L'anima e l'azione. Scritti su cinema e teatro
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L'anima e l'azione. Scritti su cinema e teatro

György Lukács

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L'anima e l'azione. Scritti su cinema e teatro

György Lukács

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La prima antologia in italiano degli scritti di György Lukács sullo spettacolo riunisce le pagine più importanti della riflessione del filosofo ungherese su alcuni dei nodi cruciali delle estetiche novecentesche: la crisi del dramma, la separazione tra forme teatrali e drammaturgiche, la nascita della regia, l’emer-
gere delle esperienze postdrammatiche, l’origine e l’ontologia del cinema. Scritti nel corso di più di mezzo secolo, i testi di Lukács ripercorrono criticamente l’evo- luzione dei cinema e del teatro nel passaggio dal classico al moderno, dalle rivoluzioni delle avanguardie storiche a quelle delle neoavanguardie. Messa da parte ogni lettura ideologica, attraverso un percorso di storicizzazione e riattualizzazione, il volume offre al lettore uno strumento indispensabile di comprensione del presente, riscoprendo la straordinaria, e per certi versi sorprendente, modernità del pensiero di Lukács.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788868228781
Argomento
Arte
Categoria
Fotografía

Parte Prima

I. Premessa a Il dramma moderno

Questo libro tenta di descrivere la storia dello sviluppo del dramma moderno e cerca di dare risposta all’interrogativo se esista un dramma moderno. In caso affermativo ci si deve allora domandare: come è avvenuto il trapasso al dramma moderno? Qual è il suo stile? In quali modi e forme si è dato? È evidentemente una questione di carattere fortemente empirico la stessa definizione di quale espressione drammatica abbia assunto il mondo sentimentale e concettuale della vita moderna. Ma a questa domanda empirica è in grado di fornire una risposta altrettanto empirica solo un buon teatro, un teatro cioè che rappresenti quelle opere drammatiche che possiedono tale carattere; sicché con la qualità della regia e dello spettacolo si dà al contempo la soluzione pratica della questione stilistica. L’effetto che interviene o non interviene sarebbe allora il controllo dell’esattezza delle definizioni. Siccome qualunque effetto reale è influenzato da milioni di circostanze casuali, ci pare dunque superfluo analizzare l’effetto in sé. Sufficiente è constatare come su questa base è forse probabile ricavare notevoli suggestioni sull’essenza del dramma moderno; mentre se si parte dall’empiria e dalla sola prassi è impossibile tracciare confini e creare definizioni esatte.
Si possono tracciare confini soltanto ricorrendo ad astrazioni, ma allora questo libro, che è scaturito dalla prassi immediata, da problemi drammaturgici e registici, diventerebbe sempre più teorico. Negli anni 1904-1907, che mi videro uno dei direttori della Thalia-Gesellschaft[1], io ho affrontato direttamente le questioni sollevate nel presente volume in quanto a quel tempo ero responsabile della scelta e della regia dei testi drammatici. Ma solo quando ho dovuto esporre i vari problemi per iscritto e ho voluto ricondurre ogni singolo interrogativo a cause più profonde e a questioni regolari, il mio lavoro è divenuto teorico e la sua scrittura concettuale. Ciò nondimeno, questo libro resta per me scaturito dalla vita ed è in stretto rapporto con essa, e ora mi congedo dal mio lavoro con la speranza che anche il lettore avverta questa connessione.
*
Il problema fondamentale del libro è dunque: esiste un dramma moderno e quale stile ha? Tale questione però, come ogni questione stilistica, è in primo luogo sociologica. Siccome i limiti del presente volume non consentono ovviamente una trattazione esauriente di questo tema, mi limiterò solo ad alcune osservazioni di carattere generale.
Tra una certa epoca e un’altra ci sono differenze discriminanti più profonde delle diversità riscontrabili nella varietà delle persone. Le grandi irregolarità che possono sovente apparire, ad esempio nella valutazione di dipinti o statue, sono invece molto più rare nella definizione di un’epoca.
E tuttavia: è quasi impossibile ritrovare una sociologia della letteratura. La causa – credo – risiede in primo luogo nella sociologia stessa (prescindendo dal fatto che moltissimi autori preferiscono evitare ogni sintesi effettiva), nell’ambizione di volere presentare come ultima e più profonda causa dei rapporti sociali di un determinato periodo storico lo stato dei suoi rapporti economici e riconoscere in questi l’origine diretta delle sue specifiche manifestazioni artistiche. E questo collegamento, improvviso e in sé troppo semplicistico, è così palese e macroscopicamente inadeguato che anche risultati, che contenutisticamente potrebbero avvicinarsi alla verità, non riescono a provocare effetti convincenti. Gli errori maggiori dell’analisi sociologica rispetto all’arte consistono nel fatto che nelle opere d’arte essa ricerca ed esamina solo i contenuti e traccia una linea retta tra quest’ultimi e i dati rapporti economici. Ma nella letteratura il valore sociale risiede nella forma. Solo la forma trasforma in comunicazione l’esperienza che il poeta compie stando con altri, cioè col suo pubblico. Solo allora l’arte diventa sociale, viene socializzata proprio da questa comunicazione «formata», dalla possibilità dell’effetto e dall’effetto di fatto insorgente.
Certo, nell’applicazione le difficoltà sono molteplici, dato che proprio la forma non viene mai coscientemente esperita e vissuta, e non solo nel soggetto della ricezione ma, anzi, neppure nel suo creatore. Il fruitore crede realmente che i contenuti abbiano agito su di lui e non si accorge che invece solo ad opera della forma egli è stato messo nella condizione di constatare ciò che reputa contenuto: il ritmo, gli stacchi, le accentuazioni e le omissioni, le focalizzazioni di luce e ombra, ecc. – e che tutti questi elementi sono la forma, una parte della forma, le vie che portano alla forma, loro centro invisibile. Il fruitore non si accorge che (nell’arte) non esiste il non formato e che quindi ciò che egli sente come effetto contenutistico è tale solo in misura molto limitata; non avverte insomma che anche l’effetto contenutistico più forte è in realtà così forte perché è proprio con l’aiuto della forma, e solo per il suo tramite, che la possibilità dell’effetto, l’effetto potenziale della materia, può trasformarsi in effetto reale. Raramente, ciò nondimeno, la forma assurge a consapevolezza anche nello spirito creatore. Il soggetto della creazione vive esperienze, ha problemi tecnici e lotta per raggiungere l’immediatezza espressiva. I suoi problemi in parte si situano al di qua, in parte al di là della forma. Molto spesso, in questa sua lotta, egli non prende neppure coscienza della natura vera delle soluzioni tecniche, che in realtà sono solo vie che conducono alla forma. Chi crea può anche non sapere di tendere verso la forma. Un numero ancor minore di artisti riesce a sentire che ciò che chiama «Erlebnis», vita, e cioè vita come materia della propria poesia, non è mai indipendente dalla forma. In sé medesima la visione della forma di un artista, tuttavia, non è un’apparizione spirituale isolata che inizi ad essere attiva quando si tratti di formularla, bensì è un fattore della sua vita spirituale, che con maggiore o minore forza opera sempre: influisce costantemente sulla prospettiva in cui egli si dispone di fronte alle cose e alla vita. Ogni «Erlebnis» – fino ad un certo grado – viene esperito sub specie formae e il materiale della memoria, l’osservazione e la costruzione psicologica, che saranno la materia diretta della creazione, sono vincolate in misura ancor più forte alle possibilità della raffigurazione formale. La forma autentica dell’artista autentico è a priori: è una forma costante di fronte alle cose, un qualcosa senza il quale egli non potrebbe neppure percepirle.
Assumendo questo punto di vista, arriviamo a cogliere un’altra modalità del rapporto sociale della forma. Detto in breve, è il rapporto tra materia e forma. Insorge a questo punto la domanda se e in quale misura la complessiva vita esteriore e interiore di un’epoca, qualora sia penetrata da un poeta, sia adatta a produrre effetti che postulino nuove forme – per molteplici aspetti nate indipendentemente dal poeta – e le rendano possibili. Intendo qui la vita nella sua interezza, naturalmente con ciascuna delle sue possibilità espressive sia interne che esterne. Voglio dire: la vita, che si compone di precisi accadimenti esteriori, con quale forza sensibile riesce a rispecchiare gli accadimenti interiori? Quali uomini esistono in essa? Quali sono i loro sentimenti, pensieri e giudizi? Quali le parole e i gesti, ecc.? Dunque: quale materia la vita offre alla poesia? Quale invece esclude dalla poesia? Qual è allora quella materia che, proprio perché scartabile, non può essere riconosciuta a nessuno, ovviamente neppure al poeta? Qui infatti è possibile parlare di interazione. Dicevamo: la forma è la realtà sociale, partecipa vivacemente alla vita spirituale. Quindi non opera solo in quanto fattore che agisce sulla vita e plasma di sé le esperienze, ma anche come fattore che a sua volta viene plasmato dalla vita. Gli schemi dei rapporti uomo-fato corrispondono alle forme della letteratura, mentre deve essere la vita a fissare i contorni di ciò che noi chiamiamo destino e della sua stessa definizione, a decidere l’intensità con cui lo osserviamo e il modo con cui lo utilizziamo. In certe epoche sono possibili soltanto determinate concezioni della vita e anche se la sociologia della letteratura non può occuparsi della verifica di che cosa produca queste concezioni e visioni della vita e del mondo, stabilisce tuttavia: date Weltanschauungen richiedono, producono forme precise, anzi le rendono possibili e per principio ne escludono altre.
Questo sarebbe il perimetro esterno entro il quale si situano le connessioni interne. Il fattore determinante interno della letteratura è l’effetto, l’effetto che è tanto più generale e profondo quanto più sociale ne è la causa originante. Ma la storiografia degli effetti e lo studio delle cause rientra solo subordinatamente nel nostro compito. Oggetto della nostra osservazione è la letteratura: noi dobbiamo analizzare lo sviluppo delle sue strade storiche, i fattori che l’hanno influenzata e il modo in cui hanno agito sulla sua evoluzione. La storia dell’effetto è un problema psicologico-culturale e storico insieme, in sostanza una questione che abbraccia una serie di interrogativi come: che cosa piace ad un’epoca? Che cosa provoca un dato effetto e perché lo provoca (e qui per letteratura s’intende solo una parte, solo un genere, solo uno dei molti sintomi)? Ma non si insisterà mai abbastanza sull’importanza del significato formale interno dell’effetto e delle sue possibilità: è il terzo criterio che ci serve nella valutazione dell’orientamento sociale della letteratura. E questi sono i punti di contatto: in primo luogo la volontà medesima di produrre l’effetto è già inclusa nella forma e i suoi limiti sono fissati dalle stesse possibilità sociali dell’effetto. Al riguardo importanti sono il compito, il fine dal cui raggiungimento, in certo qual senso, viene condizionata l’opera d’arte stessa. Inoltre è l’effetto che insorge, vale a dire il riflesso dell’effetto, che può intervenire o meno, sull’opera d’arte, cioè sullo sviluppo della letteratura. Allora: l’effetto dei rapporti economici sull’opera è un effetto indiretto, e solo in questo senso può infatti determinarsi – prescindendo allora dalla considerazione per la quale sarebbero i rapporti economici a determinare quali ceti sociali, e in quali proporzioni, costituiscano un pubblico disponibile all’arte. Questo fattore è trascurabile solo fintantoché il discorso permane estremamente generale, anzi è addirittura inessenziale nella maggior parte dei casi particolari perché oggetto della nostra discussione è solo l’evoluzione di un genere. Considerato da questa angolazione, il condizionamento economico del pubblico è di necessità implicito in ciascuno dei tipi qui esaminati. Tuttavia questo fattore è importante in riferimento alla questione di quali strati sociali influenzano la letteratura e il dramma. Il suo confine fondamentale è fissato dalla stessa qualità di questi ceti, dai loro sentimenti, giudizi e pensieri, in sostanza dunque: dalla loro ideologia. Le condizioni economiche allora svolgono solo un ruolo subordinato operante a livello di sostrato; le cause che agiscono direttamente sono invece di natura diversa. Pur sapendo benissimo di costringere i rapporti descritti in uno schema estremamente grossolano, ora tento di schematizzarli nel seguente modo: condizioni economiche e culturali – concezione della vita – forma (nell’artista: a priori della creazione) – vita: vita formata – pubblico – (qui di nuovo serie causale: concezione della vita – rapporti economici e culturali) – effetto – reazione ai diversi effetti provocati dall’opera d’arte – ecc. ad infinitum.
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Questo libro è il tentativo di descrivere la storia di un’evoluzione. Proprio per tale motivo ho dovuto premettere queste osservazioni metodologiche. Ho tentato, almeno per una parte della storia di un genere, di schizzare l’andamento di tale sviluppo. Ma ogni sviluppo è sociale, quindi ho dovuto parlare di sociologia della letteratura. Infatti se è possibile riconoscere e descrivere il valore e la bellezza delle singole opere senza alcun riferimento al sociale, ciò è invece impossibile per il loro contesto e il loro sviluppo. Io credo tuttavia che non esistano le divergenze profonde che vengono viste dai fanatici e parziali sostenitori delle due tendenze. Ho cercato di dimostrare come la letteratura – proprio nei suoi momenti artistici più profondi – sia fortemente determinata dall’humus sociale e come tale influsso dia e possa dare al corso della sua evoluzione una direzione e una regolarità precise. Perché tutti gli altri fattori, dei quali si può parlare in rapporto all’evoluzione, sono casuali o hanno un’importanza secondaria. Secondario è chi ha influenzato un dato autore poiché in qualunque questione relativa allo sviluppo affiora il medesimo problema, ossia si pongono gli stessi interrogativi: come si sia potuta determinare una data influenza, che cosa abbia cercato colui che ha sentito tale influenza in ciò che in realtà l’ha provocata, che cosa costui abbia attinto e quale significato abbia letto che da altri non era stato ancora riconosciuto. Inoltre: qualunque fatto puramente personale ed effetto è (rispetto all’evoluzione) casuale. L’«evoluzione» non è che un fine immaginario al quale portano migliaia di strade, e ogni via ne può creare delle nuove; possiamo considerare l’evoluzione un compito non esprimibile né formulabile nella cui direzione avanzano tendenzialmente tutti. Noi possiamo dedurne il traguardo solo dalla direttrice e dalle cause originanti i movimenti medesimi. La meta, il fine, è dunque un’astrazione, non una «verità», e il suo significato e valore possono essere unicamente questi: ordinare con la maggiore chiarezza possibile i molteplici fenomeni del complesso di dati di fatto e accadimenti che noi chiamiamo moderna letteratura drammatica, inserirli in tutti i possibili rapporti, che siano profondi e tuttavia non contraddittori.
La discussione sul metodo si riduce sempre ad una enumerazione delle circostanze attenuanti, tuttavia è qui forse necessaria affinché il nostro tentativo – che anche rispetto al raggiungimento medesimo dei fini propostici deve essere inteso appunto come un tentativo – non sia valutato sulla base di ciò che esorbita dall’ambito della sua finalità (vale a dire deve essere giudicato soltanto per il suo obiettivo). Il presente libro non pretende di raggiungere una compiutezza esteriore, cerca semplicemente di illustrare una linea di sviluppo. Vuole parlare della moderna letteratura drammatica e prende alla lettera ogni parola del suo titolo. Pertanto non commenta gli scrittori che riprendono e imitano solo l’ornamento esteriore delle opere del passato, né si occupa delle opere di teatro che non rientrano nella vera letteratura o meglio fa allusione ad esse e le menziona qualora la loro influenza (come nel caso del Tendenzdrama francese) abbia avuto un certo peso nello sviluppo della letteratura drammatica in genere; tralascia inoltre completamente, pur stimandoli molto, gli scritti che, benché in forma dialogica, sono sostanzialmente lirici nella loro forma interna (come Browning, Swinburne, Verhaeren, ecc.). E tra gli autori, che pur rientrano nel tema strettamente inteso, si occupa esclusivamente di quelli che nelle loro opere hanno espresso qualcosa di nuovo, qualcosa di originale. Non abbiamo reputato feconda ai fini della trattazione l’analisi delle opere degli epigoni anche dei più famosi (perciò non parleremo né di Heyermans né di Gorkij, precursori di Hauptmann, né di Rostand, epigono di Victor Hugo, ecc.).
[1] Compagnia teatrale di Budapest di cui, tra il 1904 e il 1907, Lukács fu direttore responsabile per la scelta e la regia dei testi drammatici.

II. Il dramma

Il dramma è un’opera d’arte letteraria che mediante la raffigurazione di eventi interumani intende produrre un effetto immediato e forte su una massa riunita nel medesimo luogo. Questo, detto con semplicità e brevità, sarebbe il carattere comune, noto fino alla trivialità, di tutti i drammi, se potessimo trascurare le loro qualità peculiari che sono il prodotto delle circostanze storiche, cioè casuali. Ma proprio dalle circostanze oggettive presenti, grazie alle quali e con l’aiuto della data materia è possibile raggiungere un dato effetto, le qualità formali (astratte) e le leggi del dramma traggono origine e sono derivabili. Nel contempo si riesce a vedere quali siano le condizioni sociali vantaggiose per tali conseguenze formali, in sé paradossali e complicate, come pure risulta finalmente chiaro quali condizioni siano invece svantaggiose, in che misura siano proficue e in che misura non lo siano. È possibile dunque derivare le manifestazioni costanti della storia del dramma, il quadro entro il quale anche le irrazionalità non costanti degli accadimenti oggettivi devono occupare un proprio posto: si possono trovare le sezioni di quelle piante che, benché cresciute in paesaggi e tempi diversi, mostrano identica forma organica.
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Il fine del dramma è l’effetto di massa, e le circostanze oggettive in cui deve raggiungere questo suo fine sono in realtà già implicite nel concetto medesimo di effetto di massa, vale a dire: il tempo a disposizione deve essere relativamente breve. Cosa consegue alla relazione fine-circostanze per la natura (natura che non intendiamo anticipare) della materia che produce l’effetto? La conseguenza della brevità di tempo sulla materia è in primo luogo l’abbreviazione prospettica del fatto rappresentato. Dalla o dalle vite che formano la vicenda si può scegliere la storia isolata (ma questa allora non è nemmeno rappresentabile nella sua piena ampiezza e poliedricità) oppure, se nell’azione determinanti sono più episodi di queste vite, è necessario tratteggiarli in modo ancor più marcato, lasciandoli fissati entro i loro contorni essenziali. In quale direzione si estendono dette riduzioni? Che cosa va evidenziato e che cosa omesso per ottemperare alle condizioni poste dalle circostanze che determinano, con la più semplice e grossolana trivialità, la nascita del dramma? Sulle masse hanno effetto solo universalità di valore: la massa non può mai recepire con forza e spontaneità fatti puramente personali o una visione dei fatti che muova solo da punti di vista personali. L’esigenza della validità universale discende dal concetto stesso di massa: il fatto, l’accadimento, deve essere tale da scuotere all’improvviso la massa; vale a dire il fatto, per essere universalmente valido, deve far riferimento a sentimenti e a esperienze che siano fondamentalmente analoghi ai sentimenti e alle esperienze della massa. La psicologia di massa aiuta a dare un contenuto preciso e reale al concetto di universalità (che qui significherebbe solo il suo opposto personale). La ricezione e la disponibilità della massa pongono come condizione l’universalità sia a livello formale sia a livello sensoriale-contenutistico, o più esattamente: la massa rifiuta una validità che sia universale solo intellettualmente. Dal punto di vista formale si può agire sulla massa, proprio perché essa pensa solo per immagini, esclusivamente mediante queste ultime; il che non solo è una osservazione confermata da molteplici esperienze, ma che deriva ovviamente e necessariamente dalla prima e fondamentale manifestazione dell’essere-nella-massa, il primitivizzarsi dei sentimenti degli uomini che sono parte di essa. La causa contenutistica interna a questa condizione è che nella massa (fintantoché perdura il sentimento di massa) si produce un certo livellamento dei singoli individui; infatti il pensiero astratto, proprio perché provoca l’isolamento, e di conseguenza è il più personale in tutti, finisce con lo svolgere un ruolo insignificante. Completiamo questa convinzione aggiungendo che in tutti i forti sentimenti di massa sono presenti, in misura più o meno grande, le costanti del sentimento religioso: il misticismo, la prevalenza di elementi sentimentali, l’indifferenza agli argomenti logici, l’impazienza nella venerazione e nell’odio del fanatismo, ecc. Per naturale conseguenza l’universalità che la massa, anche se a livello inconscio, pretende come condizione e che agisce maggiormente su di lei – come la validità universale della religiosità – nel suo contenuto non è intellettuale, ma se...

Indice dei contenuti

  1. IntroduzioneLa forma antidrammatica
  2. Parte Prima
  3. Parte seconda