Chanson de Roland
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La Chanson de Roland ( Canzone di Orlando o Rolando ), scritta nella seconda metà dell'XI secolo, appartiene al ciclo carolingio ed è tra le opere più significative della letteratura medievale francese. Essa trae spunto da un evento storico, la battaglia di Roncisvalle, avvenuta il 15 agosto 778, quando la retroguardia di Carlo Magno, comandata dal paladino Orlando (o Rolando), prefetto della Marca di Bretagna e dagli altri paladini, di ritorno da una spedizione in Spagna, fu attaccata e annientata dai baschi, nella riscrittura epica trasformati in saraceni.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788835841685
Argomento
Letteratura
Categoria
Poesia

CHANSON DE ROLAND



immagine 1

Re Carlo, il nostro magno Imperatore,
stette per sette interi anni in Spagna.
Fino al mar conquistò la terra alpestre,
e a lui d’innanzi caddero castella,
né un borgo, e non un muro, ancorché saldo,
rimase contro a lui né città, tranne
Saragozza che sta su la montagna.
Re Marsilio la tiene, che come a Dio
a Maometto serve e Apollo chiama:
ma sì non potrà far che mal non lo prenda.


Il re Marsilio stava in Saragozza.
Sotto un olivo se n’è andato a l’ombra:
sopra un lastron di biondo marmo posa.
D’uomini intorno ha più di venti mila
ed ai suoi conti ed ai suoi duchi parla
«Signori, udite qual danno ci incombe!
Di Francia dolce nella nostra terra
sceso a radunarci è Carlo Imperatore.
Ben so che contro a noi vuol bandir guerra
né meco ho io gente da sperar vittoria.
A salvarmi da morte e da vergogna
sì come saggi datemi consiglio!»
Nessun risponde un motto, eccettuato
del castel di Valfonda Biancardino.


Fu costui tra i pagani uno dei più savî;
cavalier di gran core, e in consigliare
il signor suo uom di prudenza assai.
E dice al Re: «Su via, non vi perdete!
In contra a Carlo Magno, altero e forte,
spedite méssi con promesse e doni.
Voi gli darete orsi e leoni e cani,
palafreni, e destrieri e settecento
cammelli e mille astor fuori di muda;
d’oro e d’argento quattro cento muli
onusti e carri da caricar cinquanta,
sì che possa pagarne i suoi soldati.
Quivi ad oste è rimasto ormai sette anni
tempo è che torni in Francia, ad Aquisgrana.
Nel dì festivo di santo Michele
lo seguirete, e dei cristian la legge
accoglierete; suo vassallo fido
diverrete per bene e per onore.
E s’ei vi chiede ostaggi, e voi mandate
o dieci ostaggi o vénti. A sicurtade
mandate un nato de la vostra donna!
Col diritto di morte il figliol mio
gli spedirei: ché minor mal sarebbe
s’ei perdesse la testa, anzi che tolta
a noi fosse la Spagna, e ogni vergogna
deposta, a mendicar fossimo indotti».
Rispondono i Pagan: «Retto è il consiglio!»


E Biancardino ancor dice: «Per questa
mia destra e per la barba che mi scende
ventilante sul petto, in un baleno
l’oste dei Franchi dilungar vedrete.
In Francia torneranno, a la lor terra;
ciascuno a la sua sede, e ne la sua
cappella ad Aquisgrana Carlo il re.
A san Michele egli farà festa grande,
e verrà il giorno designato e l’ora
senza che alcun di noi nuova gli rechi.
Carlo, fiero e crudele, ai nostri ostaggi
domanderà che sian mozze le teste.
Ma sarà minor danno a lor la morte
se a noi serbi la Spagna, e acerbe pene
e doglianze risparmi». Al che i Pagani:
«Forse» notan «costui coglie nel vero!»


Marsilio allor toglie il consiglio. A nome
chiama Clargis di Balaguet e insieme
Estramariz ed Eudropis suo pari.
E Primamo e Guarlan dalla gran barba,
e Baciele con lo zio Matteo;
e d’oltre mar Gusnello e Malprimant,
e Biancardino, per far parlamento.
Erano dieci, dei più gran ribaldi.
E disse il Re: «Baroni, a Carlo andrete.
Egli è ora intento ad assediar Cordova;
palme d’olivo, a simbolo di pace
e di umiltà, recategli. Se il vostro
senno saprà concluder l’amistanza,
d’oro e d’argento gran massa avrete
E gran dominî e terre al piacer vostro».
E i Pagani: «Ben dice il Signor nostro».


Così Marsilio terminò il concilio
ai suoi dicendo: «Baroni, voi andrete
recando nelle man fresche di ulivo
dalla mia parte e a Carlo, per il suo Iddio,
chiederete mercede al Signor vostro.
E gli direte ancor che, prima che cada
questo mese, mi avrà con mille fidi
a la sua Regia, e mi farò cristiano
e suo vassallo, per amore e fede.
Ed avrà ostaggi, se li vuol, per fermo!»
E Biancardino: «Assai buon patto avrete».


Ordina allora il Re che siano recate
innanzi dieci mule bianche. - Le ebbe
dal signor di Sicilice. - Hanno aureo il freno,
selle e fregi d’argento. In su l’arcione
balzan gli ambasciatori. E tutti in mano
di pacifico ulivo recano fronda
in contro a Carlo che ha Francia in balìa
né difender si può da le altrui insidie.


Pien odi letizia e di baldanza è Carlo.
Vinto ha Cordova e con le arco baliste
ha ruinato le torri alte e le mura.
Gran bottino ne han tratto i suoi guerrieri
di belli arredi e d’oro. A la città
ogni infedele è convertito o morto.
In un verziere Carlo magno siede
Con Orlando e Olivier; gli sono intorno
Sansone il duca, ed Anseis il fiero,
e Goffredo d’Angiò gonfaloniere
del Re; Gerino con Geriero ed altri
molti. Vi son quindici mila prodi
de la terra di Francia. I cavalieri,
seduti sopra a candidi tappeti,
giocan per lor sollazzo al tavoliere,
i più savi e i vegliardi, a lo scacchiere
e i baccellieri spensierati a scherma.
Sotto un pino, lungo un bel rosaio
è un sedile d’oro schietto: ivi di Francia
dolce sta il reggitor. Bianca ha la barba,
bianchi i capelli: nobili le membra,
fiero l’aspetto. Chi di lui richiede
tosto conosce il Re senz’altra guida.
E di Marsilio ecco i messaggi. A terra
scesi, salutano per amore e fede.


Primo fra loro Biancardin s’avanza
e dice al Re: «Giusto signor, il Dio,
che solo quindi innanzi adoreremo,
vi dia salute! Tal messaggio il Sire
di Saragozza a voi manda. Gran tempo
la dottrina di Cristo ha meditato;
dei suoi tesori a voi largir gran copia
vuole, ed orsi e leoni e sguinzagliati
veltri e cammelli settecento, e mille
astori fuor di muda e quattrocento
muli carchi d’argento e d’oro, e bene
cinquanta carte che caricar farete,
con quanti mai bisanti di buon conio
vi saran d’uopo ad assoldar milizie.
Troppo qui dimoraste, e giunta è l’ora
di rimpatriare in Francia, ad Aquisgrana.
Colà verrà per la mia fede, Marsilio».
A questo udir, tende re Carlo al cielo
le palme, e il volto pensieroso, abbassa.


Sta meditando un po’ l’Imperatore.
La sua risposta non è pronta. egli suole
parlar pensatamente. Altero apparve,
quando il capo levò nel suo sembiante.
Poi disse ai méssi «Acconcio è il parlar vostro;
ma il re Marsilio è mio nimico assai:
come io mi affiderò di così larghe
promesse?» E il Saraceno: «Con buoni ostaggi;
dieci, quindici, vénti, al piacer vostro.
Con diritto di morte, un mio figliuolo
vi manderò: e di più gentil sangue
credo altri pegni avrete. E allor che poi
nella Regia sarete, a la gran festa
di san Michele del Periglio, il mio
Signor vi sarà presso; ivi egli vuole
ricevere il battesmo ad Aquisgrana
ne’ lavacri che a ivoi fece il Signore».
Carlo rispose: «Ei potrà ancor salvarsi!».


Chiaro in quel giorno risplendette il sole,
e sereno fu il vespero. Re Carlo
fece a le stalle ricoverar le mule
e stendere un velabro in sul verziere
per ripararvi di Marsilio i méssi.
Dodici servi assegnò loro; e quivi
riposarono la notte, in sino a l’alba.
Carlo si risvegliò di buon mattino;
sentì la Messa e il Mattutino; poi,
standosi sotto un pino, i suoi baroni
fece chiamar per tener parlamento:
ché nulla egli suole deliber...

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