Ferrara. Città d'arte
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Quello riportato in questo libro è uno dei testi più accurati, completi e intelligenti mai scritti su Ferrara, articolato com'è in percorsi o itinerari o "passeggiate" attraverso la città, le sue strade e le sue piazze, i suoi palazzi e i suoi monumenti, sempre puntualmente segnalando gli artisti, gli scrittori e gli architetti che l'hanno resa unica al mondo. In appendice, una piantina e le schede relative ai musei con la loro storia e ubicazione.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788835833987
Categoria
Travel

PRIMO ITINERARIO

Dall’ingresso della Stazione ferroviaria agli edifici monumentali della Piazza: il Castello, il Municipio, la Cattedrale.

Ci si lascia alle spalle la Stazione ferroviaria, rifatta dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale: svoltando a destra si giunge alla facoltà di Ingegneria, posta in un ex-zuccherificio e con dinanzi una monumentale installazione dello scultore Agapito Miniucchi. Poco prima è la cosiddetta Darsena city , un complesso intervento urbanistico che si va sviluppando sull’arteria di via Darsena costeggiante il Po di Volano: fra gli architetti coinvolti fanno spicco i nomi di Adolfo Natalini e di Roberto Mascellani.
Dalla stazione si dipartono quindi i viali di raccordo ai caselli autostradali e si può imboccare il lungo rettifilo di viale Cavour. Un tempo qui scorreva il canal Panfilio, che prendeva il nome dal casato di papa Innocenzo X (Giovan Battista Pamphili): il corso d’acqua era navigabile e costituiva un tramite di collegamento tra il centro cittadino e il porto di Pontelagoscuro. Oggi ne sopravvive un ramo sotterraneo che alimenta la fossa del Castello Estense: dopo l’Unità d’Italia si iniziò infatti il tombamento graduale del Panfilio e si eressero via via eleganti palazzi e villini sui lati del nuovo viale dedicato a Cavour, spaziosa arteria di collegamento fra il centro storico e il moderno nodo ferroviario, nonché ingresso alla città di ampio respiro urbanistico.
Interessanti testimonianze dell’eclettismo architettonico in voga agli inizi del ’900 appaiono alcuni edifici superstiti del viale Cavour. Si vedano la Villa Fano-Boari (numero civico 157), costruita nel 1912 dagli ingegneri Antonio Mazza e Domenico Barbantini come un castelletto, in un ibrido stile fra neo-gotico e rinascimentale e, sull’altro lato del viale, la Villa Amalia (n. 194), eretta nel 1905 da Ciro Contini, ornata di ceramiche della famosa manifattura diretta dal toscano Galileo Chini e il Villino Melchiori (n. 184), disegnato da Contini nel 1904 con ricche decorazioni floreali, considerato giustamente il capolavoro del Liberty ferrarese (i cementi floreali furono modellati da Arrigo Minerbi). Le ali laterali vennero aggiunte nel 1910 da Edoardo Roda.
Arrivati quasi all’incrocio con corso Isonzo si nota, a sinistra, il moderno Palazzo I.N.P.S. (n. 164: nell’atrio è una bella decorazione in ceramica policroma di Leoncillo) e sulla destra l’alberata prospettiva del Rione Giardino, costruito negli anni Venti su progetto supervisionato da Contini sull’area della secentesca Fortezza pontificia, distrutta a partire dal 1859. Sullo sfondo è il grande serbatoio dell’Acquedotto, inaugurato nel 1932 e che un po’ si ispira nella forma a un tempietto dipinto da Raffaello: gli autori dell’opera furono Enrico Alessandri e i fratelli ingegneri Savonuzzi, i quali si avvalsero inoltre dell’apporto dello scultore Arrigo Minerbi.
Di fronte all’Acquedotto è stato collocato nel 1993 il curioso Monumento ai Bersaglieri del Po, opera dello scultore Fiorenzo Bacci, mentre nella vicina cinta muraria di viale IV Novembre si rintracciano il secentesco Monumento a Paolo V (alquanto danneggiato) e quello a tre patrioti fucilati nel 1853, col marmoreo medaglione eseguito dallo scultore Saladino di Tricarico nel 2011.
Tornati in corso Isonzo (e intravisto in angolo il “Panfilio”, famoso caffè-concerto degli anni ’20 eretto da Giacomo e Giuseppe Diegoli con le forme di un organo), al civico numero 75 è l’ex-Casa del Fascio dell’ingegner Giorgio Gandini, oggi sede di vari uffici statali, mentre si notano all’incrocio con via Ariosto due interessanti edifici: il Palazzo della Aeronautica (n. 118), progettato negli anni ’30 da Gandini seguendo le dottrine razionaliste e il villino Ascanelli (n. 112), eretto da Contini all’inizio del ’900 in bello stile liberty e nel quale abitò il celebre documentarista Folco Quilici con la famiglia.
Alquanto discutibile è invece il Palazzo dell’I.N.A. (n. 50), che nel progettato attuato nel 1955-57 dall’architetto Giuseppe Vaccaro inglobò il chiostro rinascimentale della chiesa di S. Maria della Rosa con dubbio gusto stilistico. Artisticamente più significativo, nonché fascinosamente retorico, è il prospiciente Palazzo delle Poste del 1929, progettato da Angiolo Mazzoni (architetto ufficiale del “Ministero delle Comunicazioni” in età fascista), il quale vi inserì alcune decorazioni dello scultore Napoleone Martinuzzi e del pittore Giannino Lambertini. I bei vetri sono della ditta veneziana “Venini”.
Superati i giardini pubblici, in cui spicca il Monumento a Giuseppe Garibaldi (1907, opera del romagnolo Tullo Golfarelli), ci troviamo dinanzi alla Torre di S. Caterina, facente parte dell’imponente Castello Estense, che ha una superficie di ben dodicimila metri quadrati. La parte più antica del fortilizio, divenuto il simbolo più caratteristico di Ferrara, è la Torre dei Leoni, posta nell’angolo nord est e che nel XIII secolo si addossava a una porta d’accesso alla città: in quell’epoca difatti le Mura corrispondevano grosso modo all’attuale corso Giovecca.
Sulla Torre (che si può “scalare” dall’interno nel nuovo percorso turistico) è posto un bassorilievo marmoreo raffigurante due leoni con l’elmo in testa e la nordica scritta Wor-Bas (“Sempre avanti”): secondo una fantasiosa tradizione la scultura venne eseguita nel 1248, allorché Azzo VII d’Este sconfisse Federico II a Parma e portò a Ferrara come bottino di guerra due leoni che appartenevano al celebre imperatore. In realtà si tratta di un rilievo lapideo scolpito all’epoca del committente della rocca, ossia Nicolò II d’Este, signore della città alla fine del XIV secolo.
Su progetto di Bartolino da Novara, ingegnere militare autore anche dei castelli di Mantova e di Finale Emilia, alla Torre dei Leoni vennero allora affiancate tre nuove torri, congiunte in una struttura quadrangolare e precedute da avancorpi con ponti levatoi (i cosiddetti rivellini). I lavori furono iniziati il 29 settembre 1385, giorno in cui si festeggiava S. Michele (e infatti il Castello è dedicato al nome dell’arcangelo che scacciò gli angeli ribelli dal Paradiso) e si protrassero per alcuni anni. Il motivo principale che spinse il marchese Nicolò II a voler costruire il fortilizio è legato a un grave fatto di sangue: esasperati dalle forti imposizioni fiscali i popolani avevano fatto scoppiare una rivolta, che si era conclusa con il linciaggio del Giudice de’ Savi Tommaso da Tortona. Sentendosi direttamente minacciato, il marchese, per scongiurare ulteriori pericoli, aveva quindi deciso di costruire il Castello di S. Michele di fianco alla sua residenza e in cui le bocche da fuoco poste sugli spalti non a caso erano rivolte verso la piazza. In seguito la fortezza divenne sede della raffinata vita di corte, perdendo così quel carattere di “maschia” rozzezza che l’aveva contraddistinto all’inizio. Nel corso del XVI secolo vennero difatti abbattuti i porticati interni, allo scopo di dare al cortile un più ampio respiro, furono eliminati merli e bertesche (anche a causa di gravi incendi e di terremoti), vennero sopraelevate le torri, ingentilite da balaustre e da altane, si aggiunsero elementi architettonici di delizioso sapore “manierista”, come il Terrazzino degli Aranci. Queste continue innovazioni, addebitabili a vari artefici quali gli architetti ducali Biagio Rossetti, Girolamo da Carpi, Alberto Schiatti e Giovan Battista Aleotti, unite alla particolare connotazione urbanistica (il Castello sorge ora al centro esatto della città) hanno conferito all’edificio un’aria raffinata e quasi magica, per non dir irreale, che non a caso colpì la fantasia del grande pittore Giorgio De Chirico, il quale lo riprodusse nel celeberrimo dipinto Le muse inquietanti, capolavoro della scuola “metafisica” che si sviluppò a Ferrara durante la prima guerra mondiale.
Se si entra nel Castello dal Rivellino del Soccorso (dinanzi al novecentesco palazzo di proprietà I.N.A. dell’ingegner Gino Cipriani, sorto sull’area delle scuderie ducali) si può respirare ancora l’atmosfera medioevale grazie al ripido ponticello levatoio e alle feritoie a strombo. Di spiccata accezione rinascimentale è invece il cortile, con l’elegante loggia del lato orientale e quella prospicente, contrassegnata da quattro archi ciechi (mentre sugli altri lati si vedono ancora le arcate gotiche a sesto acuto): la ristrutturazione ultima del cortile d’onore si deve al duca Alfonso II, il quale vi fece affrescare le figure dei suoi antenati su disegno di Pirro Ligorio. Superstiti sono rimaste le sei figure monocrome di Estensi divise in tre campiture, oggi poste sotto il loggiato.
Sul lato esterno sud del Castello si trova invece la copia bronzea del cannone La Regina, eseguita nel 1985 in occasione del VI centenario del fortilizio, a voler evocare l’originale, ossia una colubrina realizzata nel 1556 da Annibale Borgognoni e poi andata distrutta.
Nel cortile d’onore alcune ripide scale conducono agli Imbarcaderi, suggestivi ambienti fortemente restaurati a partire dal 1970: ora adibiti ad esposizioni temporanee, questi sotterranei costituivano un tempo l’attracco delle imbarcazioni che giungevano dal canale “Panfilio”.
Al pianterreno del Castello si trovano invece le Sale gotiche, caratterizzate da robusti costoloni in cotto, mentre nelle chiavi di volta compaiono simboli araldici di Nicolò II e del figlio Alberto d’Este.
Vi si trovavano qui le antiche cucine e oggi vi sono posti vari elementi “didattici” atti a ricostruire la storia del monumento: esse appaiono di pittoresco sapore medioevale, così come la Sala del Cordolo e quella della cosiddetta cella di don Giulio, con un’antica scacchiera raffigurata alle pareti.
Saliti sulla ripida Rampa delle Artiglierie, un tempo utilizzata per il trasporto di cannoni e munizioni, si trova una botola che immette alle prigioni interrate: qui nel 1425 furono incarcerati e decapitati Ugo d’Este e Parisina Malatesta, rispettivamente figlio naturale e giovanissima moglie di Nicolò III. Il marchese li aveva sorpresi in flagrante adulterio: secondo la leggenda fu a causa di uno specchio (oggi nel Salone dei Giochi), che per un complicato gioco ottico avrebbe riflesso la loro immagine durante un amplesso.
La tragica storia d’amore ha attirato l’interesse di letterati, pittori e musicisti, soprattutto in età romantica: si ispirarono alla vicenda, tra gli altri, Bandello, Lope de Vega, Byron, Donizetti, Previati, D’Annunzio, Mascagni, Funi. Oltre ai due adulteri nelle celle furono rinchiusi alcuni patrioti durante il periodo risorgimentale: sulle anguste volte si intravedono infatti alcuni dei loro nomi, scritti con il fumo delle candele. Una moderna scaletta posta al termine della Rampa delle Artiglierie conduce a un vano con lacerti di affreschi, nonché alla loggia e al pensile Giardino degli Aranci. L’ambiente fu così sistemato nel XVI secolo (e rifatto nel ’700), divenendo abituale ritrovo di dame estensi e cortigiane: raffinato appare il coronamento di merli e assai suggestivo risulta il panorama sulla piazza principale della città.
Segue il Camerino dei Baccanali: alle pareti del piccolo vano sono disposti frammenti con scene mitologiche e raffigurazioni del Trionfo di Arianna, della Vendemmia e del Trionfo di Bacco.
Ci si imbatte quindi nell’originalissima Cappella, impropriamente detta di Renata di Francia, dal nome della figlia di Luigi XII (sovrano francese) e dal 1528 moglie “calvinista” di Ercole II d’Este. In realtà la cappella fu progettata a fine ’500 per il duca Alfonso II dall’architetto Alessandro Balbi: i quattro Evangelisti sulla volta furono allora dipinti da Giulio Marescotti.
Di fronte all’oratorio si apre l’ex-salone del Consiglio Provinciale, ora detta Sala dei Comuni: il suo aspetto dannunzieggiante è da addebitarsi al rifacimento operato nel 1919-20 dall’abile ebanista romagnolo Ettore Zaccari, il quale scolpì sui pannelli e sugli stipiti delle porte motivi ispirati alla Flora e alla Fauna della provincia ferrarese (e non soltanto). Le decorazioni musive, tra Liberty e precoce Déco, sono invece opera di Giovan Battista Gianotti, mentre quelle a tempera, alquanto orientaleggianti, furono eseguite dal milanese Carnovali, ma sempre su disegno del Gianotti.
Attiguo è il Salone degli Stemmi, che prende il nome dai simboli araldici dei Cardinali Legati, i quali risiedettero nel Castello (ali Est e Sud del piano nobile) a partire dal 1598, data della Devoluzione di Ferrara alla Stato Pontificio. Interrompono la serie dei numerosi stemmi cardinalizi cinque scenografiche vedute a monocromo ispirate ai monumenti della provincia ferrarese, opera di Giuseppe Migliari (1857).
Le più famose decorazioni cinquecentesche superstiti nel Castello sono quelle dell’Appartamento dello Specchio, poste al piano nobile attorno alla Torre dei Leoni e dipinte attorno al 1574 da Ludovico Settevecchie, Leonardo da Brescia e soprattutto da Sebastiano Filippi detto il Bastianino e dalla sua bottega.
Commissionati dal duca Alfonso II, grande cultore di discipline sportive, gli affreschi nel soffitto del Salone dei Giochi costituiscono un interessante repertorio degli sport di origine greco-romana. I tre scomparti al centro della volta raffigurano l’ Altalena, il Trigonale (gioco con le palle) e la Corsa delle Quadrighe. Nei riquadri laterali troviamo poi la Danza pirrica (che incitava al combattimento), il Pancrazio (lotta libera), la Alteristica (lancio delle pietre pesanti), la Lotta greco-romana, il Nuoto, il Lancio del Disco, il Gioco dei Cerchi e quello della Palla. I pannelli sono divisi da fasce ornate con “grottesche”, motivi floreali, putti, animali fantastici e le bianche aquile presenti nello stemma estense. Nel salone è poi visibile un bel camino in marmo: non è rimasto nient’altro del fastoso arredo presente al tempo degli Este. La descrizione di antiche discipline sportive continua nel soffitto dell’attigua Saletta dei Giochi. Nei quattro riquadri vengono rievocati la Danza sugli otri, il Telesiaco (o combattimento di guerrieri con le spade), la Lotta con i cesti (sorta di guanti da pugile), il Combattimento tra Mirmilloni e Reziari (gladiatori romani). Al centro del soffitto sono invece rappresentate quattro sinuose figure femminili, che risultano allegoria delle Stagioni: tutt’intorno sono giochi di putti e fasce ornamentali.
Lasciando sulla sinistra la cosiddetta Saletta dei Veleni (nel cui soffitto è un curioso affresco del 1926 eseguito da Carlo Parmeggiani, il quale ritrasse fra gli astanti il gerarca fascista Italo Balbo con la statuetta della Vittoria) si giunge al terzo ambiente fatto sistemare da Alfonso II. Qui era posta la camera da letto dell’appartamento ducale: non a caso il tema svolto nell’affresco del soffitto non è più l’atletismo ma una bella decorazione allegorica delle varie fasi della giornata. Al centro della volta compare il Tempo alato fra le tre Parche e nei quattro scomparti sono raffigurati l’ Aurora, il Giorno, il Tramonto, la Notte. Il raffinato sapore mitologico-allegorico è illeggiadrito dal fregio con i deliziosi amorini che guidano bighe condotte da strani animali; mentre i valori “ambientali” sono arricchiti dal bel terrazzino della Torre dei Leoni, che però si affaccia sul greve Palazzo della Camera di Commercio (1928), progettato da Sesto Boari, con sculture coeve di Enzo Nenci (e portale del 1960 di Romano Rui).
Di recente sono stati inseriti nel percorso di visita alcuni ambienti che erano stati adibiti alla sede della Prefettura: anzitutto, quelle denominate le Sale del Governo, poiché qui gli Estensi preferivano svolgere le funzioni del governo e l’esercizio della giustizia. Essi furono affrescati nel 1559 da Girolamo Bonaccioli, con belle grottesche e la raffigurazione del dio Pan nell’ovale al centro del soffitto a lacunari nella cosiddetta Sala del Governo, nonché con un girotondo di amorini nella saletta che funge da anticamera.
Ma gli ambienti dell’ex-Prefettura e quelli contigui presentano essenzialmente tracce decorative d’epoca papalina: si vedano la Sala delle Geografie (che ricade nel perimetro della Torre Marchesana), con decorazioni settecentesche a monocromo sulle pareti in cui il quadraturista Anton Felice Ferrari riprodusse la topografia ferrarese disegnata dal cartografo Bonfadini, la Sala della Devoluzione, con quattro scene storiche ambientate nel 1598 ed eseguite da Francesco Saraceni a metà Ottocento, la Sala dei Paesaggi, con dieci lunette dipinte con un gusto “romantico” da un ignoto epigono di Giuseppe Zola, il salottino con il soffitto ornato da arpie in un gusto liberty neo-barocco non lontano da quello della bottega Medini.
La medesima decorazione torna al secondo piano del fortilizio, utilizzato dall’Amministrazione Provinciale, proprietaria dall’Unità d’Italia: nei vari uffici e nelle sale per riunioni sono oltretutto disseminati quadri, sculture e mobili di pregio, che sarebbe auspicabile venissero esposti nell’itinerario di visita.
Ridiscesi nel cortile d’onore, conviene fare un giro attorno al muretto esterno, costruito per motivi di sicurezza dopo che, nel 1507, nella fossa d’acqua del Castello era precipitata una carrozza: si gusteranno molti interessanti particolari. Si va dalla targa araldica tardo-trecentesca con l’aquila estense e la ruota della Torre di S. Giuliano (o di Paolo) alla lapide dinanzi alla Torre dell’Orologio (o Marchesana), che ricorda la fucilazione di otto cittadini durante l’ormai celebre Lunga notte del ’43 (immortalata da Bassani e Vancini), dagli affreschi cinquecenteschi (pressoché illeggibili) collocati nei tre poligoni stellati del rivellino meridionale al settecentesco quanto raro balcone ligneo dell’ingresso settentrionale (e qui si apre una sala con bel soffitto neoclassico con una corsa di biga ed esagoni con i Re di Roma, della bottega di Migliari).
Nell’attigua piazza della Repubblica spicca poi la chiesetta dedicata a S. Giuliano. Essa è stata riedificata nel 1405, come ricorda la lapide dai caratteri gotici posta sul fianco, che fa un diretto riferimento al generoso committente, il camerlengo Galeotto degli Avogadri. Costui si impegnò a far ricostruire col proprio denaro la chiesetta che fino al 1385 sorgeva all’incirca sull’area dove era stata eretta la Torre sud ovest del Castello, detta appunto di S. Giuliano. Se l’interno non presenta opere di particolare interesse (se non un paio di pale cinque-secentesche) assai significativa appare la facciata della chiesa. Vi si raggiungono delicati effetti decorativi grazie all’abilissimo uso del “cotto”, il rosso laterizio che contraddistingue molte case di Ferrara. Assai bello risulta soprattutto il portale, di un gusto gotico “alla veneziana”, arricchito da rilievi con il Padre eterno (cuspide mediana) e l’ Annunciazione (gugliette laterali). Sopra la porta è invece collocato un marmoreo bassorilievo raffigurante S. Giuliano che uccide i propri genitori (in realtà egli era convinto di aver sorpreso la moglie a letto con il proprio amante). Il prospetto è completato da un bel rosone e da finestre ogivali, elementi che si ritroveranno in varie chiese del quartiere medioevale della città. Sulla fiancata, infine, è una piccola quanto preziosa Crocifissione trecentesca.
Dalla piazza della Repubblica si intravede il Monumento a Girolamo Savonarola (1875), scolpito da Stefano Galletti: l’opera è di “teatrale” evidenza, tanto che il frate ferrarese vi è ripreso mentre predica sulla catasta di legna sulla quale venne arso in piazza della Signoria a Firenze nel 1498. Dietro la statua è la cosiddetta “Via Coperta”, ossia una serie di arcate erette alla fine del ’400 allo scopo di creare un collegamento interno tra il Castello e il Palazzo Ducale (oggi Municipio). Sopra questo passaggio un tempo si trovavano i celeberrimi “camerini d’alabastro”, che ospitavano una preziosa collezione d’arte ora dispersa in vari musei stranieri. In seguito la costruzione divenne la residenza dei Pro-Legati papali e poi del Prefetto. Traccia esterna dei “fasti” estensi è rimasto il bel balcone in marmo, realizzato a quanto pare su disegno di Tiziano Vecellio (il grande pittore veneto aveva oltretutto eseguito alcuni dipinti mitologici per i camerini); ottocentesco è invece il piccolo monumento in memoria di tre esploratori trucidati in Africa (opera di Angelo Lana). Il raffinato loggiato a sei archi sulla sinistra di piazza Savonarola fu costruito da Galasso Alghisi nel 1559; sul lato che prospetta su corso Martiri della Libertà vi è stato inciso un “padimetro”, che registra le piene del Po dal 1705 (vi sono difatti segnati i livelli di guardia raggiunti dal fiume a Pontelagoscuro). Inizia da qui la facciata del palazzo Comunale eseguita nel 1738 dagli architetti Angelo e Francesco Santini per creare un degno pendant al prospiciente palazzo Arcivescovile, rifatto nel 1718 dall’architetto Tommaso Mattei (all’interno è u...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. FERRARA. CITTÀ D’ARTE
  3. Indice
  4. Intro
  5. PREMESSA DELL’AUTORE
  6. PRIMO ITINERARIO
  7. SECONDO ITINERARIO
  8. TERZO ITINERARIO
  9. QUARTO ITINERARIO
  10. QUINTO ITINERARIO
  11. SESTO ITINERARIO
  12. SETTIMO ITINERARIO
  13. OTTAVO ITINERARIO
  14. SCHEDE DEI MUSEI DI FERRARA
  15. Ringraziamenti