Un Divino senza Dio
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Un Divino senza Dio

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Informazioni sul libro

Babelico e acrobatico. Funambolo o ponte tibetano. Squarci ed ansie d’Assoluto nell’epoca del trans-globalismo tecnocratico: un denso magma di ardite interpretazioni e poltiglie di concetti attinti dalle più svariate sapienze della terra, tra le ferree smorfie della logica. Lògos mantrico. Visioni salvifiche commiste ad interferenze ontologico-metafisiche.
Un tenue riflesso del bagliore nascosto della verità dell’essere ed il crescente caleidoscopio di figure spirituali, apolidi e metamorfiche, dell’isolamento nichilistico.
(Egon Key)

Domande frequenti

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788865127360

Senza volerlo

La follia

Emanuele Severino ha mostrato in modo incontrovertibile che sussumere la relazione sotto la separazione, ovvero essere convinti che i relati, soggetto e predicato, siano separati originalmente è pura follia perché implica considerare ogni ‘cosa’, ogni ente un nulla. La follia è la fede inconscia per la quale il ciò che sia separabile dallo è con cui si relaziona, di cui si predica, secondo la regola aristotelica per cui “l’essere è quando è, l’essere non è quando non è”.
“Il fondamento ultimo di questo modo di pensare consiste nel concepire i termini di ogni relazione come essenzialmente separabili, cioè esistenti antecedentemente la relazione stessa” [1] . In altre parole esisterebbero determinazioni separate dal loro proprio ‘è’.
All’interno della struttura del significato della verità dell’essere e del suo destino, questa sussunzione si è dimostrata essere immediatamente auto-negativa (vale a dire che la sua negazione si toglie nell’atto di porsi) come altresì dei relati – soggetto e predicato – si è dimostrata la distinzione, congiunta alla loro inseparabilità: tutti gli enti sono distinti dal proprio ‘è’ , ma da questo sono inseparabili. Da ciò deriva necessariamente che ogni ente – in quanto consiste nella sintesi tra ‘ ciò che’ e il suo proprio ‘ è’ – è eterno.


La tutela

È tutto qua. Come insegna Severino, tutto è qua in questa relazione tra inseparabili. In francese viene decisamente meglio: tout est là che detto con entusiasmo ‘suona’ in italiano come “tutela”. Notiamo che questo “è tutto qua” corrisponde al precetto attribuito al maestro della Mishnah Hillel il Vecchio, ma comune a tutte le religioni del mondo: “ non fare ad altri ciò che non vorresti che altri facesse a te”. Questo precetto comanda la Dignità, ovvero il non lasciarsi separare dal proprio essere sé, dunque non farsi violentare, nel senso più vasto del termine, ovvero di diventare ‘ ciò che’ l’altro amandoti vuole che tu sia. Se è già tutto qua ne deriva necessariamente che “ il resto è commento”, come tagliò corto il Maestro Hillel il Vecchio rispondendo al Gentile che domandava del significato essenziale della Bibbia, pretendendo oltretutto una risposta mentre restava in bilico su una sola gamba [2] .
Ora si tratta di capire, adottando il linguaggio di Nicoletta Cusano [3] , quale sia il fondamento su cui si erge l’errore di fondo consistente nel concepire la Determinazione Contingente (DC), tutto quello che appare (nel Cosmo e nel pensiero manifesto al suo interno), come unità di due momenti: la Determinazione Contingente Legata all’essere (DCL) e quella non legata all’essere (DCL meno L ovvero DCP, Determinazione Contingente Pura, cioè non ‘contaminata’ dall’Essere).


Assoluto e relativo

Prima di proseguire devo chiarire come mi appare la relazione tra assoluto e relativo: se, come dicono in Oriente, tutto – ma proprio tutto – è illusione, allora è illusione anche l’affermazione che tutto sia illusione e dunque l’illusione in quanto illusione scompare, non si può porre, non può essere oggetto di alcun significato nel duplice senso di essere ‘fatto segno’ (lato passivo) e di ‘segnare’ (lato attivo).
L’illusione ‘insiste’ dentro di sé, si auto-contiene, fagocita il proprio confine e lasciando così fuori di sé solo il nulla e non ha possibilità di verificare la propria verità, per illusoria che essa sia. Che l’illusione pretenda di indicare la sua sostanza come universale ci sembra una prepotenza che offende la nostra dignità di interroganti, essendo appunto l’atto di interrogare ed interpretare il dono della Dignità che riceviamo insieme alla vita. Doni che hanno certamente il loro inganno.
Insomma per possedere un significato l’illusione deve essere ‘battezzata’ (falsificata) dal reale, da ciò che non è illusione. L’illusione è stretta, catturata, vincolata alla relazione oppositiva con ciò che è altro da sé: il reale. Se dico che Tutto è illusione, è necessario che io abbia esperienza del Reale per poter separare l’illusione dal reale. Il Tutto comprende anche la mia eventuale esperienza del reale e dunque, anche se il reale esistesse, sarebbe illusione la mia esperienza di esso. Quindi come potrei mai dire “tutto è illusione” se la mia esperienza del Tutto è del tutto illusoria?


Categorie dell’Eterno

Analogamente è impossibile affermare l’Eternità dall’interno del Tempo di cui abbiamo esperienza, anche se è facile. Infatti basta togliere ‘inizio’ e ‘fine’ del tempo, ma esso ritorna eternamente nel ‘dire’, proprio perché ci serve per poter ‘dire’ che qualcosa è eterno: l’assenza di ogni inizio e di ogni fine, propria dell’Eterno, implica l’inizio e la fine del tempo, sebbene come ‘tolti’.
L’Eternità è il niente del Tempo anche se il Tempo non riesce a persuaderci della sua essenza. Carlo Rovelli, teorico di punta della fisica quantistica, sostiene che il Tempo non esista, nel suo ultimo libro Secondo l’ordine del tempo. L’Eterno ha il Tempo come sfondo da cui distaccarsi, mostrarsi e consistere nella trama della presenza del Tutto, gloriosamente e infinitamente contraddetta nella modalità propria della contraddizione ‘C’.
A Oriente, per dire la contraddizione C di Severino, dicono che l’Eterno è la madre e il figlio del Tempo. L’Eterno Madre è la più classica delle DCP ( Determinazione Contingente Pura) perché non è compromessa con l’Essere. L’Eterno Madre si dà nel Vuoto quando Tutto era increato, in-apparso e non c’era alcuna materia capace di attrarre attorno a sé il Tempo nel ‘miracolo’ della realtà del ‘concreto’.
L’Eterno Madre deve essere intuito ‘prima e al di là del Tempo’, separato da questo. Nell’Eternità Madre che accoglie il Vuoto non c’è nulla che scorre, tanto meno l’eterno scorrere del tempo. L’Eterno Figlio è invece il ‘niente’ del Tempo come ben lo conosciamo ed è quasi facile pensarlo anche se non sappiamo bene in ‘cosa’ consista il Tempo. Eternità dunque come sospensione del tempo, quindi ad essa relato senza esserne separato.


Nascosto nel profondo

Ciò cui allude Giorgio Colli quando ci avvisa che “ qualcosa è nascosto nel profondo” , nella tenebra, non è il Deus absconditus (Isaia 45:15) al pensiero, ma è il dialogo interiore tra sé e Sé Divino. E non sarà appunto il nostro dialogo interiore tra e , l’immagine che condividiamo, quella immagine richiamata in Genesi 1:26-27: E Dio disse facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza lo facciamo?
Ma se nella tenebra va in scena il dialogo divino tra la Sua intenzione ed il sé empirico, cioè l’esito della sua necessità, sarà necessario che quella stessa tenebra nasconda anche qualcosa d’altro oltre al dialogo: la sua stessa possibilità.
La dialogalità, se così si può dire. Questa non è soltanto l’esistenza di un linguaggio condiviso, ma l’esistenza di due poli: l’emittente e il ricevente. Dunque nascosta nel profondo è la ragione – il ciò per cui è – della dualità. Il dialogo rimanda a questo Superiore che pone la dualità. Abbiamo bisogno di un vettore per risalire al Superiore implicito nel dialogo; ci serve un trascendente ausiliario: la scalità, ovvero l’essenza della scala.

La scala

Appare dunque la scala per poter rimandare all’Ulteriore Superiore, per salire nell’ ancora più sopra fino al termine del pensabile attorno al Divino. Questo Ulteriore Superiore opera come il gluone nella Fisica delle Particelle con i Quark: tiene legati i soggetti interiori dialoganti. Soggetto alla forza del gluone, il Sé domanda al sé: “sei sicuro di rispettare il mandato?”. Questo interrogativo è nascosto nel profondo.
Questa domanda che il pone al Sé divino rimanda su per la scala ai contenuti del mandato posti dall’Ulteriore Superiore e che il Divino esperisce nel dialogo tra e quando si interroga: sto rispettando il mandato? Una domanda assolutamente legittima perché ci sarà almeno un caso – la farsa del Paradiso Terrestre – in cui il mandato verrà tradito: in quell’increscioso episodio il tradimento consistette nel togliere la contraddizione. L’Ulteriore Superiore mandò quindi il Serpente a ristabilire le regole di un gioco equo ovvero completo.
Una volta apparsa ed utilizzata, la Scala non ha alcuna intenzione di scomparire o di essere oltrepassata, ma anzi pretende di permanere come universale ben visibile, eterno, e concreto: insomma un ben oliato cardine persintattico. Gli ulteriori Superiori, visti i buoni servigi offerti dalla Scala (si vedrà più avanti), prendono ‘a cuore’ la sua richiesta facendo della scalità un universale cruciale.
La scalità infatti viene posta come principio cardine della verità, vale a dire come quel principio grazie al quale possiamo stringere ogni ente al suo ‘è’ scalandolo al suo universale: se questo universale non c’è allora il particolare è nulla, è una contraddizione.
Si tratta di un guadagno strategico perché ci consente di isolare il contraddittorio, di identificarlo e quindi di porlo in relazione oppositiva con tutto ciò che non è contraddittorio, con la verità di ogni ente, perla splendente riposta nella conchiglia della in-contraddittorietà che vive negli anfratti di quella roccia chiamata ‘coerenza logica’. Il tutto avendo fede che anche il Dio Creatore operi con coerenza logica e che tutto il reale sia perciò razionale.
Esempio applicativo per mostrare la modalità della funzione veritativa della scalità: in nessun luogo del Cosmo esiste un cerchio quadrato; un cerchio quadrato è nulla, il contraddittorio è nulla, tutti i contraddittori sono nulla.
Esiste però la contraddizione – il contenuto della contraddizione – che li indica, che pretende che questi, i contraddittori, abbiano un significato, il significato che appunto appartiene loro in quanto nulla, non esistenti ma in possesso, quindi vettori, del positivo significato della contraddizione.
Come facciamo a sapere che il contraddittorio sia un nulla? Bene, la tecnica è sempre la stessa: usiamo la Scala e risaliamo all’universale specifico. Dal cerchio, ad esempio, risalendo incontriamo la cerchità ovvero quell’universale che accoglie il cerchio come figura geometrica e la serie di tutte le Determinazioni Concrete Legate all’essere (le DCL di Nicoletta Cusano, cit.) che hanno una relazione significante col cerchio: il cerchio del Sole, il cerchio della ruota, il severiniano cerchio dell’apparire e così via.
Lo stesso dicasi del quadrato: fare quadrato, c’è qualcosa che non quadra, ecc. Quando poi prendiamo insieme il cerchio ed il quadrato, l’unico universale che incontriamo non è la quadrità del cerchio, ma è il contraddittorio. Diciamo un cerchio quadrato per indicare quel nulla in cui tutte le contraddizioni consistono. Ovviamente non si può consistere nel nulla – non fosse altro perché il nulla non ha consistenza – ma solo nel suo positivo significato.
Questo ruolo cruciale della scalità – il salire all’universale e ridiscendere al particolare-specifico – è indicato in modo evidente all’inizio della Bibbia. Ora, secondo la Sapienza Ebraica, questo inizio non è un ‘inizio’ qualsiasi, ma è l’inizio di tutto, è proprio l’Inizio. L’inizio della Bibbia presenta una coppia di lettere: la ‘A’ maiuscola e la ‘a’ minuscola. La stessa lettera in diversa scala!
La coppia ‘ Aa’ simboleggia la centralità della Relazione e, al centro della relazione, il ruolo della Misura: il maiuscolo grande e minuscolo piccolo. Facendo uso della misura ci difendiamo dall’errore, dal dis-armonico, dal brutto, dalla mancanza di stile. Solamente lo stile, come abitudine e disciplina alla misura, riesce a tenere insieme la padronanza delle pulsioni e l’ebbrezza della vita. Senza dimenticare che l’ebbrezza è molto apprezzata dagli Dèi che, come noto, sono privi di ‘vissutezza’.


Do not disturb

L’intenzione è quella di analizzare la questione del perché ci sia un perché originario, ossia a che pro esista la Totalità dell’esistente. La questione è esplicitata in modo mirabile da Meister Eckhart in Liber Parabolarum Genesis, n.34, un passo che vale la pena citare per intero:

Inoltre è detto “In principio Dio creò il c...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Un Divino senza Dio
  3. Indice dei contenuti
  4. Un inizio senza introduzione
  5. Cosa state per leggere
  6. Senza volerlo
  7. Una scala di sette gradini
  8. Per qualche ragione profonda
  9. Il Trascendente in bicicletta
  10. La relazione
  11. Eccedenza d’essere
  12. Stare al proprio sé
  13. Non è a Sè che si può credere
  14. Non ha motivo
  15. Su una gamba sola
  16. Immagine e somiglianza
  17. Comunque essere
  18. Appetito del mortale
  19. Abramo alzò gli occhi verso il remoto
  20. Misticismo ebraico e ontologia fondamentale
  21. Sé: punto di fuga di Ontologia e Teologia
  22. Filosofia e appetito per il Sacro
  23. Vitamine per il Destino
  24. Il sublime del pensiero
  25. Accennare alla Gioia
  26. Un luogo oscuro
  27. Una presenza quantomeno imbarazzante
  28. Il matrimonio mistico di Destino e Prassi
  29. La ritrosia come rigore
  30. Le parole si tacciono
  31. La solitudine del vero
  32. L’amore cinicamente
  33. Si compie danzando la gloria di Sé
  34. La bellezza di Uno
  35. L’Universo in un breve cenno
  36. Divertimento al trivio
  37. La Tenebra è divina
  38. La ‘posizione’ di Ātman e Brahman
  39. Nascosto nel profondo non è “ciò”
  40. Commento, di Roberto Fiaschi