Cosa di ben diversa natura è il comunismo modernamente inteso. Ne fu data la formulazione da Marx e da Engels nel famoso manifesto dettato nel gennaio 1848. È stato chiamato il «comunismo critico» in contrapposizione a tutte le altre forme di comunismo, vuoi romantico, vuoi mistico-religioso. Uscito in qualche modo dalla filosofia hegeliana, di cui materializzava i presupposti, il comunismo marxista ha due fondamentali caposaldi: il materialismo storico e l'idea-forza della lotta di classe.
A meno di un secolo dalla formulazione teoretica datane dal manifesto il comunismo aveva in Russia il suo primo grandioso e riuscito tentativo di attuazione. Il 25 ottobre 1917, i bolscevichi si impadronivano di Pietrogrado. A pochi giorni di distanza si installavano a Mosca. La storia del mondo assumeva in qualche modo un nuovo aspetto. La Chiesa doveva logicamente e indeclinabilmente pronunciarsi.
In realtà, si era già pronunciata. Fin dalla sua prima Enciclica «Qui pluribus», in data 9 novembre 1846, Pio IX, Papa da meno che sei mesi, passando in rivista gli errori dell'epoca e chiedendo ai vescovi di dedicare ogni loro attività alla protezione della religione cattolica, faceva già un accenno alla propaganda comunistica. Dopo aver segnalato e definito, in maniera piuttosto disorganica, quelli che erano giudicati dalla Curia romana come «mostruosi e fraudolenti errori», con i quali «coloro che si occupano solo di cose mondane tentano accanitamente di assalire la divina autorità della Chiesa e le sue leggi e di calpestare i diritti tanto del potere sacro quanto di quello civile», Pio IX si fermava sul comunismo. E lo colpiva così: «Dottrina funesta e più che mai contraria al diritto naturale, una volta ammessa la quale si abbatterebbero completamente i diritti, i patrimoni, le proprietà e persino la società umana».
A distanza di diciotto anni Pio IX divulgava la sua Enciclica «Quanta Cura» e redigeva un novero di ottanta capi dottrinali ribadendone la condanna già pronunciata e sanzionata in precedenti atti, decreti, ed allocuzioni pontificie. Nel novero figurano naturalmente gli errori socialistici e comunistici, di cui si ricorda che sono già stati formalmente e solennemente riprovati e bollati nella Lettera Enciclica «Qui pluribus», del 9 novembre 1846; nell'Allocuzione «Quibus quantisque» del 20 aprile 1849; nella Lettera Enciclica «Noscitis nobiscum» dell'8 dicembre 1849; nell'allocuzione «Singulari quadam» del 9 dicembre 1854; nella Lettera Apostolica «Quanto conficiamur moerore», del 17 agosto 1863.
In complesso, eravamo ancora allo stadio dei pronunciamenti negativi. Il comunismo era una dottrina nettamente materialistica e la Chiesa, depositaria di tutto quello che c'è di spiritualmente più alto e di più delicato nella trasmissione della civiltà mediterranea, non poteva non assumere e non confermare in tutti i modi la sua irriducibile opposizione. Il giorno però in cui il comunismo avesse avuto nel mondo una sua applicazione concreta, l'atteggiamento della Curia avrebbe dovuto irrimediabilmente sentire il contraccolpo delle sue esigenze diplomatiche e delle sue istanze disciplinari.
Come si sa, le dottrine sociali ed economiche della Chiesa cattolica hanno avuto una esposizione classica e definitiva nella Enciclica «Rerum novarum» sulla condizione degli operai, emanata da Leone XIII il 15 maggio 1891.
L'Enciclica è nettamente anticomunista. La proprietà privata viene energicamente riconosciuta come una esigenza insopprimibile della personalità umana. «Per la sterminata ricchezza del suo riconoscimento che abbraccia, oltre il presente, l'avvenire, per la sua libertà, l'uomo, sotto la legge eterna e la provvidenza universale di Dio, è provvidenza a se stesso. Egli deve dunque poter eleggere i mezzi che giudica più propri al mantenimento della sua vita, non solo pel momento che passa, ma pel tempo futuro. Ciò val quanto dire che oltre il dominio dei frutti che dà la terra, spetta all'uomo la proprietà della terra stessa, dal cui seno fecondo vede essergli somministrato il necessario ai suoi bisogni avvenire. Imperocchè i bisogni dell'uomo hanno, per dir così, una vicenda di perpetui ritorni, sicchè, soddisfatti oggi, rinascono domani. Deve pertanto la natura aver dato all'uomo il diritto a beni stabili e perenni, proporzionati alla perennità del soccorso ond'egli abbisogna: beni che può somministrarci solamente la terra, con la sua inesauribile fecondità».
Messo così in salvo il principio invulnerabile della giustizia naturale della proprietà individuale, la Rerum novarum fa del suo meglio per far sentire alla proprietà stessa la sua funzione sociale, distinguendo preliminarmente l'uso legittimo dal possesso legittimo. L'Enciclica si riporta alla dottrina di San Tommaso: «Naturale diritto per l'uomo è la privata proprietà dei beni e l'esercitare questo diritto è specialmente nella vita socievole non pur lecito, ma assolutamente necessario – è lecito, dice San Tommaso – anzi necessario all'umana vita che l'uomo abbia la proprietà dei beni». (II II Quaest. LXVI, 2). Ma se inoltre si domandi, quale debba essere l'uso di tali beni, la Chiesa, per bocca del santo Dottore, non esita a rispondere che, per questo rispetto, l'uomo non deve avere i beni esterni come propri; bensì come comuni, in modo che facilmente li comunichi nell'altrui necessità. Onde l'Apostolo dice: – Comanda ai ricchi di questo secolo di dare e comunicare il proprio facilmente –. (II a II ae Quaest., LXV, a. 2). Niuno al certo è tenuto a sovvenir gli altri di quello che è necessario a sè ed ai suoi; anzi neppur di quello che è necessario alla convenienza, e al decoro del proprio stato: – perchè niuno deve vivere in modo non conveniente – (II a II ae Quaest. XXXII, a. 6). Ma soddisfatto alla necessità e alla convenienza, soccorrere col superfluo ai bisognosi è dovere: Quello che sopravvanza, date in elemosina – (Luc. XI, 41). Eccetto il caso di estrema necessità, non sono questi, è vero, obblighi di giustizia, ma di carità cristiana, il cui adempimento non si può certamente esigere per vie giuridiche; ma sopra le leggi e i giudizi degli uomini sta la legge e il giudizio di Cristo, il quale inculca in molti modi la pratica del donar generoso, ed insegna – essere cosa più beata il dare che il ricevere – ( Act. XX, 35); e terrà per fatta o negata a sè la carità fatta o negata ai bisognosi: Quanto faceste ad uno dei minimi di questi miei fratelli, a me lo faceste – ( Matth. XXIV, 40). In conclusione, chiunque ha ricevuto dalla munificenza di Dio copia maggiore di beni, sia esteriori e corporali, sia spirituali, a questo fine li ha ricevuti di servirsene al perfezionamento proprio, e nel medesimo tempo come ministro della divina, provvidenza a vantaggio altrui: – Chi ha dunque ingegno, badi di non tacere: chi abbonda di roba, si guardi dall'esser, nell'esercizio della misericordia, troppo duro di mano: chi ha un'arte da vivere, ne partecipi al prossimo l'uso e l'utilità – (S. Greg. Magno In Evang. Hom. IX, numero 7).
Ci si sarebbe potuti domandare in verità se, a risoluzione del problema sociale che ha assunto nella modernità caratteri così nuovi e in pari tempo così urgenti, fosse tempestivo e praticamente utile riesumare ed invocare i principi sociologici di San Tommaso. La configurazione politica ed economica del Medioevo ha caratteri propri, inconfondibili. La tecnica moderna ha fatto del problema sociale un problema per tanta parte nuovo e possiamo dire insospettabile per la mentalità medioevale. Basta pensare che per San Tommaso, come per tutta l'etica del Medioevo, non si concepisce neppure la liceità che si ricavi un reddito dal denaro a prestito, mentre tutta l'economia moderna è proprio basata sul reddito inerte del capitale accumulato, per comprendere di primo acchito che la sociologia escogitata dai maestri della Scolastica è funzionalmente inadattabile alla realtà dell'economia odierna. Noi vediamo di fatto che la Rerum novarum, se potè suonare, al momento della sua comparsa, come una ricelebrazione spiritualmente edificativa dei motivi umanitari che hanno sempre idealmente guidato e avvivato le dottrine della Chiesa, non fu capace di incidere efficacemente sul corso dei fatti e sullo sviluppo dei movimenti di sinistra nel mondo.
La prima guerra europea doveva fatalmente accelerare l'avanzata di questi movimenti di sinistra, verso la realizzazione dei loro programmi. Non senza ragioni profonde politiche, militari, sociali e possiamo anche aggiungere morali e religiose, questi movimenti di sinistra dovevano avere la loro esplosione vittoriosa nella Russia czaristica. La chiesa di Roma si trovava ora di fronte, non più a rivendicazioni teoriche e a ideali astratti. Sui margini orientali della Europa il comunismo diventava una grande realtà politica e sociale, di fronte a cui occorreva prendere posizione. Quale sarebbe stato lo sviluppo della Russia bolscevica? Molti credettero che essa non avrebbe potuto resistere all'attacco delle armate bianche; che ad ogni modo non si ...