Di notte con tuo figlio
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Di notte con tuo figlio

La condivisione del sonno in famiglia

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Di notte con tuo figlio

La condivisione del sonno in famiglia

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Dormire insieme ai propri figli è stata la norma in quasi ogni epoca e in quasi tutte le culture. Nella società moderna, invece, tale pratica è diventata fonte di innumerevoli interrogativi e motivo di colpevolizzazione. In Di notte con tuo figlio ogni teoria scientifica a sostegno dell'inopportunità, se non addirittura della pericolosità o dell'immoralità di questa abitudine, viene puntualmente confutata. L'autore, massima autorità a livello internazionale in materia, attraverso le più recenti evidenze scientifiche a sostegno dei potenziali benefici del sonno condiviso e tanti utili consigli per prevenire eventuali rischi e inconvenienti, illustra le diverse modalità con cui è possibile dormire con i propri piccoli in tutta sicurezza, e i benefici di stare tutti insieme nel lettone. James J. McKenna, titolare della cattedra di Antropologia Edmund P. Joyce C.S.C., nonché Direttore del Mother-Baby Behavioral Sleep Laboratory (laboratorio di ricerca sul sonno materno infantile) dell'Università di Notre Dame, è tra le massime autorità in materia di allattamento al seno in relazione alla SIDS (Sindrome della morte in culla) e al sonno condiviso. Richiestissimi i suoi interventi a conferenze e convegni medici e sulla genitorialità in tutto il mondo.

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Informazioni

Anno
2011
ISBN
9788865800331
Argomento
Psychology
Categoria
Psychotherapy
PRIMA PARTE
Introduzione al sonno condiviso

I

Cosa si intende Per sonno condiviso1

Sono molte le persone che non comprendono del tutto il significato dell’espressione “sonno condiviso” e che, tuttavia, vi ricorrono in maggioranza perché ne hanno un’idea. Immaginate una leonessa che dorme con i suoi cuccioli, addossati gli uni agli altri: zampe sulle schiene, teste poggiate ai ventri, membra che si levano e calano al ritmo del respiro. Un’intera nidiata stretta in un placido groviglio di contatto e di calore – ecco il sonno condiviso, o quantomeno una sua versione.
È chiaro che ogni specie condivide il sonno secondo modalità uniche, rappresentative delle necessità e delle caratteristiche biologiche specifiche dei propri piccoli e delle loro madri. I primati (tra cui l’uomo), ad esempio, di solito mettono al mondo un cucciolo per volta, dandogli la possibilità di dormire da solo con la madre o con il padre. In questo modo ogni piccolo può ricevere la massima attenzione nel corso di un’infanzia molto prolungata e assai vulnerabile. Soprattutto i piccoli d’uomo necessitano di molto contatto, di sostegno emotivo, di essere allattati e portati.
Per sonno condiviso si intendono le svariate modalità con cui i piccoli dormono a stretto contatto fisico ed emotivo con i genitori, di solito a portata di abbraccio. Che sia per protezione, calore, nutrimento o consolazione, l’uomo e gli altri mammiferi sono soliti dormire fianco a fianco, di generazione in generazione. Questo libro tratta del sonno condiviso così come praticato nella cultura occidentale e nel resto del mondo. In un modo o nell’altro per la nostra specie il sonno condiviso è universale, sin dalla preistoria.
È inevitabile che tale pratica non possa assumere le medesime caratteristiche in ogni situazione, tuttavia è necessario distinguere tra sonno condiviso sicuro e sonno condiviso pericoloso; e se le modalità possono variare da famiglia a famiglia, quello praticato è definibile come “sonno condiviso” qualora vi sia uno scambio di coccole e di abbracci e si dorma abbastanza vicini da permettere la percezione e l’interazione reciproche – indipendentemente dalla condivisione della stessa superficie – e quando almeno un adulto si interessi del benessere del bambino.
È molto importante precisare che per sonno condiviso non si intende solo la condivisione del letto ma, ad esempio, anche la condivisione della medesima stanza, o qualsiasi situazione in cui genitori e figli dormano a portata di abbraccio ma non necessariamente sulla stessa superficie. Una delle difficoltà che ci siamo trovati ad affrontare è stata trovare un accordo circa il fatto che se non tutte le forme di condivisione del sonno sono sicure, esse non sono neppure da considerarsi tutte pericolose. Diverse autorità in campo medico, ad esempio, affermano a torto che “il sonno condiviso è pericoloso”, quando in realtà intendono dire che è il sonno condiviso sul divano o sul sofà a essere pericoloso (il che è sempre vero) oppure che, secondo loro, condividere il letto è pericoloso (il che è vero fino a un certo punto: dipende da come lo si fa). Parlare di sonno condiviso senza specificare il tipo di condivisione a cui ci si riferisce crea più polemiche e confusione del necessario. Se è quasi inevitabile incontrare pareri discordi rispetto all’interpretazione dei dati scientifici (riportati di seguito) relativi alla condivisione del letto, si è in genere più concordi di quanto non sembri su alcune di queste tematiche.
Non esiste un solo modo giusto di condividere il sonno, né un’unica configurazione corretta. Se alcune modalità sono più sicure, altre non lo sono affatto. Una cosa è certa: a prescindere che si dorma sulla stessa superficie o su superfici diverse, o nella medesima stanza piuttosto che in stanze separate, ricordate che nessuno conosce vostro figlio meglio di voi e nessuno è in grado di anticiparne o soddisfarne i bisogni più immediati quanto voi. Le famiglie hanno condiviso materassi, materassini, stuoie, pavimenti, amache. Nel mondo i genitori continuano a dormire con i figli a portata di abbraccio – cullandoli in dondoli appesi al soffitto, avvolti in panni o pelli, o accolti in marsupi in pelle di cammello, o ancora ponendoli in culle fissate al letto.
Molti genitori dormono con i figli sul pavimento. In America c’è chi elimina la struttura del letto per evitare i rischi legati agli interstizi tra le varie parti di mobilio, ponendo il materasso al centro della stanza lontano dalle pareti – se si decide di dormire insieme al proprio bambino, questo è, forse, il sistema più sicuro. Altri dormono nella stessa camera, in stretta vicinanza, l’adulto nel lettone e il bimbo in una culla o in un lettino a pochi centimetri di distanza. Altri ancora si addormentano in stanze separate, per poi riunirsi durante la notte (per la poppata o se, al momento del risveglio, si desidera cambiare letto).
Il sonno condiviso può essere un processo in continua evoluzione: il bimbo che si è addormentato nel proprio lettino all’inizio della nottata raggiunge i genitori nel lettone, in una culla accanto al loro letto, per poi tornare nel proprio lettino. Dai colloqui intrattenuti nel corso degli anni con migliaia di genitori ho dedotto che, di solito, non esiste un unico ambiente in cui far dormire il proprio bambino, ma più di uno. Vostro figlio potrebbe addormentarsi nel lettone restandoci tutta la notte, oppure addormentarsi nel lettone per poi essere spostato mentre dorme, o ancora addormentarsi altrove e, durante la notte, essere accolto nel lettone per la poppata. Potreste, invece, essere voi ad addormentarvi nella sua cameretta, restandoci qualche ora o tutta la notte. Il sonno condiviso può svolgersi sempre nella medesima maniera, notte dopo notte, o assumere modalità diverse man mano che il bambino cresce e il genitore manifesta il bisogno di cambiare.
Tanta variabilità mostra quello che i genitori dei neonati non tardano a scoprire: il ritmo del sonno di un figlio è soggetto a frequenti cambiamenti, e a volte è difficile prevedere il luogo preciso in cui dormirà ogni singolo bambino. Al momento della dentizione potrebbero presentarsi problemi del sonno; crescendo e iniziando a camminare, lo sviluppo cognitivo ed emotivo influirà sui suoi bisogni notturni. Quando il piccolo inizia a dare un senso alle esperienze vissute durante la giornata (alcune delle quali spaventose) potrebbe aver bisogno di più rassicurazioni per riuscire a gestire il maggior smarrimento e gli incubi. Nei momenti di difficoltà trascorrere la notte accanto a vostro figlio è particolarmente rassicurante per lui. Accogliere il proprio bambino nel lettone e allattarlo durante la notte sono la risposta più semplice ai suoi bisogni, indipendentemente dal reddito, dalla cultura o dal ceto sociale della famiglia.
Per gran parte delle famiglie appartenenti a culture non industrializzate dormire con i propri figli risulta naturale, ma quelle che vivono in società industrializzate si trovano spesso a dover “reimparare” metodi specifici di condivisione del sonno. In altre parole la maggioranza di noi ha pochissima esperienza di sonno condiviso – non avendolo, con ogni probabilità, praticato i nostri genitori – e si trova impreparata.
È vero che è necessario essere ben consapevoli del modo in cui condividere il sonno. Se si dorme nel medesimo letto, è bene scegliere con cura dove porlo e come sistemare gli altri figli, eventuali animali domestici e i mobili. Per assicurare la salvaguardia e il benessere del bambino è necessario conoscere le strategie più sicure di condivisione del sonno, specie se si sceglie di condividere il letto. Il corpo delle madri è di certo in funzione del sonno accanto ai figli, tuttavia uno dei possibili problemi è rappresentato dal fatto che lo stesso non vale per i letti di più recente, complessa e svariata realizzazione dove le madri occidentali sono solite dormire. Altri fattori di rischio comprendono la condivisione del letto con una madre fumatrice, o il sonno accanto a un adulto che faccia uso di alcol o di droghe. Le modalità e il luogo scelto dalla famiglia per condividere il sonno possono, tuttavia, adattarsi, o modificarsi, in base alle vostre necessità e a quelle del bambino, per dormire nella maniera più confortevole – e più sicura – per tutti.
Come verrà spiegato nel corso del libro, i genitori devono impegnarsi a fondo per garantire la massima sicurezza del luogo deputato al sonno condiviso. Un impegno che porterà, ai genitori così come ai figli, enormi soddisfazioni. È importante considerare l’effetto positivo che il tipo di condivisione del sonno può esercitare sulla nascita e sul mantenimento di un legame saldo (specie per i genitori costretti a stare lontani dal proprio figlio molte ore al giorno), e quanto esso risulti prezioso soprattutto per il sostegno alla relazione di allattamento materno. Il sonno condiviso ha assunto, oggi come nel corso della storia, un ruolo essenziale nella promozione del benessere e della sopravvivenza infantili, non mancando mai di dare il proprio contributo nel breve e nel lungo periodo a un sano sviluppo.
I genitori tuttavia rischiano di dover subire l’opposizione della famiglia, degli esperti di puericultura e dei pediatri che sottolineano l’importanza di dormire da soli, per i bambini, e dell’intimità, per gli adulti, e di chi definisce rischiosa qualsiasi forma di condivisione del letto, a prescindere dal contesto. Gli oppositori del sonno condiviso sostengono, a torto, che esso generi inevitabilmente “problemi” e che i bambini riescano ad acquisire indipendenza e competenze sociali soltanto attraverso un ristretto campo di esperienze ricollegabili (tra l’altro) all’abitudine di dormire da soli, riducendo al minimo l’intervento dei genitori e il contatto con essi. Niente di più lontano dalla verità scientifica2. Molti, professionisti o profani, sono convinti, in buona fede, che ogni forma di sonno condiviso sia dannosa e che sia impossibile eliminarne i rischi. Eppure la condanna di tutte le tipologie di condivisione del sonno e del letto senza una precisa distinzione tra fattori protettivi e fattori di rischio, e senza considerare la variabilità dei rischi e dei benefici in base al contesto, equivale a voler confondere gusti e ideologie personali con politiche sociali efficaci e una scienza più attendibile e meno parziale.
Sono centinaia di migliaia i neonati e i lattanti, vittime della SIDS (termine con il quale si definiscono le morti infantili per cause ignote), deceduti in culle poco sicure e senza la supervisione di un adulto di riferimento, ad aver dato il via a studi approfonditi volti a individuare i fattori di sicurezza e di rischio di culle e lettini e del loro utilizzo. Nessuno ha mai dimostrato che la condivisione del letto non può essere resa sicura, ma solo che può essere pericolosa. L’affermazione di alcune autorità mediche secondo cui una madre non è in grado di soddisfare i bisogni del proprio bambino durante il sonno viene smentita dalla sopravvivenza infantile nel corso della storia e della preistoria dell’uomo. Su un piano più pratico tale teoria viene smentita dalle lunghe ricerche da noi condotte in laboratorio3, da dati transculturali sull’infanzia e la condivisione del letto nel mondo4 e da dati storici che hanno messo in relazione il sonno condiviso tra madre e figlio e l’allattamento al seno.
Soprattutto, l’idea che qualsiasi modalità di condivisione del letto sia intrinsecamente pericolosa viene confutata dalle stesse madri5, che sono solite dormire con i propri bambini in tutta sicurezza, o che lo hanno fatto nel recente passato. Diffondere tra il pubblico l’idea che il corpo di una madre, a prescindere dalle sue intenzioni, ragioni e capacità, rappresenti un’implicita minaccia per il figlio non solo è scientificamente insostenibile, ma immorale e alla lunga assai più pericoloso, per svariate ragioni, dell’idea stessa del sonno condiviso.
Sono sempre più preoccupato della volontà della società in cui viviamo di ignorare i diritti e le conoscenze acquisite dei genitori, oltre che il loro giudizio, a favore di una “scienza medica della genitorialità” valida per tutti, sempre più impersonale e inappropriata. A parte la quantità di errori ai quali siamo oramai fin troppo drammaticamente avvezzi (raccomandazioni di porre i neonati a dormire a pancia in giù, in camere separate e di nutrirli con il biberon), tale visione del mondo, se non combattuta, mette ulteriormente a rischio la gioia di ogni genitore di crescere i propri figli e, peggio ancora, induce madri e padri a dubitare delle proprie capacità di riconoscere i reali bisogni dei loro bambini e il motivo di tali bisogni, impedendo loro di garantire ai propri figli felicità, sicurezza e salute.
1 Il termine inglese utilizzato è “cosleeping”.
2 Keller M.A. e W.A. Goldberg, Co-sleeping: Help or Hindrance for Young Children’s Independence?, “Infant and Child Development”, 2004, pagg. 369-388, DOI:10.1002/ icd. 365.
3 Mosko S., Richard C. e McKenna J., Maternal Sleep and Arousals During Bedsharing with Infants, “Sleep”, 20 (2), 1997, pagg. 142-150.
4 Nelson E.A.S. et al., International Child Care Study: Infant Sleeping Environment,“Early Human Development”, 62, 2001, pagg. 43-55.
5 McKenna James J. e L. Volpe, An Internet Based Study of Infant Sleeping Arrangements and Parental Perceptions, “Infant Behavior and Child Development”, special issue on cosleeping, Wendy Goldberg.

II

DORMIRE CON IL PROPRIO BAMBINO È NORMALE

Per gran parte della storia dell’uomo (e prima della scrittura), lungo centinaia di migliaia di anni, le madri hanno conciliato in modo efficace sonno condiviso e allattamento al seno per garantire alla prole l’immediato soddisfacimento di bisogni sociali, psicologici e fisici. I piccoli d’uomo alla nascita sono più indifesi rispetto ai piccoli di qualsiasi altra specie. Che vengano al mondo in India o in Papua Nuova Guinea, essi risulteranno particolarmente vulnerabili, lenti nello sviluppo e dipendenti dal contatto con i genitori, che ne garantiranno la sopravvivenza portandoli e nutrendoli. Alla nascita la maggior parte dei mammiferi è dotata di un encefalo che raggiunge il 60-90% delle dimensioni da adulto. L’uomo, alla nascita, ha un cervello pari al 25% delle dimensioni da adulto. Rispetto agli altri mammiferi, i piccoli d’uomo crescono più lentamente, permanendo in uno stato di dipendenza biologica per il periodo più lungo. Per la loro immaturità essi risultano, almeno nei primi mesi di vita, incapaci di regolare la propria temperatura corporea in modo efficace senza la vicinanza della madre, così come di produrre gli anticorpi, presenti nel latte materno, utili a proteggerli da virus e batteri. I piccoli d’uomo non hanno il controllo degli intestini, non sono in grado di parlare, realizzare strumenti, digerire mole-cole di grandi dimensioni, né camminare. Usando le parole dell’antropologo Ashley Montagu, i cuccioli d’uomo vivono una “esogestazione”: la loro gestazione, cioè, si completa dopo la nascita, e necessita della presenza di qualcuno che vi contribuisca.
A causa dell’estrema immaturità dello sviluppo umano, i neonati hanno bisogno dell’odore, del tocco, dei suoni e del movimento del genitore (specie della madre) per sentirsi al sicuro e per il migliore soddisfacimento dei propri bisogni. Tutti i piccoli di primate, uomo compreso, hanno l’esigenza biologica di stare a stretto contatto e in prossimità delle figure di accudimento. Di fatto alla nasc...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Presentazione
  3. Prefazione
  4. Introduzione
  5. L’autore
  6. Ecco perché ho tanto a cuore questo tema
  7. Prima Parte: Introduzione al sonno condiviso
  8. Seconda Parte: Come condividere il sono
  9. Terza Parte: Domande frequenti e consigli generali sul sono condiviso
  10. Appendici