aveva la sua origine dal “Non expedit” di Pio IX.
Il pontificato di Leone XIII, proiettava la Chiesa verso l’avvenire, anche se ragionevolmente, continuava a guardare al passato. Comunque la Chiesa non si limitava più a guardare l’Italia o l’Europa, ma si apriva al dialogo attento col mondo intero. Scrive infatti Danilo Veneruso: «Sbaglia quindi chi definisce Leone XIII un papa “integralista”. Non ha mai pensato alla costituzione di un partito cattolico come strumento della Chiesa. Il suo pontificato è tutto teso a sollecitare i cattolici, e non solo quelli italiani, dove pure pesava la “questione romana”, a partecipare alla vita della propria comunità ecclesiale ma anche a quella civile e politica del proprio Paese» 53 .
Su questa strada andava formandosi il giovane Natale Mosconi, che diventerà un uomo di Chiesa, difensore dei diritti e della guida morale che la Chiesa esercitava anche nell’ambito politico, nonché un formidabile apologeta sempre pronto a prendere le difese della Chiesa del passato e soprattutto del presente.
Col pontificato di Benedetto XV (1914-1922) più vicino a quello di Leone XIII, la Chiesa si stringeva sempre più alla figura del Santo Padre offrendogli, specialmente in certi ambiti, affetto e obbedienza piena. Dentro questi cammini storico-religiosi, prendeva forma il pensiero e l’agire del Mosconi, che si deve inserire nei tre movimenti politici della sua esperienza: le cooperative bianche del Miglioli, il Fascismo e il Comunismo.
A questo punto è doverosa una parentesi legata vitalmente al rapporto del Mosconi con il suo vescovo Giovanni Cazzani. Il vescovo di Cremona doveva costituire per il Mosconi un punto di riferimento insostituibile che ne stabiliva il pensiero e l’agire, tanto è vero che l’episcopato di mons. Mosconi aveva forti analogie con quello di mons. Cazzani, quasi che il Mosconi ambiva a portare avanti un discorso che era stato capace di formarlo ed illuminarlo nel corso degli anni e delle vicende ecclesiali e politiche, che con lo scorrere del tempo si andavano a configurarsi.
Appena eletto vescovo di Cremona nel 1915, mons. Cazzani rispondeva con una lettera al quesito sottopostogli dalla Segreteria di Stato circa la partecipazione dei cattolici alle elezioni politiche. Evidentemente, per volere di Papa Benedetto XV, tutti i vescovi italiani erano stati chiamati a dare un loro giudizio su una questione di fondamentale importanza, che culminerà intorno al 1919-20, alla decisione del Papa di accogliere e favorire l’impegno cattolico in politica superando il “Non expedit” di Pio IX, pur tenendo conto che non si era ancora risolta la “Questione Romana”. Il nodo da sciogliere non era semplice, ma diventava doveroso per parecchi motivi che desidero spiegare per avere un quadro completo di ciò che concerneva il cammino della presenza cattolica alla vita del Paese.
Era chiaro che i cattolici non potevano estraniarsi ulteriormente dalla vita politica se volevano dare una impronta cristiana alla politica stessa, superando quello che stava diventando una problematica che andava ad interessare anche la dottrina sociale della Chiesa. Si era capito che i regimi totalitaristi e lo stesso capitalismo, non poteva rispondere alle esigenze di rinascita di un nuovo umanesimo che voleva affondare le sue radici nell’annuncio evangelico. Era in sostanza, il pensiero di don Luigi Sturzo, fondatore del Partito Popolare e che aveva lasciato una impressione assai favorevole in Benedetto XV.
Dalla lettera del vescovo Cazzani, si poteva tracciare quel cammino che dall’incertezza andava verso una soluzione condivisa sia dalla gerarchia che dal laicato cattolico. Era una lettera che affrontava in punta di piedi le inequivocabili difficoltà di partenza, per arrivare però ad una soluzione saggia e doverosa nei confronti del laicato cattolico e di un servizio indispensabile che questo poteva dare allo Stato per un miglioramento delle istituzioni politiche, trasformandole dall’interno, per arrivare ad una costruzione cristiana della polita, così auspicata già da Papa Leone XIII.
I primi passi della lettera del vescovo Cazzani sembravano carichi di cautela, dovuti, secondo me, all’obbedienza, alle decisioni del Santo Padre, ma anche dagli inconvenienti che potevano verificarsi circa l’autorità della Santa Sede e dei Vescovi delle diocesi.
Scriveva il vescovo Cazzani iniziando il suo “iter” circa l’argomento propostogli: «Il Santo Padre Pio X nell’Enciclica sopra ricordata, pure affermando che “ragioni gravissime lo dissuadevano dallo scostarsi dalla norma già decretata dal S. P. Pio IX e seguita poi dal S. P. Leone XIII, secondo la quale rima ne in genere vietata in Italia la partecipazione dei cattolici al potere legislati vo, ammetteva che altre ragioni parimenti gravissime, tratte dal supremo bene della Società che ad ogni costo deve salvarsi, possono richiedere che nei casi particolari si dispensi dalla legge specialmente quando i Vescovi ne riconoscano la stretta necessità per il bene delle anime e dei supremi interessi delle loro chiese, e ne facciano domanda”» 54 .
Si capiva che il vescovo Cazzani non era favorevole a questa possibilità contemplata dall’enciclica di Papa Pio X: “Il fermo proposito”. Evidentemente gli sembrava che questo tipo di possibilità costituiva una ingerenza troppo compromettente per la Chiesa, perché spiegava: «Gli inconvenienti succedevano, a parer mio, perché si invocava l’intervento dell’Autorità Ecclesiastica quando era già iniziata e infervorata la lotta elettorale e la competizione tra i vari candidati, e si chiedeva all’Autorità medesima la dispensa dal non expedit a favore di un candidato particolare contro gli altri competitori. Ciò faceva diventare i Vescovi quasi dei grandi elettori, e convertiva candidati appoggiati dai cattolici, in candidati dei Vescovi e della Santa Sede, imposti da questa ai cattolici se volevano votare. Il che dava poi luogo a non poca ammirazione, anche tra i buoni, quando i raggiri di alcuni riuscivano ad ottenere la dispensa dal divieto pontificio a favore di uomini invisi per i loro precedenti ai cattolici del collegio, e da essi anche per buone ragioni già fortemente combattuti nelle elezioni amministrative, a scapito di altri candidati per i loro principi e per la loro condotta più stimati e benevisi» 55 .
Era giusto l’intervento dei vescovi, se si trattava di salvare il paese dalla rovina sociale e politica, ma i cattolici, secondo il vescovo di Cremona, erano già in grado di ovviare a certi pericoli, accrescendo in tutti i collegi elettorali la loro presenza seria e ispirata alle esigenze del Vangelo. Era necessario, con la presenza dei cattolici, contrastare efficacemente i candidati al governo di persone che aspiravano al potere con un programma di lotta contro la Chiesa.
Il pensiero di mons. Cazzani, diventava, via via, più chiaro quando proponeva: «E se si vuol riuscire ad abbattere i rappresentanti dei sovvertitori anche là dove già sono predominanti, ciò che è necessario per la salvezza sociale, è indispensabile ripetere gli assalti per indebolirli anche prima di riuscire ad abbatterli. Non è pratico e non è efficace attendere ad assalirli quando si è sicuri della vittoria, perché l’attendere il più delle volte è lasciarli consolidare. Inoltre per contrastare l’opera sovvertitrice di deputati bene organizzati, audaci ed abili a sorprendere e trascinare talvolta anche una maggioranza diversa da loro, è necessario che non uomini qualunque, perché innocui, salgano i seggi del Parlamento, ma uomini risoluti e capaci di resistere fortemente ad ogni tentativo di leggi sovversive o dirette contro la libertà religiosa buona. Il vantaggio, innegabilmente ottenuto dai cattolici nelle ultime elezioni col loro intervento, non ne toglie né limita certamente la necessità per l’avvenire».
Perciò il suo parere era chiaramente a favore dell’intervento dei cattolici in politica. Era veramente un pensiero lungimirante perché scriveva: «Mi pare dunque che ormai si possano dispensare i Vescovi dal giudicare al momento della lotta, su la necessità dell’intervento e dal farne essi domanda alla S. Sede: trattandosi di cosa ormai col fatto riconosciuta già necessaria, d’una necessità che non può cessare così presto, ma andrà piuttosto facendosi più grave in avvenire. Non si può disconoscere che questo si scosta dalle previsioni del S.P. Pio X nel dettare la sua Enciclica; ma non contraddice per nulla al principio in quella Enciclica stabilito» 56 .
Anche per quanto riguardava la “Questione Romana”, mons. Cazzani sembrava avere idee chiare. Era necessario per il vescovo salvare il Paese dove la Santa Sede risiedeva, anche per evitare alla Chiesa gravi condizioni o persecuzioni. Insomma, la presenza dei cattolici nella vita politica del paese, garantiva una certa libertà della Chiesa e preparava il superamento delle problematiche, che ancora non avevano risolto i diritti e l’azione della Chiesa nella sua piena libertà.
Un altro momento della lettera vale la pena sottolineare, anche perché in parte il pensiero di mons. Cazzani negli anni seguenti doveva evolversi, restava però intatto lo spirito e il modo con il quale sosteneva il laicato, sganciandolo dal cordone ombelicale della gerarchia e quindi responsabilizzandolo nell’impegno cristiano che si andava a concretizzare nella partecipazione politica fortemente bisognosa di una nuova testimonianza. Scriveva il vescovo di Cremona: «Quanto poi al dirigere l’intervento dei cattolici alle lotte elettorali politiche, a me pare che sia necessario liberare l’Autorità Ecclesiastica dal doversi pronunziare direttamente o indirettamente su la scelta dei candidati, ed evitare qualunque dichiarazione che presenti l’accesso alle urne come concesso a favore di questo o di quel candidato particolare. […] Date tali norme direttive come applicazione pratica della morale cristiana alla vita pubblica, si faccia che a dirigere i cattolici nell’azione elettorale ci siano uomini di sicuri principi e di sicura coscienza, che godano la fiducia dell’Autorità Ecclesiastica, e all’uopo sappiano consultare i vescovi privatamente senza poi esporre a certi dibattiti la loro autorità; e poi si lasci che gli elettori cattolici sotto la guida di questi uomini e in conformità alle norme generali sopra indicate, scelgano i candidati a cui dare i loro voti e determinino le garanzie da esigere da essi. I cattolici di coscienza, una volta bene illuminati e guidati non si scosteranno facilmente dalle norme generali tracciate loro; e i cattolici di mala coscienza, anche se l’Autorità Ecclesiastica intervenisse a volerli piegare là dove non vogliono, passerebbero facilmente sopra gli ordini di essa, i quali pertanto non otterrebbero che l’effetto di compromettere l’Autorità Ecclesiastica nei conflitti elettorali» 57 .
Doveva essere un dovere di coscienza dei cattolici eletti, rispondere positivamente alle norme dettate dalla Chiesa, ma non perché provenienti dalla Autorità Ecclesiastica, ma come dovere di un cittadino e di un cattolico che trae il suo impegno-servizio derivante dalla dottrina morale cattolica e dal Vangelo. Il laico, impegnato in politica, era come un consacrato, chiamato a mettere a disposizione le proprie doti, non per un fine personale, ma per il bene della collettività.
Perché questa vocazione alla politica possa essere anche testimonianza cristiana, mons. Cazzani dettava alcuni casi che, secondo lui, dovevano entrare nelle norme generali ogni qualvolta si realizzavano i momenti elettorali in Italia e anche in altri Paesi. Le norme generali dovevano costituire insegnamenti e indirizzi circa i candidati politici e nello stesso tempo mettere al riparo la Chiesa e le sue maggiori istituzioni da un coinvolgimento troppo chiaro o insistito. Scriveva mons. Cazzani: «1° Che i cattolici appoggino candidati di vita notoriamente empia e scostumata, o ascritti alle sètte anticristiane, qualunque promessa possano fare. 2° Che i cattolici siano condotti, come purtroppo è avvenuto qualche volta nelle elezioni passate, più da preoccupazioni d’interessi economici di classe che da ragioni di principio cattolico, ad appoggiare uomini, se si vuole anche conservatori socialmente - e anche troppo - che per opportunismo elettorale accettano qualunque patto, ma nel fatto sono scettici e avversi alla Chiesa. 3° Che si metta a troppo dura prova la coscienza delle masse elettorali cattoliche, imponendo loro dei candidati che, pure professandosi cattolici e mostrandosi praticanti della religione, per la loro condotta nelle relazioni sociali siansi resi odiosi alla massa del popolo credente.
Insisto sul concetto che le norme generali prevengano in qualche modo certi casi più difficili appunto perché i dirigenti l’Azione Cattolica non si trovino facilmente nell’occasione di dover trattare di questi casi con l’Autorità Ecclesiastica nel momento in cui si inizia la lotta elettorale.
A prevenire poi il pericolo che i programmi e i manifesti elettorali dei cattolici contengano affermazioni di principio offensive delle dottrine o dei diritti della Chiesa, mi pare che possa bastare la revisione degli assistenti ecclesiastici deputati dai Vescovi per le Direzioni Diocesane.
Quanto al Clero, perché nelle lotte elettorali non comprometta la propria dignità e il prestigio del proprio ministero, dovranno pensare i vescovi secondo le varie conclusioni delle diocesi; ma a me parrebbe assai bene che certe norme generali fossero calate come un minimo necessario per tutti dalla S. Sede, per escludere affatto, per esempio, il clero addetto per ufficio ordinario alla cura di anime, da certe forme di azione a propaganda elettorale, conferenze nei pubblici comizi, contraddittori, ecc.
Una volta che né la S. Sede né i Vescovi intervengono direttamente nel periodo elettorale a determinare l’intervento dei cattolici a favore di questo o di quel candidato, mi pare molto allontanato il pericolo che i candidati porta ti dai cattolici, anche se cattolici, si possano considerare sia in Parlamento sia fuori, come strumenti o rappresentanti della Chiesa o dell’Autorità Ecclesiastica» 58 .
Questo pensiero di mons. Cazzani veniva raccolto dal Mosconi, che ne faceva nel tempo e negli eventi che seguivano quasi un model lo per leggere la storia e i suoi eventi così spesso diversi tra loro.

Il movimento cristiano contadino di Guido Miglioli (1905-1925).
Guido Miglioli era nato nel 1879 a Castelnuovo Gherardi in provincia di Cremona. Nasceva come sindacalista per diventare un uomo politico. Aveva avuto una buona formazione culturale, laureandosi prima in lettere poi in giurisprudenza. Dal 1904 cominciava a militare nel Movimento cattolico e nel 1905 iniziavano le sue pubblicazioni sul periodico “L’Azione”, vera e propria tribuna delle sue battaglie politiche e sindacali. Era un uomo dotato di spiccate qualità organizzative e di grande senso pratico, tanto che prese subito le distanze dai movimento democratici cristiani di ispirazione murriana, concentrandosi, già nel 1906, sull’attività sindacale.
L’area agricola attorno a Soresina divenne il laboratorio di un progetto di sindacalizzazione di massa su basi cattoliche e partecipative. Miglioli si ispirava ad un ideale di cogestione e compartecipazione aziendale che riscattasse le masse contadine e rappresentasse una valida alternativa al sindacalismo socialista e anarchico. Contemporaneamente cercava di dare spazio alle proprie posizioni anche nel movimento politico cattolico che lo vide sempre protagonista scomodo e dissidente. Nell’ottobre del 1913 Miglioli era trionfalmente eletto al parlamento nella sua circoscrizione ed i suoi esordi alla camera furono subito caratterizzati da violenti attacchi alla politica giolittiana. Convinto neutralista ed antimilitarista, fu contrario all’intervento italiano nella prima guerra mondiale, così come aveva osteggiato, nel 1911, la guerra di Libia. Il neutralismo gli valse l’ostilità di buona parte del mondo cattolico ed anche episodi di pestaggio e di violenza.
Giovanni Sale scrive: «Guido Miglioli e le sue leghe contadine bianche dell’Italia centrale si schierarono apertamente, come del resto i socialisti, per il “non intervento”, ritenendo che la guerra avrebbe soltanto penalizzato gli interessi dei contadi ni e costretto milioni di essi a combattere una guerra di cui non conoscevano a fondo le cause e di cui non condividevano le proclamate finalità nazionali ste. Di fatto la “grande guerra” fu combattuta sostanzialmente dai contadini europei e il contributo di sangue che essi dettero alla “causa nazionalista” fu, purtroppo, grande» 59 .
Al termine della guerra la battaglia contadina riprese con ancora più forza sotto la spinta della crisi post-bellica; fu lanciata la lotta per le otto ore, per il controllo sindacale sulle assunzioni e sui licenziamenti e l’equo canone d’affitto mentre anche l’ipotesi di compartecipazione riceveva nuovo impulso. La lotta si fece durissima nel 1920, fino a sboccare nel patto di Parma (19 giugno) con il quale gli agrari furono costretti a cedere su molte delle richieste avanzate. L’anno seguente lo scontro si riaccendeva, intorbidito dall’irrompere delle squadre fasciste capitanate dal gerarca locale, Farinacci. La vertenza fu sciolta attraverso un arbitrato da cui scaturì il cosiddetto “lodo Bianchi” (dal nome del giurista che fu a capo della commissione preposta a dirimere la controversia) che stabiliva la compartecipazione dei salariati agli utili aziendali e sanciva un sistema di controlli sulla contabilità e sull’attività gestionale delle aziende da parte dei lavoratori.
Alla frenetica attività sindacale non mancava di far riscontro la presenza politica e parlamentare del Miglioli che, nel 1919, era stato accolto, non senza esitazioni, dal neonato partito popolare. Al cospetto del dilagare del fascismo, Miglioli vedeva crescere la necessità di una convergenza con i socialisti sul piano rivendicativo. Una posizione che gli attirava critiche sia dai socialisti che dai popolari rendendolo insofferente verso la politica di questi partiti.
Dopo la marcia su Roma e l’inizio del regime fascista il Miglioli si vedeva costretto ad abbandonare Cremona a causa delle continue minacce del Farinacci e si distaccava dai popolari, rifiutando la candidatura alle elezioni del 1924 e nel 1925 veniva espulso dal partito popolare. Uomo pratico con grandi capacità organizzative, era anche un tipo focoso e impaziente, tanto è vero che per raggiungere i traguardi prefissi, passava dall’area cattolica a quella comunista senza condividerne l’ideologia. In Russia, partecipava come vice-presidente ai lavori dell’Internazionale contadina. Nel 1926 abbandonava l’Italia portandolo a vagare per alcuni paesi europei.
Trasferitosi definitivamente in Francia, vi fu sorpreso dallo scoppio della guerra e dalla rapida capitolazione davanti al nazismo; venne arrestato nel 1941 e condotto in Germania da dove fece pervenire a Farinacci una lettera di abiura delle proprie esperienze politiche e sindacali, a cominciare dal lodo Bianchi. Si deve forse a questo episodio la sua successiva traduzione in Italia dove, peraltro, restò in prigione a Lipari e poi a Pescopagano. Venne liberato all’indomani del 25 luglio e riprese subito contatto sia con gli ambienti democristiani (Spataro, De Gasperi) sia con i comunisti cattolici (Rodano). Tornato a Cremona, venne a trovarsi, dopo l’8 settembre e la fuga di Mussolini, sul territorio della Repubblica di Salò ed anche in questo caso fu sospettato di ambigue collusioni con Farinacci. Finita la guerra, tentò invano di ottenere la tessera democristiana e rivolse di nuovo la sua attenzione al partito comunista. Stabilì una fruttuosa amicizia col prestigioso dirigente Ruggero Greco, insieme al quale fondò e diresse la “Nuova terra”. Nel 1948 fu ancora a fianco dei comunisti e del fronte democratico popolare ma il 18 aprile, con la sconfitta del fronte, conobbe l’amarezza dell’esclusione dal seggio parlamentare. Continuò a battersi nei movimenti contadini del secondo dopoguerra, lottando per una riforma agraria che desse la te...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. LA QUESTIONE POLITICA NELL’IMPEGNO PASTORALE DI MONS. NATALE MOSCONI
  3. Indice
  4. Intro
  5. PRESENTAZIONE
  6. INTRODUZIONE
  7. PREMESSA
  8. 80 ANNI DI STORIA. TRA CAMBIAMENTI E STABILIZZAZIONE
  9. MONS. MOSCONI STUDIOSO E PROTAGONISTA DELLA STORIA DEL SUO TEMPO
  10. Note
  11. Bibliografia
  12. Ringraziamenti