1. L'importanza del dialogo
– Le era stato infilato un insetto nella gola… il particolare non è stato reso pubblico.
– Era una farfalla?
Clarice Starling si sentì mancare il fiato per un momento e si augurò di non aver sentito la domanda. – Era una falena – rispose. – Per favore, mi dica come l'aveva previsto.
– Clarice, ora le dirò perché Buffalo Bill vuole Catherine Baker Martin e poi, buonanotte. È la mia ultima parola alle condizioni attuali. Può riferire alla senatrice ciò che Bill vuole da Catherine, e lei potrà avanzare qualche offerta più interessante per me… oppure può aspettare fino a quando il cadavere di Catherine verrà a galla e vedere che avevo ragione.
– Perché Buffalo Bill la vuole, dottor Lecter?
– Vuole un panciotto con le tette – rispose il dottore.
Clarice Starling e Hannibal Lecter in un passaggio chiave di Il silenzio degli innocenti, di Thomas Harris. Uno scambio indimenticabile. Frasi che entrano nella mente di chi le ascolta e condensano tutto il peso emotivo di un personaggio, di una scena, in un atto tanto semplice e naturale quanto significativo: la parola. Il dialogo.
Per scrivere un dialogo come questo non bastano anni di esercizio, non basta la tecnica, non basta leggere molto. Occorre avere orecchio, occorre essere portati ad avvertire la musicalità del linguaggio parlato. Insomma, occorre avere talento. Non esiste un trucco universale che permetta di scrivere il dialogo perfetto e nessun manuale può offrire, da solo, la garanzia di insegnarci a scrivere scambi di battute alla Cassola o alla Scerbanenco: con la tecnica possiamo capire come strutturare un dialogo, non come scriverlo bene. Quello che un manuale può fare, ed è esattamente ciò che vedremo in queste pagine, è offrire esempi pratici di grandi dialoghi, veri pezzi di bravura da leggere, rileggere e divorare più volte cercando di comprenderne i meccanismi intrinseci per capire come e quando un dialogo è davvero perfetto e coinvolgente, per provare poi a riprodurne di simili. Con questo obiettivo prenderemo in considerazione tutte le tecniche che ruotano attorno al dialogo, per imparare a gestire al meglio il nostro talento e migliorare i nostri dialoghi nella pratica, che mai come in questo caso deve essere seria e costante. Insomma, dobbiamo seguire la prima regola della buona scrittura:
Leggere, leggere, leggere. Scrivere, scrivere scrivere
Lettura come piacere, certo, ma anche e soprattutto come studio, come analisi dei meccanismi, e scrittura come esercizio, come pratica costante di un'arte, quella del dialoghista, che può da sola determinare la sorte di un testo.
2. Le funzioni del dialogo
– Caratterizzare i personaggi
Se è vero che il punto di vista (che abbiamo trattato nel secondo manuale di questa serie) è lo strumento che definisce il peso dei diversi personaggi di un testo, i dialoghi svolgono una funzione altrettanto importante: caratterizzano i personaggi. Li delineano, li schierano, li enfatizzano donando loro spessore e tratti di unicità, spesso ancora di più delle azioni che compiono.
Il sole non illuminava ancora le mura di Grande Inverno, ma nel cortile gli uomini stavano già lavorando sodo.
– Ce ne mette a morire, il ragazzino. – La voce roca di Sandor Clegane, il Mastino, parve rimbalzare contro la torre. – Sarebbe meglio che andasse più in fretta.
Tyrion gettò un'occhiata verso il basso. Il Mastino era di fronte al giovane Joffrey, signorotti del clan Lannister si accalcavano intorno a loro.
– Quanto meno muore in silenzio – ribatté il principe. – È quel suo lupo a fare tutto il chiasso. La notte scorsa non mi è riuscito di chiudere occhio. (George R.R. Martin, Il trono di spade)
Ecco un ottimo esempio di dialogo caratterizzante: nella residenza dei nobili Stark di Grande Inverno è appena avvenuta una tragedia, uno dei figli del padrone di casa è caduto da una torre e lotta contro la morte. E a noi bastano tre frasi di dialogo per inquadrare i personaggi della scena e fissarceli bene in mente. Qui abbiamo il Mastino, sgherro cinico e spietato, e Tyrion Lannister che piega il capo vergognandosi in anticipo per ciò che sta per sentire: già, perché sta per parlare il principe ereditario, e sta per essere dipinto alla perfezione da un'unica frase. Una frase, questo è importante notare, che solo e soltanto lui avrebbe potuto proferire in quella situazione. Joffrey avrebbe potuto tacere, avrebbe potuto fingere dispiacere, avrebbe potuto dire qualsiasi cosa eppure… si lamenta del rumore che gli ha impedito di chiudere occhio di notte. L'azione in fondo sarebbe stata la stessa (Joffrey che parla col Mastino) e anche il succo del discorso sarebbe rimasto lo stesso (il piccolo Stark è caduto da una torre e sta morendo), ma ogni diverso modo di esprimersi avrebbe dipinto un Joffrey diverso. Così il principe, di fronte a un bambino morente, si lamenta per non aver chiuso occhio e questo è il Joffrey che Martin sceglie di presentarci, il suo, originale, Joffrey. Joffrey è uno dei cattivi della serie, è un sadico e un viziato, e lo capiamo subito: in queste quattro parole c'è tutto il suo personaggio.
In questo dialogo così breve e all'apparenza poco significativo (sono nove righe di una serie che in Italia è uscita in più di dodici romanzi) sono racchiuse tutte le caratteristiche di un dialogo caratterizzante: incisività (può bastare un'unica frase per dipingere un personaggio), originalità (non è un dialogo banale o "già sentito"), unicità (solo e soltanto lui parlerebbe così) e coerenza (per il personaggio è quella la risposta più logica).
Vediamo ora un secondo esempio, utilizzando il nostro Mario (personaggio che tormentiamo sin dal primo capitolo) per cercare di costruire un dialogo che abbia le sopracitate caratteristiche di coerenza, incisività, originalità e unicità: Mario è seduto al tavolino di un fast-food insieme a Luca, suo vicino di casa. Mario ordina un hamburger, poi un secondo, poi un terzo… Quando Mario arriva al quinto panino Luca, schifato, gli domanda:
– Ma come fai a mangiarne tanti?
Mario adesso ha un'infinita gamma di possibili risposte da sfoderare… sembra una scelta da poco, dopotutto è una chiacchierata al tavolo di un fast-food, ma un bravo narratore deve sfruttare ogni occasione che gli capita a tiro, e ogni dialogo, anche nella situazione più semplice, è un'occasione per intrigare il lettore e legarlo a doppio filo ai nostri personaggi. Partiamo con una risposta semplicissima, Mario potrebbe rispondere così:
Analizziamo la risposta. "Amo gli hamburger!" è la prima cosa che il lettore si aspetta da un personaggio che divora cinque panini. È una risposta assolutamente logica, quindi rispetta la coerenza del personaggio… ma è banale, è scontata ai limiti del sopportabile (quindi non è originale). Inoltre non aggiunge niente all'azione di Mario (non è incisiva), e chiunque apprezzi gli hamburger potrebbe rispondere allo stesso modo (niente unicità). Insomma, la prima risposta che ci viene in mente non è una buona risposta! Soprattutto, non è caratterizzante.
Occorre più profondità, occorre porci qualche domanda su Mario e sul perché stia divorando hamburger. Così facendo introduciamo il primo di una serie di strumenti indispensabili per un buon dialogo: la motivazione. Soffermiamoci su questo punto: dietro ogni azione che compiamo c'è sempre una motivazione. Conscio o inconscio che sia c'è sempre un perché. Il neonato piange? Forse piange perché ha fame. Io mi sveglio di notte e vado ad aprire il frigorifero? Lo faccio perché ho fame. Mario si siede al tavolo del fast-food e ordina cinque hamburger? Indubbiamente lo fa perché ha fame. Ma a questo primo, minimo livello di introspezione Mario potrebbe rispondere ancora "Amo gli hamburger!" e noi autori non possiamo accontentarci: dobbiamo scavare più a fondo, e possiamo farlo solo continuando con il nostro perché? Ci chiederemo allora: perché Mario ha fame? Ecco allora come potrebbe cambiare la risposta:
– Ma come fai a mangiarne tanti? – chiese Luca.
– Stamattina ho corso quindici chilometri – rispose Mario, – devo recuperare le energie!
Ecco qua. Siamo passati da uno scambio di battute banale e totalmente insignificante a un dialogo che ci comunica qualcosa, in questo caso un'informazione su Mario: Mario si allena nella corsa. Siamo arrivati, cioè, a un dialogo narrativo solo ed esclusivamente ponendoci una domanda e trovando la risposta più adatta al nostro personaggio. Mario mangia così tanto perché si sta allenando, quindi ha una fame spropositata. Magia? No, tecnica.
Analizziamo questo nuovo dialogo: non è certamente la prima risposta che il lettore si aspetta da un divoratore compulsivo di hamburger (quindi è abbastanza originale), in più è una risposta che ha una sua logica (è coerente), che ci fornisce dettagli significativi sul personaggio, visto che apprendiamo che Mario si allena (è quindi incisiva). Ma è unica? O meglio, Mario è l'unico che potrebbe rispondere in questo modo alla domanda di Luc...