Pedagogia e Vita 2019/3
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Pedagogia e Vita 2019/3

Generatività Scelte familiari e relazioni educative

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Pedagogia e Vita 2019/3

Generatività Scelte familiari e relazioni educative

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Informazioni sul libro

La generatività familiare. Nuove prospettive di studio in educazione
Generatività e comunità socio-politica. Uno sguardo pedagogico
La generatività delle famiglie sistemiche. Costruire connessioni a livello intrapersonale e interpersonale
La celebrazione della maternità nella pedagogia di propaganda fascista fra ideologia e realtà
La sete generativa come ermeneutica delle relazioni familiari
Rigenerare genitorialità dalle ferite dei maltrattamenti
Contesti lavorativi che generano benessere
Narrare i propri figli per generare comunità educante
La generatività come azione di emancipazione rappresentativa
La formazione generativa degli insegnanti per educare gli alunni alla sicurezza

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788838250477

Livia Romano, La celebrazione della maternità nella pedagogia di propaganda fascista fra ideologia e realtà

«Perché della maternità adoriamo il sacrifizio? Donde è scesa a noi questa inumana idea dell’immolazione materna?» [1] . Queste parole di sconforto della scrittrice Sibilla Aleramo, donna intellettuale e ribelle che viveva come un fardello i propri doveri di sposa e madre, introducono al tema della maternità nel primo Novecento, fenomeno di rilevanza pedagogica che non può essere indagato separatamente della questione femminile che si diffondeva in quegli anni dentro una società arcaica e maschile.
A ben guardare, si tratta di decifrare una vera e propria «mistica della femminilità» [2] , insieme ad una ideologia maternalistica ambigua e contraddittoria, facendo luce su alcuni prototipi che definivano l’identità della donna all’interno della famiglia patriarcale [3] .
Prima dell’avvento del fascismo, che avrebbe esasperato tale ideologia, come stavano realmente le cose per le donne italiane? La testimonianza di una donna come l’Aleramo, scrittrice anticipatamente femminista, suggerisce che già da tempo, in molti paesi occidentali, fosse diffusa la tendenza a contrapporre due modelli antitetici e inconciliabili di donna: da un lato quello della donna madre, tradizionale, sposa e casalinga che non aveva alcuna voce, passiva e subordinata alla persona paterna, in cui invece si concentrava «tutta l’idea di autorità» [4] ; dall’altro lato la donna considerata trasgressiva, desiderosa di protagonismo sociale e pronta a rinunciare alla propria missione di madre. Veniva cioè descritto un dualismo oppositivo che, nel corso della storia, aveva distinto la donna come regina della casa dalla donna come rovina del focolare, la donna casta dalla donna traviata [5] .
Questo sguardo ambivalente rivolto alla donna aveva preso forma nell’età moderna, quando si era avviata la trasformazione della famiglia in luogo di affetti. Spazio privato in cui andava acquistando peso crescente la qualità delle relazioni interpersonali, la famiglia borghese moderna coltivava un nuovo interesse affettivo ed educativo verso l’infanzia, identificando la figura femminile come madre e separando la sfera privata (moglie-madre e bambini) da quella pubblica (marito-padre) [6] . È stato notato come la scoperta del sentimento dell’infanzia e l’esaltazione della maternità fossero all’origine della condanna di quei «comportamenti femminili inclini esclusivamente alla vita mondana e di salotto», condanna durissima che già Rousseau, nel suo Emilio o dell’educazione, rivolgeva a quelle donne madri che non rispettavano gli imperativi imposti dalla natura [7] . Egli si faceva in questo modo portavoce di una cultura dominante che assimilava la maternità al modello della donna «idolo di bontà», contrapponendolo in forma speculare al modello della donna «idolo di perversità» [8] .
Lungi dall’esaltare il valore etico e pedagogico della figura materna, le ideologie della maternità che sono state erette su questa rappresentazione dicotomica del femminile hanno avuto l’effetto contrario, conducendo i movimenti femminili ad eccessi ed estremismi.
A ben guardare, nel corso degli ultimi due secoli, stereotipare il ruolo della madre e, insieme, quello del padre, ha fatto perdere di vista l’importante ruolo della genitorialità che entrambi, padre e madre, sono chiamati a svolgere all’interno della famiglia, vivendo le differenze come risorsa, non come un ostacolo, e promuovendo un’autentica reciprocità tra il codice materno, in cui prevalgano «le qualità affettive», e il codice paterno, veicolo di «qualità etiche» [9] .
Le pagine che seguono vogliono essere un invito a riflettere sulla ideologia fascista della maternità, ricercando in essa le possibili radici storiche di quella che oggi viene chiamata con preoccupazione «crisi radicale della genitorialità» e, in generale, della famiglia quale luogo di promozione di relazioni educative e autenticamente generative [10] .


1. Maternità e questione femminile nell’Italia pre-fascista

Dopo avere conquistato il potere, Mussolini avviò un programma totalitario finalizzato alla costruzione dello Stato etico fascista, del quale uno dei punti di forza era la famiglia, luogo di massimo investimento della politica di regime al fine di costruire il consenso delle masse [11] . Ristabiliti i ruoli all’interno della famiglia, tracciati i confini tra i generi e chiariti i diversi ambiti di azione dell’uomo e della donna, veniva esaltata e celebrata, attraverso una vera e propria pedagogia di propaganda, la concezione della donna come «essenzialmente madre» [12] . Sarebbe però errato interpretare la visione fascista della donna-madre come una novità introdotta da Mussolini; si tratterebbe di una lettura miope di un fenomeno complesso e di lunga durata che riguardava la questione femminile e, con essa, i ruoli di moglie e madre svolti dalla donna all’interno della famiglia già molto prima dell’avvento del fascismo.
In particolare, nel corso dell’Ottocento, la stessa idea di maternità andava cambiando di significato in relazione ai contesti geografici, ambientali e culturali: essere madre per una donna e moglie di campagna dentro un contesto familiare dalla rigida struttura patriarcale, implicava lo svolgimento dei compiti riproduttivi, ma non di quelli educativi; nelle famiglie borghesi e proletarie, il ruolo di madre andava invece cambiando, anche se veniva vissuto con una certa ambivalenza: da un lato veniva affermata l’inferiorità e la minorità psichica delle donne rispetto all’uomo, dall’altro lato si chiedeva loro di svolgere la delicata e importante missione sociale dell’educazione dei figli [13] .
Mussolini si inseriva abilmente, con precise intenzioni strategiche e politiche, all’interno di questa tradizione culturale ottocentesca che, guardando con sospetto e preoccupazione alla potenziale emancipazione delle donne, ne ribadiva l’inferiorità biologica rispetto al genere maschile e ne riaffermava le qualità femminili all’interno di un modello di famiglia tradizionale. Egli, quindi, rielaborava entro la propria visione totalitaria e fascista, teorie che già da tempo circolavano negli ambienti culturali europei di fine Ottocento e che confluivano, pur nella loro varietà, nell’ipotesi diffusa di una inferiorità naturale della donna. A tal proposito, un’ Inchiesta sulla donna del 1888 [14] aveva evidenziato come i maggiori sostenitori di questa tesi fossero i positivisti, i quali giustificavano scientificamente la condizione di «soggezione economica, sociale e giuridica della donna» [15] . Una delle posizioni più note era quella di Lombroso, il quale, assumendo come parametro di normalità l’uomo, insisteva sull’evidente diversità e inferiorità fisiologica della donna, che veniva assimilata al bambino e al primitivo [16] : la legittimazione scientifica di una simile tesi, largamente diffusa fra gli intellettuali positivisti, era data dalla «grande, miracolosa, funzione della maternità, che per mantenere la vita della specie, sottrae tanta forza alla donna creatrice, e la condanna a un grado minore di evoluzione biologica» [17] . Sulla base di una lettura darwiniana veniva così affermata l’inferiorità fisica, psichica e intellettuale della donna rispetto al genio maschile e spiegata la sua naturale inclinazione alla procreazione e alle cure di casa [18] .
Un’eredità anti-femminista, dunque, quella raccolta da Mussolini, presente anche tra i cattolici reazionari e i nazionalisti del periodo prefascista, che manifestavano la propria diffidenza nei confronti del lavoro femminile, perché avrebbe distratto la donna dalla vita familiare e dalla maternità, l’unica missione alla quale ella era «chiamata per natura e per vocazione divina» [19] .
Il progetto di Mussolini, come sarà chiarito, era quello di restaurare la famiglia precapitalistica, patriarcale, gerarchica e autoritaria, caratterizzata da una netta distinzione di ruoli e che voleva la donna a casa, a svolgere il proprio ruolo di sposa e madre, ma, com’è stato notato, si trattava di un progetto anti-storico e in contrasto con le nuove spinte sociali che, nei primi anni del Novecento, andavano in una opposta direzione: basti pensare ai movimenti per il su...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Generatività. Scelte familiari e relazioni educative
  3. Indice dei contenuti
  4. Abstracts
  5. Hanno collaborato
  6. Editoriale
  7. Luigi Pati, Introduzione Categorie interpretative della generatività
  8. Maria Vinciguerra, La generatività familiare. Nuove prospettive di studio in educazione
  9. Amelia Broccoli, Generatività e comunità socio-politica. Uno sguardo pedagogico
  10. Antonia Cunti, Alessandra Priore La generatività delle famiglie sistemiche. Costruire connessioni a livello intrapersonale e interpersonale
  11. Livia Romano, La celebrazione della maternità nella pedagogia di propaganda fascista fra ideologia e realtà
  12. Rosa Grazia Romano, La sete generativa come ermeneutica delle relazioni familiari
  13. Elisabetta Musi, Rigenerare genitorialità dalle ferite dei maltrattamenti
  14. Paola Zini, Contesti lavorativi che generano benessere
  15. Paola Zonca, Narrare i propri figli per generare comunità educante La prospettiva del dono nella metodologia pedagogia dei genitori
  16. Antonia Rubini, La Generatività come azione di emancipazione rappresentativa
  17. Chiara Bellotti, La formazione generativa degli insegnanti per educare gli alunni alla sicurezza