Le origini dell'Ascetismo Cristiano
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Le origini dell'Ascetismo Cristiano

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Ecco tutti i capitoli e gli interessantissimi temi acutamente trattati da Ernesto Buonaiuti in questo raro e prezioso libro: Prefazione, Le origini extra-cristiane dell'ascetismo organizzato, L'ascesi neotestamentaria e sub-apostolica, Le tradizioni ascetiche cristiane nel secondo secolo, Origene e Metodio di Olimpo, La crisi religiosa del quarto secolo e la genesi del grande cenobitismo cristiano, Conclusione.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788835858348

LA CRISI RELIGIOSA DEL QUARTO SECOLO E LA GENESI DEL GRANDE CENOBITISMO CRISTIANO

Quando, sconfitti ad Adrianopoli nel luglio del 324 gli eserciti di Licinio, Costantino entrava a Bisanzio, mentre il labarum sventolava alla testa della cavalleria della guardia imperiale, egli attuava il sogno politico dell’unificazione dell’Impero. Annullava il regime tetrarchico concepito da Diocleziano, ma in pari tempo ne proseguiva il programma etico-sociale, che consisteva nel piegare lo Stato romano alle consuetudini dell’Oriente. Se favorendo il cristianesimo Costantino parve introdurre nella costituzione dell’impero un fattore nuovo d’imponente efficienza, in realtà non fece con ciò che perseguire in nuova forma e con diversi elementi il fine medesimo cui aveva mirato, con mezzi impari allo scopo, l’imperatore dalmata: spostare verso levante l’asse politico-militare dell’Impero, così smisuratamente sviluppato e così bisognoso di difesa ai confini, e cercare nelle popolazioni della periferia orientale il fulcro della sua rinsaldata solidità. Soltanto, chiamando al riconoscimento ufficiale la religione cristiana, Costantino cercava nelle classi orientali che Diocleziano, Massimino e lo stesso Licinio avevano più aspramente malmenato, la base etnico-sociale per la vagheggiata sicurezza del suo impero unificato. Si sarebbe il cristianesimo orientale acconciato a questo sottile accaparramento della sua efficienza pubblica a vantaggio di quel potere politico, contro cui la propaganda cristiana aveva costituito inizialmente le sue comunità? Si riaffacciava ad Oriente il medesimo problema che aveva travagliato il cristianesimo latino dopo il 312: ma data la molto maggiore vastità della penetrazione cristiana in Oriente, dati i vantaggi molto più diretti e molto più appariscenti che la conversione di Costantino e la sua protezione aulica arrecavano alle chiese dell’Anatolia e della Siria, si comprende come le conseguenze del gesto religioso costantiniano e delle sue implicite intenzioni politiche dovessero essere ben più vaste e più profonde di quelle suscitate in Occidente dall’editto di Milano e dalla protezione accordata agli ortodossi dell’Africa romana.
Tre grandi crisi infatti si delinearono sollecitamente nell’ambito della società religiosa, cui il sovrano veniva a chiedere una continuata cooperazione nello svolgimento del suo programma politico: una crisi cioè filosofico-teologica, una crisi costituzionale, una crisi etica. Le loro vicende empiono di sé la storia del quarto secolo cristiano e hanno lasciato orme incancellabili in tutto il posteriore sviluppo del cristianesimo cattolico.
Quando Costantino riportava la sua decisiva vittoria su Licinio, la controversia ariana covava già da parecchi anni ad Alessandria. Ma quasi sicuramente la sua eco non avrebbe valicato i confini della organizzazione cristiana in Egitto, non avrebbe suscitato interesse così rumoroso, se, trasportata in Siria e in Anatolia nell’ora stessa del grande successo militare costantiniano, non fosse venuta ad innestarsi sull’immenso rivolgimento di spiriti e spostamento di ceti sociali che la nuova politica religiosa del trionfatore provocava in Oriente. Dopo un primo momento di esitazione e di incertezza, spiegato dalla ancora scarsa familiarità di Costantino con le popolazioni orientali e dall’ancora deficiente discernimento dei fattori etnico-culturali che meglio potevano secondare il suo programma statale – momento di incertezza che permise la vittoria della ortodossia omousiana a Nicea – l’Impero drizzò risolutamente il suo favore verso l’arianesimo. Non avrebbe potuto essere diversamente. Nel sistema del prete alessandrino, erede di una tradizione di pensiero che solamente il regime della persecuzione aveva reso fino allora innocua nell’ambito della società cristiana, la dottrina relativa a Dio e alla sua opera nel mondo smarriva automaticamente ogni contenuto misterioso e soprannaturale, quindi tipicamente numinoso, e si riduceva alle proporzioni di un comune sistema filosofico, perfettamente equiparabile ai molteplici indirizzi della speculazione filosofica. Dai quali lo Stato romano non aveva mai avuto a temere limitazioni teoriche all’esercizio dei suoi poteri e sui quali non erano mai venute costituendosi comunità spirituali, capaci di erigersi in competizione con lo stato e di rivendicare al suo cospetto l’autonomia del proprio programma morale e la inviolabilità delle proprie aspirazioni ultra-empiriche. Non va dimenticato che, condannando nel primo momento di successo atanasiano a Nicea gli scritti di Ario, un editto imperiale li equiparava, con un avvicinamento pienamente logico, alle opere di Porfirio. L’arianesimo, nei suoi postulati, rappresentava di fatto un tentativo di ridurre la teodicea e la cristologia ecclesiastiche a proporzioni strettamente razionali, e quindi di fare del pensiero cristiano un sistema concettuale puramente umano, da cui l’impero avrebbe potuto proficuamente attingere le idee atte a quella disciplina intellettuale, che è, anche essa, un ottimo strumento di governo. Anche il neoplatonismo aveva rappresentato la volontà di imporre al paganesimo una interpretazione rispondente alle raffinate esigenze spirituali del terzo secolo cadente, senza rinnegare la tradizione culturale dell’ellenismo e senza spo[…] [1] associazione religiosa sorta dalla divinazione del numinoso, venivano ad essere esclusivamente conferiti in un organismo investito della amministrazione carismatica. Ponendo Dio Padre in una solitudine ineffabile, dalla quale non era uscito che nel momento designato per la creazione; dando alla divina paternità una origine nel tempo; collocando il Verbo al principio delle realtà create, come primogenito ed esemplare; sopprimendo pertanto il mistero trinitario e, di rimbalzo, quello cristologico, Ario eliminava ogni elemento supernazionale dalla dogmatica cristiana. La laicizzava senza pietà e la rendeva quindi insufficiente e inadeguata a giustificare teoricamente l’esistenza di una intransigente società religiosa, chiamata da Dio a porre e ad alimentare rapporti carismatici fra gli uomini e fra gli uomini e l’assoluto. Ario uccideva così la chiesa nella sua essenza più originale e più delicata: abbattendo il mistero, sopprimeva l’autonomia della società chiamata ad amministrarlo, vulnerava la sovranità dei suoi poteri spirituali. D’altro canto, conservando alcuni esteriori elementi cristiani e incorporandoli in una teodicea puramente razionale, rendeva possibile all’Impero convertito di riprendere quella pienezza di diritti etici e di mansioni spirituali, che la Chiesa era sorta appunto per sottrargli e che in tanto poteva sottrargli, in quanto essi si ritenevano tali da coinvolgere un fascio di esperienze sacramentali e di rapporti mistici, sfuggente ad ogni controllo di quella associazione burocratica puramente empirica, che è, per definizione, lo Stato. In virtù di quell’istinto infallibile che guida prontamente le istituzioni ad avvertire in ogni corrente di pensiero e in ogni tentativo di organizzazione quanto vi si può nascondere di profittevole o di ostico alla affermazione del proprio programma, la massa dei credenti intuì oscuramente l’opposizione funzionale che l’arianesimo implicava ai fini e ai valori della società cristiana, come lo stato e le classi associate ai suoi interessi compresero quale formidabile strumento di lotta antiecclesiastica esso potesse divenire. Per lunghi decenni intorno alle formole ariane, vescovi e sovrani si contesero la validità dei loro poteri e l’inviolabilità delle rispettive pretese. Ma la società che aveva lottato per tre secoli onde imporre allo stato il riconoscimento della propria autonomia, non avrebbe poi potuto barattarla con dei privilegi e delle lusinghe. Per quanto in alcuni momenti l’episcopato stesso, quasi al completo, sembrasse tentennare e cedere al favore insidioso di Cesare, la collettività dei fedeli seppe portare in salvo, al di là della crisi ariana, i titoli della propria esistenza associata.
La crisi teologica abbattutasi sul cristianesimo in Oriente all’indomani della unificazione imperiale e dello intervento di Costantino nelle difficoltà interne della chiesa, un’altra ne conteneva nel proprio seno, di natura strettamente giuridico-costituzionale. Dall’immenso spostamento di interessi e di rapporti burocratici, che portò con sé la creazione della nuova capitale imperiale sulle rive del Bosforo; dalla vasta sostituzione di ceti al potere che derivò dalla nuova professione religiosa di Costantino, doveva logicamente levarsi il problema: la religione, assurta ora agli onori del pubblico riconoscimento, avrebbe conservato di fronte al potere politico i medesimi rapporti e la stessa situazione di dipendenza che avevano vincolato allo Stato il paganesimo tradizionale e i suoi sacerdoti ufficiali? E Bisanzio avrebbe esercitato sulla vita della comunità cristiana la medesima azione che Roma aveva spiegato nella esplicazione del rito e della disciplina del paganesimo? In altri termini, il passaggio ufficiale dell’Impero alla professione del cristianesimo gli avrebbe mai conferito il potere di manometterne la libertà e di sorvegliarne le mosse? Le prime azioni di Costantino, eloquentemente sintetizzate nella frase che Eusebio gli attribuisce: «io sono il vescovo della chiesa per gli affari esterni», stanno ad indicare come l’imperatore dell’editto di Milano intendesse risolvere il problema. Ma anche sul terreno della prassi governativa, come su quello delle formulazioni dogmatiche, la Chiesa avvertì immantinente il pericolo e l’insidia che potevano nascondersi nel favore imperiale. Per tutto il quarto secolo, contemporaneamente alla lotta ariana, ad essa anzi intimamente associata, si svolge la lotta per la affermazione della indipendenza assoluta dell’autorità ecclesiastica e del suo potere sovrano nella sfera dei valori e delle finalità della religiosità cristiana. Il primato spirituale della vecchia Roma, che trova a Sardica nel 343 l’epifania più solenne, deve al patrocinio di Atanasio e, in genere, alla resistenza del cristianesimo alessandrino in lotta contro Bisanzio e fedele ai suoi vincoli con la metropoli dell’Occidente, molto più di quanto comunemente non si creda.
Infine il riconoscimento pubblico della legittimità della società cristiana, l’ingresso trionfale di questa nell’orbita delle istituzioni imperiali, il mutato atteggiamento dei sovrani e il conseguente impinguarsi della comunità, sorta inizialmente dall’annuncio del Regno e dalla pratica della rinuncia, dovevano inevitabilmente generare una crisi etica, che fu senza dubbio, fra quante ne suscitò la conversione di Costantino, la più sottile e la più significativa.
Noi abbiamo visto come l’annuncio neotestamentario non è un codice di Ascetismo, nel significato originale ed etimologico della parola: non implica cioè le regole di un laborioso allenamento interiore, attraverso il quale sia possibile ridurre e sottoporre ad aggiogamento gli istinti dell’animalità e riuscire a costituirsi atleti vittoriosi nell’agone spirituale. In questo senso anzi può sembrare che fra il cristianesimo, da una parte, e, dall’altra, l’Ascetismo inculcato dalle scuole della filosofia ellenistica, dallo stoicismo sopra tutte, corra un divario insanabile. Questo non vuol dire però, come abbiamo mostrato, che al cristianesimo primitivo siano estranei gli ideali della rinuncia e dell’affrancamento dalle cure del mondo onde si ispira la dura disciplina della pedagogia ascetica. Vuol dire soltanto che il cristianesimo, movimento tipicamente religioso, affida l’attuazione di simili ideali allo entusiasmo che sgorga dalla speranza, e al capovolgimento di valori che segue alla palingenesi interiore ( metanoia). L’ascesi stoica e neoplatonica invece, come si conviene a scuole di pensiero e di sviluppo dialettico, la subordina ad un lento processo di purificazione interiore, concepito e praticato come una quotidiana ginnastica. La quale presuppone un pessimismo e un dualismo antropologico molto più fosco e molto più netto di quello che non fosse trapelato a volte negli inni sciolti da Paolo alla santità dei fedeli, vincitori della carne e pervenuti alla impeccabilità dello spirito. Quando l’entusiasmo delle prime generazioni cristiane, quell’entusiasmo che alimentava la loro attitudine alla rinuncia psicologicamente forse più fruttifera della stessa rinuncia effettiva, cominciò ad affievolirsi, e la materia incandescente delle loro esperienze ebbe bisogno di coagularsi in forme stabili di credenza e di prassi, anche gli ideali della rinuncia, ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. LE ORIGINI DELL’ASCETISMO CRISTIANO
  3. Indice
  4. Intro
  5. LE ORIGINI DELL’ASCETISMO CRISTIANO
  6. PREFAZIONE
  7. LE ORIGINI EXTRA-CRISTIANE DELL’ASCETISMO ORGANIZZATO
  8. L’ASCESI NEOTESTAMENTARIA E SUB-APOSTOLICA
  9. LE TRADIZIONI ASCETICHE CRISTIANE NEL SECONDO SECOLO
  10. ORIGENE E METODIO DI OLIMPO
  11. LA CRISI RELIGIOSA DEL QUARTO SECOLO E LA GENESI DEL GRANDE CENOBITISMO CRISTIANO
  12. CONCLUSIONE
  13. Ringraziamenti