Il valore della prova scientifica nel processo italiano e americano
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Il presente studio analizza l’impatto che il proliferare della cd. prova scientifica ha sortito sul procedimento di formazione della prova penale. In via preliminare, si è avvertita la necessità di porre le premesse per una definizione della locuzione di “ prova scientifica ” che ne chiarisse le peculiarità gnoseologiche, rispetto agli strumenti di conoscenza tradizionali.
Le neuroscienze forensi costituiscono infatti l’ultima frontiera del neo-determinismo applicato all’accertamento dei reati, rinominate come una “nuova prova scientifica” da utilizzare per l’accertamento dell’imputabilità, della pericolosità sociale, della capacità a stare in giudizio nonché per verificare l’idoneità a rendere testimonianza. L’esame del DNA disposto sulle tracce biologiche repertate, ad esempio, si compie mediante perizia cui può affiancarsi una consulenza di parte oppure la ricostruzione virtuale della scena del crimine può essere effettuata tramite un esperimento giudiziale. Questo significa che restano saldi e intangibili, i tratti che contraddistinguono il procedimento probatorio, sintetizzabile nella nota sequenza “ricerca – ammissione – assunzione – valutazione” del mezzo di prova, anche quando parliamo di “prova scientifica”. L’intero volume è la chiave di lettura del valore della prova scientifica, creando una comparazione tra il sistema processuale italiano e quello americano, scardinando l’ideologia di molte persone, le quali mosse dalle fiction televisive pensano di poter essere gli Sherlock Holmes della quotidianità. La Dr.ssa Marilena Di Vito nasce a Gaeta, nel 1987, nonostante la sua età, vanta un ricchissimo curriculum formativo e professionale. Nell’anno 2011 si laurea in Scienze – Tecniche Psicologiche Applicate e in Scienze dell’Investigazione presso l’Università dell’Aquila. Sostiene esami di diritto, criminologia, criminalistica e psicologia. Presso il medesimo Ateneo consegue il tirocinio specialistico in “Tecniche di Sopralluogo sulla scena del crimine”, diretto dal Dott. Carmelo Lavorino, per terminare il corso di studi presso il Tribunale di Cassino (FR), nella sezione penale. Nel 2013 si specializza in Criminologia e Scienze Strategiche, presso l’Università la Sapienza di Roma, sotto la direzione del Dott. Luciano Garofano e del Prof. Vincenzo Maria Mastronardi. Nello stesso anno è relatrice nel Convegno Europeo “No More Domestic Violence”, tenutosi ad Haninge (Svezia), in qualità di Criminologa con il workshop “Il profilo criminale dell’aggressore”.
Autrice del libro “ I lati oscuri della famiglia – Violenza domestica e Family Murder ” e relatrice di convegni scientifici sul predetto tema.
Coordinatore scientifico di corsi di Formazione, ideati e progettati ad hoc per l’utente, validi e certificati per l’inserimento nel campo lavorativo, nonché docente negli stessi per le materie di sua competenza. Per svariati anni ha ricoperto il ruolo di Responsabile area investigativa e successivamente di Vice Direttore presso un Istituto Investigativo ubicato nel territorio romano. Attestate le sue capacità tecnico-pratiche ed imprenditoriali, decide di richiedere le licenze di polizia amministrativa, al fine di diventare titolare dell’ Istituto Investigativo I. Solution, ubicato ad Ausonia (FR). Ad oggi, ha seguito personalmente oltre un migliaio di indagini in ambito privato, aziendale, assicurativo e commerciale. Nominata CTU in ambito investigativo e come criminologa presso il Tribunale di Cassino (FR).

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Informazioni

Editore
Passerino
Anno
2020
ISBN
9788835830276
Argomento
Law
Categoria
Criminal Law

Capitolo 1

LA SCIENZA

LA SCIENZA
La parola scienza deriva dal latino “scientia”, ossia conoscenza ed è l'insieme dei risultati dell'attività umana volta all’apprendimento di cause, leggi ed effetti su un determinato evento naturale o sociale. La scienza forma un complesso organico di consapevolezze mediante un processo di osservazione e descrizione, finalizzato a dare una spiegazione alla realtà fattuale delle cose. La scienza moderna si basa sull'osservazione sperimentale dell'evento, sulla formulazione di un'ipotesi generale e infine sulla verifica della stessa, mediante osservazioni propedeutiche e ripetute ( metodo scientifico ).
La nascita della scienza moderna, attribuita a Galileo Galilei, segna il confine tra la scienza e le altre discipline di studio filosofico - teologico. Il sapere viene suddiviso in discipline scientifiche specialistiche, nate dalla suddivisione in:
  1. scienze pure (matematica, fisica, chimica, scienze naturali, ecc.);
  2. scienze sociali (economia, sociologia, ecc.);
  3. scienze umane (letteratura, psicologia, ecc.).
La scienza moderna viene intesa come una conoscenza esatta, acquisita dall'osservazione, dalla sperimentazione e dall'esperienza.

La filosofia della scienza come indagine sulla conoscenza scientifica
Nel caso in cui convenga chiamare “filosofia della scienza” il tentativo di dare risposte a interrogativi che riguardano propriamente tutte le scienze e, di denominare invece “fondamenti delle scienze” gli studi intorno ai concetti che sono alla base delle singole scienze, diventa importante cercare di comprendere meglio quale rapporto esista tra tali due modi distinti di intendere e praticare quella che in Italia è spesso riferita anche come “epistemologia” o teoria della conoscenza scientifica.
La filosofia della scienza generale si è posta il compito di chiarire la natura della conoscenza scientifica. Partendo da questo punto di vista, di seguito vengono elencate alcune tra le più importanti domande che sono state sollevate:
1) Esiste un progresso o una convergenza delle nostre teorie verso la verità?
2) Visti i bruschi mutamenti del passato, le teorie scientifiche mature possono essere considerate approssimativamente vere, o sono vere tout court?
3) La scienza è in grado di spiegare i fenomeni o si limita a descriverli?
4) Le teorie scientifiche ci permettono di conoscere una realtà extra-fenomenica o le nostre credenze si devono limitare a ciò che è direttamente osservabile?
5) Quale relazione logica esiste tra le ipotesi e le evidenze sperimentali?
6) La scienza è l’unica forma di conoscenza?
7) Quale rapporto c’è tra la fisica e le altre scienze naturali?
Intorno a questi interrogativi sono opportune due brevi osservazioni:
a) la filosofia della scienza dell’ultimo secolo ha compiuto importanti passi in avanti, sia nella chiarificazione dei problemi che nella qualità delle risposte ad essi. Oggi non è pensabile che si possa affrontarli con successo senza la dovuta preparazione filosofica;
b) se tali interrogativi cadono tipicamente all’interno della filosofia della scienza generale, lo studio dei fondamenti concettuali delle scienze singole può essere visto come un ulteriore strumento di raccordo tra teorie filosofiche sulla scienza e le singole scienze. Pertanto le teorie generali sulla conoscenza scientifica possono essere messe “alla prova” o acquisire maggiore concretezza, solo nel caso in cui si considerano le indagini assai più specifiche sui fondamenti delle singole scienze.
Le domande filosofiche che sorgono direttamente dal lavoro degli scienziati e che coinvolgono dispute più “tecniche” o “interne” a singole discipline scientifiche, non sono dunque da vedersi in conflitto con gli scopi della filosofia generale della scienza, visto che quest’ultima ha bisogno delle prime come di un banco di prova di tipo “sperimentale”.
Esistono altri due elementi che sembrano giocare a favore degli studi sui fondamenti delle singole scienze. Il primo è dato dal fatto che la crescita del sapere scientifico rende in ogni caso necessariamente “tecnica” la soluzione di molte questioni filosofiche tradizionali. Per meglio comprendere: la natura dell’infinito, l’origine dell’universo, la sua finitezza o infinità, l’esistenza di particelle davvero “elementari” più piccole di ogni altra, l’origine dell’uomo o della vita sono questioni che possono essere affrontate solo possedendo il bagaglio tecnico necessario fornito dalla fisica matematica o dalla biologia contemporanea.
Il secondo merito importante che gli studi sui fondamenti di scienze particolari possono vantare è dato dal fatto che fino a qualche decennio fa, la riflessione filosofica generale sulla scienza si basava quasi esclusivamente sulla fisica. Tale limitazione rendeva spesso impossibile estendere i risultati filosofici ottenuti all’interno della fisica o di altre scienze. Oggi tale limitazione è stata messa in luce proprio grazie al processo di specializzazione degli studi filosofici sulle singole scienze. Da questo punto di vista la generalità della filosofia della scienza, precedente agli anni Settanta del secolo scorso, era solo apparente. Per esempio: i primi modelli di spiegazione scientifica ritenevano che “spiegare” fosse equivalente a “sussumere sotto leggi naturali”. Questo modello nomologico-deduttivo, dovuto al filosofo neoempirista Hempel, tagliava alla radice la possibilità di avere spiegazioni genuine nelle scienze storiche (si pensi alla biologia evoluzionistica o alla storia sociale) nella misura in cui queste ultime non sono caratterizzate dalla presenza di leggi universali prive di eccezioni. Analogamente, la discussione sull’esistenza di entità non direttamente osservabili ha molto più senso in fisica che non in biologia, visto che batteri, cellule e molecole sono comparativamente assai più grandi, altresì dotate di proprietà “meno nebulose” e più simili ai corpi che ci circondano più di quanto non siano le particelle atomiche e subatomiche.

Metodo scientifico e valori
In base a una concezione sviluppata da Larry Laudan (anno 1984), lo scopo della metodologia non è solo quello di giustificare l’adozione di ipotesi che intendano riferirsi a entità non direttamente osservabili in relazione a obiezioni scettiche ma, anche quello di promuovere valori o fini cognitivi , rispetto ai quali le regole metodologiche stesse possono essere viste come strumenti più o meno efficaci.
Oltre alla verità, che può essere considerata come un ideale regolativo, cui tende e cerca di approssimarsi tutta l’attività scientifica nel suo complesso, i valori cognitivi ai quali si fa riferimento nella filosofia della scienza sono:
  1. il potere esplicativo di un’ipotesi;
  2. la sua semplicità;
  3. la sua accuratezza osservativa;
  4. la sua coerenza con il resto della nostra conoscenza;
  5. la sua applicabilità a settori diversi della conoscenza;
  6. la sua fertilità ovvero la capacità di generare nuova conoscenza.
In quest’ottica, la razionalità che viene spesso associata al sapere scientifico può essere vista come puramente strumentale: le regole metodologiche della scienza sono mezzi destinati a servire valori o fini cognitivi ben determinati come quelli precedentemente elencati. Pertanto le dispute sul metodo della scienza possono essere lette come un riflesso delle dispute sui fini cognitivi ultimi che la scienza dovrebbe promuovere.
Per esemplificare il modo in cui il metodo della conoscenza scientifica possa dipendere da fini cognitivi variamente intesi, si pensi che le varie regole dell’inferenza induttiva proposte da Mill (anno 1843) possono essere viste come un mezzo per trasmettere quanta più certezza possibile dai dati osservativi alle ipotesi.
Il falsificazionismo popperiano, invece, ritenendo che la scienza debba abbandonare la ricerca della certezza, richiede al contrario congetture che a priori hanno una probabilità molto bassa di essere vere, nonché controlli sperimentali severi, i quali hanno lo scopo di confutare tali congetture invece di confermarle! Se in un primo momento la causa delle dispute metodologiche sulla scienza fosse da imputarsi a differenze sui valori epistemici che la scienza deve perseguire, potrebbe sorgere l’impressione che l’unità metodologica della scienza possa essere ottenuta solo appianando insuperabili dissidi su quelli che dovrebbero essere i suoi scopi cognitivi ultimi.
In realtà, è opportuno evidenziare come l’unità dell’impresa scientifica sia da ritrovarsi sia nell’universalità/intersoggettività dei suoi fini sia nella condivisione dei mezzi con cui gli scienziati cercano di raggiungerli ovvero nelle regole del metodo.
Questo implica che non vada bene qualunque regola. Le dispute che avevano animato la filosofia della scienza degli anni Sessanta e Settanta sul “Vero Metodo della scienza” hanno subito un netto declino, anche perché il normativismo tipico di quelle impostazioni è stato rimpiazzato da frequenti tentativi di capire come funzioni la scienza o persino la mente umana quando elabora ipotesi (naturalismo epistemologico).
A parte i frequenti, non del tutto convincenti, tentativi di trasformare la filosofia della scienza in una branca delle neuroscienze o delle scienze cognitive, la comprensione del modo effettivo in cui il cervello umano seleziona dati rilevanti, al fine di costruire una mappa dell’ambiente circostante, può difficilmente essere sottovalutata per la costruzione di una teoria plausibile della modellizzazione scientifica.
Nel caso in cui sia vero che a tutt’oggi rimangono ancora aperte importanti controversie su come avvenga la conferma delle teorie o la giustificazione delle ipotesi scientifiche, tra i seguaci del metodo ipotetico - deduttivo da una parte e dall’altra i “bayesiani”, coloro i quali ritengono che i dati osservativi permettano di conferire alle ipotesi teoriche certi gradi di probabilità, allora tutte le scienze devono risolvere il problema del rapporto tra ipotesi e dati osservativi.
Per quale motivo dovremmo credere alle prime sulla base dei secondi?
Dal punto di vista dei valori epistemici, rimane fondamentale l’esigenza che ogni disciplina scientifica, per essere tale, rispetti anzitutto il valore dell’ accuratezza dell’accordo tra ipotesi e osservazioni, che ricerchi la coerenza di una nuova congettura scientifica con tutto ciò che già viene considerato conoscenza acquisita o di sfondo e, che tra due ipotesi rivali si preferisca quella che riduce il numero di fatti indipendenti che dobbiamo accettare: potere esplicativo visto come unificazione di fatti prima considerati irrelati. In analogia con l’evoluzione delle specie viventi, anche la storia delle teorie scientifiche è caratterizzata da “modifiche” di alcune assunzioni teoriche di fondo accompagnate dalla “selezione”, la quale nel caso delle teorie è operata dal confronto con l’esperienza e gli esperimenti. Secondo Lakatos (anno 1974) analogamente, la “fitness” di una teoria scientifica, quindi la sua fertilità, è misurata dal numero di “discendenti” che riesce a produrre o meglio dal carattere “progressivo o regressivo del programma di ricerca”. Una teoria che non dà alcun contributo allo sviluppo di nuova conoscenza non sarebbe certo catalogata come una “buona” teoria scientifica e, alla fine dovrebbe essere abbandonata al pari di un’ipotesi ad hoc, ovvero di un’ipotesi escogitata ex-post, solo per spiegare qualche anomalia tra predizione teorica e dato osservativo.
Ne consegue che una buona teoria, ovvero una buona risoluzione a un problema scientifico, offre spesso lo spunto per provare ad affrontare nello stesso modo anche questioni non ancora risolte, così come aveva ben compreso Kuhn: l’estensione di un paradigma che ha avuto successo ad altri casi attraverso le cosiddette “generalizzazioni simboliche” è la vera e propria chiave per dar conto non solo dell’aspetto “sociale” dell’apprendimento scientifico ma, anche dei meccanismi che conducono alla scoperta scientifica.

La scienza e il processo: la “prova scientifica”
Siamo tutti molto ignoranti. Ma non tutti ignoriamo le stesse cose”, affermazione di Albert Einstein (1879-1955), padre della fisica moderna e pensatore simbolo del XX secolo, al fine di esplicitare il suo approccio relativistico alla conoscenza scientifica. Nello stesso tempo rimarcava l’importanza della condivisione del sapere e delle competenze ovvero del valore aggiunto derivante dalle sinergie tra gli apporti individuali: una visione che risulta fondamentale in ambiti quale quello in esame. L’apporto degli esperti – periti e consulenti tecnici – che si muovono sulla scena del crimine e nel processo penale, avvalendosi sia di strumenti tecnico-scientifici consolidati che di metodi innovativi, talvolta non ancora avallati dalla comunità scientifica internazionale, può risultare decisivo per la soluzione di casi giudiziari altrimenti inestricabili. Questo non significa, tuttavia, che la scienza sia oggi, come ieri, in grado di fornire tutte le risposte che l’accertamento giurisdizionale rivendica. Il risultato dell’azione degli esperti nel processo penale, difatti, per quanto attendibile possa essere, si traduce pur sempre in “certezze provvisorie”, le quali necessitano di un attento e meditato vaglio giudiziario, nel rispetto delle regole dettate dal codice di rito. Il procedimento probatorio ha le sue scansioni e i suoi canoni, i quali devono essere osservati sempre e comunque, senza che il progresso scientifico e la sua proiezione processuale possano alimentare facili entusiasmi, i quali rischierebbero di mettere in crisi le linee portanti dell’ordinamento.
“Oggi i media, la fiction, la cronaca offrono un’immagine idealizzata della scienza e, il suo metodo viene spesso visto dalla gente comune come infallibile”. Le scienze forensi appaiono investite di aspettative che “spesso superano le loro reali potenzialità” e, come ha affermato Cristina Cattaneo, nota antropologa forense impegnata nelle più importanti indagini di questi ultimi anni, “l’equivoco è che si attribuisce a queste discipline, che [certo] possono fare molto ma non sono prive di limiti e imprecisioni, una sorta di ‘onnipotenza’, la quale può nuocere davvero non solo agli ‘scienziati forensi’ stessi, ma alla giustizia e alle vittime”. Il vero volto delle investigazioni forensi, insomma, è ben distante “dalle versioni patinate che ne danno alcune fiction o dall’immagine completamente falsata che emerge dai casi di cronaca o dai salotti televisivi”. In definitiva, per dirla alla Cattaneo: “innanzi la Corte di Giustizia, la scienza può essere paragonata a un Gran Consigliere (che talvolta può diventare anche un cortigiano, nel senso deteriore del termine)”.
Sulla scia dell’esperienza nordamericana se l’interazione tra scienza e processo penale è un dato ormai acquisito e, se da tale sinergia quest’ultimo ne esce sensibilmente mutato, dobbiamo chiederci quali siano le conseguenze di tale fenomeno sul sapere processuale. Possiamo allora dire che stiamo assistendo ad una mutazione qualitativa del sapere processuale, determinata da un differente modo di condurre le indagini e di dar forma alle prove nel giudizio penale? Scorrendo rapidamente l’evoluzione delle conoscenze scientifiche e tecnologiche applicate al processo penale nel corso dell’ultimo secolo, ci accorgiamo come, a fronte di un innegabile incremento quantitativo delle tecniche utilizzabili nell’esame delle tracce del reato, non emerge uno stravolgimento del tradizionale metodo investigativo e di conseguenza del “codice genetico” del sapere processuale. Occorre che della scienza ne sia fatto un uso accorto e consapevole, per evitare ch...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Il valore della prova scientifica nel processo italiano e americano
  3. Indice dei contenuti
  4. Introduzione
  5. Capitolo 1
  6. Capitolo 2
  7. Capitolo 3
  8. Capitolo 4
  9. Capitolo 5
  10. Capitolo 6
  11. Conclusioni
  12. Bibliografia