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Rainer Maria Rilke (Praga, 4 dicembre 1875 – Les Planches, 29 dicembre 1926), è stato uno scrittore, poeta e drammaturgo austriaco di origine boema. È considerato uno dei più importanti poeti di lingua tedesca del XX secolo. Autore di opere sia in prosa che in poesia, è famoso soprattutto per le Elegie duinesi (iniziate durante un soggiorno a Duino), i Sonetti a Orfeo e I quaderni di Malte Laurids Brigge. Traduzione dal tedesco di Giaime Pintor (1942)

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Informazioni

Editore
Passerino
Anno
2020
ISBN
9788835375210
Argomento
Letteratura
Categoria
Poesia

Sonetti a Orfeo

E quasi una fanciulla era.
Da questa felicità di canto e lira nacque,
rifulse nella trasparente veste
primaverile e nel mio udito giacque.

E in me dormì. Tutto fu il suo dormire:
gli alberi che ammiravo, le distese
sensibili, le grandi praterie
presenti e lo stupore che mi prese.

Dormiva il mondo. O dio del canto, come
l’hai tu compiuta senza ch’ella prima
volesse essere desta? È nata e dorme.

E la sua morte? Non cadrà nel nulla
questo tuo canto, troverà una rima?
Ma da me dove inclina...? Una fanciulla...

Un dio lo può. Ma un uomo, dimmi, come
potrà seguirlo sulla lira impari?
Discorde è il senso. Apollo non ha altari
all’incrociarsi di due vie del cuore.

Il canto che tu insegni non è brama,
non è speranza che conduci a segno.
Cantare è per te esistere. Un impegno
facile al dio. Ma noi, noi quando siamo?

Quando astri e terra il nostro essere tocca?
O giovane, non basta, se la bocca
anche ti trema di parole, ardire
nell’impeto d’amore. Ecco, si è spento.

In verità cantare è altro respiro.
È un soffio in nulla. Un calmo alito. Un vento.

Egli è terreno? No, dai reami
diversi prese la vasta natura.
Piú esperto piega del salice i rami
chi le radici del salice cura.

Quando fa buio sul desco non resti
pane né latte: attirano i morti –.
Ma egli, evocatore, li desti
e nello sguardo mite li esorti

a mescolarsi a ogni cosa veduta;
a lui l’incanto di erica e ruta
sia vero come il rapporto piú chiaro.

Niente l’immagine salda cancella;
sia della casa, sia della bara,
celebri l’urna, il fermaglio o l’anello.

Ecco, esaltare! A esaltare egli venne,
sgorgò cosí come sgorga dal muto
sasso il metallo. Il suo cuore è il caduco
filtro d’un vino agli umani perenne.

Non mai la polvere spegne la pura
voce se l’eco del dio la trascina.
Tutto diventa grappolo e vigna
che il suo sensibile agosto matura.

Non il marcire dei re nella tomba
muta in menzogna il suo canto, non l’ombra
che da figure divine si posa.

Perché egli è uno dei messi piú forti
che ancora oltre le soglie dei morti
levano coppe di frutti gloriosi.

Voi dal mio animo non mai lontani
saluto antichi sarcofaghi, tersa
voi l’acqua gaia dei giorni romani
come un mutevole canto traversa.

O quelli aperti come d’un lieto
pastore gli occhi al mattino, di lamio
pieni nel cavo del marmo e quieti,
da cui si levano rapiti sciami.

Voi tutti al dubbio sottratti saluto,
bocche di nuovo dischiuse, che un tempo
sapeste il senso d’essere muti.

Noi lo sappiamo, non lo sappiamo?
Le due parole l’ora esitante
traccia confuse sul viso umano.

Tu pensi fiori, grappoli, tralci...
Certo non parlano questa piú timida
lingua dei mesi. Dal buio una varia
ricchezza sorge, e ha il colore d’invidia

dei morti: ai morti si nutre la zolla.
Noi che sappiamo di tante fila?
Da molto tempo certo la molle
creta sopporta un’impronta sottile.

Ora ti chiedo: dànno di cuore?
È questo il frutto di un’opera lenta
di schiavi a noi che restiamo i signori?

O sono loro i padroni: chi giace
alle radici e a noi manda in silenzio
un suo superfluo vigore di baci?

Te voglio ancora ricordare una volta
fiore, il cui nome non so, voglio ancora
mostrarti a loro, compagna a noi tolta,
bella compagna all’invitto clamore.

Danza: ma a un tratto in perplessa movenza
trattiene il corpo, in metallo gettato,
triste a spiare. Da un’alta potenza
musica cade al suo cuore mutato.

Prossimo il male. Già da tenebra stretto
cupo urge il sangue: dopo breve sospetto
sboccia nel suo naturale rigoglio.

Sempre travolto in cupo orrore risplende
terreno. Giunto con note tremende
varca l’estrema, tragica soglia.

Come il maestro nell’impeto a un foglio
qualunque affida la linea perfetta:
cosí talvolta lo specchio raccoglie
l’unico riso di giovinetta.

Quando al mattino da sola si ammira
o nel chiarore del lume sommesso...
Cadrà piú tardi nel puro respiro
dei veri volti solo un riflesso.

Quel che tra braci fu un giorno veduto
nel lento spegnersi fuliginose:
sguardi di vita per sempre perduti.

Oh, della terra chi sa gli smarriti
beni? Chi solo con note gloriose
celebri il cuore cui tutto dà vita.

Specchi: nessuno cosciente ha descritto
cosa nasconda la vostra essenza.
Come crivelli di fori fitti
siete voi specchi, intervalli del tempo.

Voi che la sala deserta occupate –,
ampi al crepuscolo come selve...
Il lampadario, splendido cervo,
si aggira oltre la soglia vietata.

Talvolta grandi pitture siete.
...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Poesie
  3. Indice dei contenuti
  4. Libro delle immagini
  5. Annunciazione (Le parole dell’Angelo)
  6. Giorno d’autunno
  7. Nuove poesie
  8. Apollo primitivo
  9. Alcesti
  10. Orfeo Euridice Hermes
  11. Sonetti a Orfeo
  12. Ultime poesie
  13. Lamento di una monaca
  14. Eros
  15. «Bibliothèque Nationale»
  16. Al ragazzo Elis
  17. Infanzia
  18. Hohenburg
  19. Canto serale
  20. In primavera