Terremoto, Colera e aria cattiva
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Terremoto, Colera e aria cattiva

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Questa rara e preziosa dissertazione di Angelo Bellani, dal titolo (originale): Del Terremoto, del Cholera e dell'aria cattiva, qua riprodotto dopo attento controllo e accurata ma prudente revisione, riporta in appendice una lettera inedita dello scienziato Alessandro Volta. Il testo è apparso per la prima volta a Milano nel 1832, presso la Società degli Editori degli Annali Universali Delle Scienze e dell'Industria.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788835822356

DEL TERREMOTO, DEL COLERA E DELL’ARIA CATTIVA

Con una lettera inedita di Alessandro Volta.

Il Terremoto
Dopo il fatale terremoto delle Calabrie nel 1783, che però fu limitato a quella sola estremità d’Italia, e nella quale circostanza apparve una nebbia permanente, che si diffuse su gran parte d’Europa, consimile a quella vedutasi nella scorsa estate, oltre a piogge rossastre di sostanze terree; non trovo altro maggior flagello e più universale per l’Italia nostra menzionato nelle storie, che nell’anno 1117. Sotto quell’epoca, leggo negli Annali d’Italia del celebre Muratori: «Il Papa nel mese di marzo ebbe non poche inquietudini e travagli. I Romani ribelli a poco a poco tornarono alla divozione ed ubbidienza del Papa. Funestissimo riuscì quest’anno all’Italia: vi si fece anche sentire un terribile tremuoto, di cui simile non restava memoria. Si videro ancora nuvoli di color di fuoco e sangue, vicini alla terra, con fama ancora di sangue piovuto dal cielo, e servirono tutti questi successi a far più che mai desiderare la pace colla Chiesa».
Già fino dall’anno scorso aveva io steso una lunga Memoria in cui fra le altre cose trattava delle piogge rosse, e delle nebbie secche, o esalazioni straordinarie: Memoria che si sta pubblicando ora negli Atti della Società Italiana; e in quella stessa occasione ho steso un breve articolo sul terremoto che venne inserito nel Giornale di Verona intitolato il Poligrafo (Fascicolo XIX, gennaio 1832). Allora certo non mi immaginavo che l’Italia fosse per avere una visita così improvvisa e funesta; per cui mi era limitato a pochi cenni, dai quali però risulta col confronto dei fatti ultimamente avvenuti, che l’apparire di fuochi nell’aria in occasione di terremoti, sia un fenomeno si può dire costante, consultando le antiche relazioni; quando però la più viva luce del giorno, od altre circostanze non impedissero di poterlo osservare. Indicati sono, per esempio, nel terremoto del 1117 nuvoli di color di fuoco e di sangue; e nella Gazzetta di Milano 19 e 21 marzo 1832, sotto la data di Parma, si dice che nella notte del 12 al 13 dello stesso mese: «si videro muovere dei fuochi meteorici: la luna nebulosa era cinta da una corona sanguigna, e dopo mezza notte si cambiò la tinta porporina del cielo in un lampo orrendo, che illuminò tutto quanto lo spazio celeste, e nello stesso tempo si sentì una scossa di terremoto… dopo un’ora altro lampo con terremoto più forte, ecc.». Sul terremoto del 1117 parla anche molto lungamente il Giulini nelle Memorie spettanti alla Storia di Milano, appoggiato anch’esso specialmente, come il Muratori, a Landolfo storico contemporaneo. Anche in un Calendario necrologico della Chiesa Monzese del secolo XII, ne venne fatta menzione: anno MCXVII, Terremotus Magnus factus est [1] .
Nella stessa Gazzetta di Milano 17 marzo 1832, sotto la data di Cremona 15 marzo si nota parimenti, essersi osservata una nebbia straordinariamente densa e bassa, la quale verso le ore cinque s’innalzò, e alle ore quattro incirca successe la scossa. Questa nebbia fu pure da altri osservata in Milano, come vi fu chi asserì d’aver veduto una specie di lampo in occasione che si sentì anche fra noi il terremoto sebben leggermente. A Catanzaro, dove il terremoto molto infierì, si osservò gran luce atmosferica con successivo scoppio (Gazzetta di Milano, 28 marzo 1832).
Ho ultimamente ricevuto da Roma una Relazione sui terremoti di Fuligno e dell’Umbria accaduti in gennaio 1832 di Saverio Barlocci, in cui si parla di vapori e di nebbie straordinarie, e di un frequente balenare per varie notti nelle alte regioni accompagnato da accensioni simili alle stelle cadenti, con sotterranei muggiti duranti le ripetute scosse; e saviamente quel dotto Professore di fisica della Pontificia Università esclude l’elettricità come causa primaria dei terremoti, almeno come si vorrebbe da taluni suppore, e per conseguenza ne esclude i supposti mezzi per impedirne il ritorno. Dalle relazioni poi verbali che mi sono procurato intorno al terremoto avvenuto nella notte dall’8 al 9 ottobre del 1828, particolarmente nei contorni di Voghera, e che anche si è risentito in Milano più intensamente che non in quello dell’anno corrente, da quelle relazioni, dico, come pure dalla Gazzetta di Genova, risulta che i fuochi nell’aria si videro, e sotterranee ed aeree detonazioni si udirono; anzi dall’esposizione sincera di altra persona pareva che in quella notte apparissero alcune stelle, e che si riunissero in una più grande, che poi anch’essa spariva; il che coincide colle supposte stelle cadenti nella soprarriferita relazione. Indizi tutti son questi di accensioni ed esplosioni sia nell’interno della terra mediante quei tremiti concussori, e quei cupi fragori; e nell’atmosfera con quelle straordinarie infiammazioni, ed insoliti splendori: effetti che non si saprebbero attribuire che a gas idrogeno più o meno combinato con altre sostanze anch’esse combustibili; siccome già alcuni fisici avevano supposto. Nel terremoto dell’Umbria di fatto si ebbero indizi manifesti di acque epatiche, di emanazioni di gas idrogeno solforato, ed il terreno si screpolò in un sito (nel luogo detto Cantagalli) pel tratto di circa un miglio, e ne uscì dell’acqua fangosa. Chi potrebbe calcolare la tensione, ossia la forza espansiva dell’acqueo vapore, o di un gas formatosi sotto l’enorme pressione di migliaia d’atmosfere ad un’altissima temperatura?
Nella Descrizione del terremoto avvenuto nella provincia di S. Remo, addì 26 maggio e giorni successivi dell’anno 1831 di Albero Nola (Antologia di Firenze: maggio 1831, pag. 143): «traballavano - vi si dice - ad occhi veggenti, i campanili, le case, gli edifici più solidi: mentre un denso nebbione, forse di polverio, si sollevava dalla terra sopra i tetti… Dal giorno della prima scossa sino al primo giugno fu sempre ingombro il sole di un fitto nebbione».
Nel Rapporto sul terremoto delle valli del Piemonte nell’aprile del 1808 (Giornale della Società d’incoraggiamento: Milano 1808 luglio, e agosto) si parla di meteore luminose o ignite che vi si sono osservate (pag. 62). Si era veduta nella notte antecedente una meteora ignea all’altura di alcune rocche (pag. 70); e il Cancelliere del Giudice di pace, ricoverato sotto una tenda, la vide illuminata al momento della detonazione da un improvviso chiarore, e credette che un vulcano si aprisse sotto i di lui piedi (pag. 72). Una nube rossa che quasi radeva la valle al momento di una scossa esalò un fortissimo odore di zolfo (pagg. 138, 140, 142). Alla pag. 68 si era fatto osservare che nel terremoto avvenuto nel 1682 a Rémiremond si videro uscir le fiamme dalla terra, e senza che gli alberi, come che tocchi dalle fiamme, ne soffrissero alcun detrimento: effetti a mio avviso propri del gas idrogeno, il di cui sviluppo io considero come causa primaria dei terremoti.
I pozzi proposti fin dal tempo di Plinio (che trovava identico il tremore della terra, ed il tuono delle nubi) sono in questo Rapporto nuovamente raccomandati; ma piuttosto ch’esser destinati a dar sfogo all’elettricità che qui (pagg. 70 e 152) si suppone condensarsi sotto terra; ma che in realtà né può accumularsi in corpo sempre conduttore com’è la terra, né abbisognerebbe come fluido imponderabile, sottilissimo, mobilissimo di quelle artificiali cavità per disperdersi: piuttosto, dico, potrebbero questi pozzi se fosse possibile, di costruirli, servire per dar sfogo ai gas sviluppati e compressi sotterra; ma bisognerebbe che fossero ben frequenti e ben profondi per giungere fin dove è probabile che abbia origine il terremoto; forse fin dove la terra è ancora in istato di fluidità ignea: e allora si aprirebbe forse un nuovo vulcano. Si parla frequentemente di elettricità condensata nelle viscere della terra, quando che si può ad ogni momento provare coi nostri strumenti più sensibili, che per quanto si supponga coibente il suolo, il fluido elettrico vi si disperde rapidissimamente, e massime negli strati inferiori in generale più umidi, e contenenti altre materie più deferenti: è nell’aria che l’elettricità può condensarsi, ma la terra non è che passiva rispetto all’atmosfera.
Negli Opuscoli scelti di Milano, T. XIV, pag. 426, si trova a questo proposito un estratto del Saggio sull’uso dei pozzi presso gli antichi, specialmente per preservativo dei tremuoti di D.G. D’Ancora: saggio da consultarsi da un antiquario, ma non da un fisico.
Il fenomeno di nebbie di natura diversa dalle comuni; ed oltre ai suoni sotterranei, ed ai fragori nell’aria, il fenomeno specialmente di accensioni nell’aria somiglianti all’infiammazione del gas idrogeno più o meno puro, lo trovo confermato in tutte le relazioni alquanto dettagliate dei terremoti avvenuti per l’addietro, massime nelle ore notturne; e molti degli incendi che si sono attribuiti in quelle circostanze a cause ordinarie, potrebbero ben essere derivati dalla combustione di quel gas all’aria aperta. Cavallo nel suo Trattato completo di Elettricità, tradotto in francese nel 1779, pag. 384, fa menzione di palle di fuoco ossia globi di fuoco, che qualche volta si sono veduti sulla superficie del mare nel tempo di un terremoto. Ma limitandomi ai soli casi più recenti, e spettanti alla sola Italia che si trovano registrati nel sopra indicato Giornale di Opuscoli scelti sulle Scienze e sulle Arti, che si continuò a pubblicare per lunga serie d’anni in Milano per opera particolarmente dell’egregio Abate Amoretti, trovo che nel T. IV, Osservazioni sul tremuoto sentitosi in Siena nel gennaio del 1781, del P. Della Valle, l’Autore dice «che appena terminata la scossa più gagliarda, mi affacciai alla finestra, e benché il tempo fosse buio e piovoso, allo scontro del campanile S. Francesco, che è imbiancato, vidi da terra esalarsi una grande quantità di vapori addensati, nei quali si scopriva il resto di una fiamma languida, che allora pareva spenta, non senza esalare particelle sulfuree». Il giorno seguente osservò con altri alzarsi verso le ore quattro della sera dal seno di una valle, grandissima quantità di vapori, nel cui centro era una colonna quasi di fumo e di fiamme, (si sa che la combustione dell’idrogeno genera acquei vapori come il vocabolo stesso lo indica) durò un minuto e mezzo, e si seppe che a quella volta non era stato a quell’ora acceso alcun fuoco. Altri osservarono dai valloni all’intorno uscire delle fiamme voluminose, e quantità di vapori gravi all’odorato, ecc.
Nel T. VI, nota alla pag. 266 e seg. Relazione storico-fisica dei terremoti accaduti in Messina nel 1783, di A. Gallo: «Si aperse con lunghe fenditure il suolo, da dov...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. TERREMOTO, COLERA E ARIA CATTIVA
  3. Indice
  4. Intro
  5. DEL TERREMOTO, DEL COLERA E DELL’ARIA CATTIVA
  6. LETTERA DI ALESSANDRO VOLTA A MARSILIO LANDRIANI
  7. Ringraziamenti