La saga dei Forsyte. Primo volume. Il possidente
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La saga dei Forsyte. Primo volume. Il possidente

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La saga dei Forsyte. Primo volume. Il possidente

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June Forsyte, ricca esponente di una delle famiglie più in vista di Londra, ama Phil Bosinney, un giovane, talentuoso architetto, squattrinato ma con idee originali e rivoluzionarie. È un fastoso ricevimento a suggellare il loro fidanzamento, sotto gli sguardi attenti e spietati dei membri della dinastia. Per il giovane artista, far parte dei Forsyte è una passaggio decisivo per la sua vita: per la sua professione, per il nuovo legame sentimentale di prestigio, per la sua immagine di giovane artista e per il suo futuro. Un futuro che non contempla, però, la presenza della giovane e istintiva June. Perché Irene, la migliore amica di June, la bellissima moglie di Soames Forsyte, nipote del patriarca Jolyon, non è indifferente al fascino di quell'architetto così anticonformista. Il denaro e il successo diventano di colpo cose di nessuna importanza per Phil, mentre una famiglia intera, con i suoi pregiudizi e le sue manie di protagonismo, si scaglia contro di lui. Antesignana di ogni narrazione famigliare, capolavoro sospeso fra passioni e rimpianti, intrighi, tradimenti e sensi di colpa, La saga dei Forsyte è il prototipo di ogni fiction contemporanea, un interminabile, appassionante racconto a puntate che impegnò il suo autore, il Nobel John Galsworthy, per gran parte della sua esistenza. Il possidente, proposto in una nuova traduzione, è la prima parte di questa suggestiva quanto modernissima "dinasty".

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788893040259
Argomento
Letteratura
Categoria
Classici

immagini3

John Galsworthy
La saga dei Forsyte
Primo volume
Il possidente
Traduzione di Gian Dauli
Una realizzazione Falsopiano/Fogli volanti
secondo gli standard dell'International
Digital Publishing Forum
ISBN 9788893040259
Prima edizione digitale 2015

Prima parte

1. Ricevimento in casa del vecchio Jolyon

Coloro i quali hanno avuto il privilegio di partecipare a una festa di famiglia in casa Forsyte hanno goduto uno spettacolo allo stesso tempo attraente e pieno di insegnamenti: ovvero la gran parata di una famiglia della ricca borghesia. Ma qualcuno di quei privilegiati che aveva casualmente qualche dote di chiaroveggenza psicologica, un dono che non ha alcun valore economico e che quindi i Forsyte ignorano, è stato anche, in quell'occasione, testimone di un accadimento che chiarisce finalmente un oscuro problema umano. In altre parole, dalla riunione di quella famiglia nella quale non sarebbe stato possibile identificare tre membri uniti fra loro da un solo sentimento che assomigliasse lontanamente alla simpatia, è scaturita per quello spettatore l'evidenza della misteriosa e concreta forza di coesione che rende la famiglia quell'unità sociale così formidabile, una precisa riproduzione miniaturizzata della società.
Ha potuto vedere le strade tortuose battute dal progresso sociale, ha capito qualcosa di ciò che si chiama vita patriarcale, del crescere delle orde selvagge, dell'affermarsi e del decadere delle nazioni. Un po' come se, dal giorno della piantumazione, avesse visto un albero unico per vitalità tra cento altre piante che stavano morendo inesorabilmente, perché meno ricche di fibra, di linfa e di forza, e lo vedesse un giorno aprire tutte le sue foglie folte e tranquille, nel punto più alto del suo rigoglioso esserci.
Verso le quattro del pomeriggio, il 15 giugno del 1886, un ospite che si fosse trovato nella casa del vecchio Jolyon Forsyte, a Stanhope Gate, avrebbe potuto in effetti contemplare la suprema fioritura dei Forsyte.
La casa celebrava il fidanzamento della giovane June Forsyte, nipote del vecchio Jolyon, con Philip Bosinney. Tutta la famiglia era presente — vestita nei modi più eleganti, i guanti immacolati, i panciotti di camoscio, le piume, gli abiti da cerimonia.
Era venuta anche la zia Ann, lei che non si spostava più, se non pochissime volte, dall'angolo del salotto verde di suo fratello Timothy — là, dove sotto un ciuffo di erba tinta della pampa, che usciva da un vaso azzurro chiaro, rimaneva seduta tutto il giorno a leggere e a fare di maglia, circondata dalle riproduzioni di tre generazioni dei Forsyte. Certo, anche la zia Ann era là, e la sua schiena rigida e la calma dignità della sua anziana figura raffiguravano lo stretto e profondo spirito di possesso che era l'anima di tutta famiglia.
Quando un Forsyte nasceva, si fidanzava, si sposava, i Forsyte erano tutti lì: quando un Forsyte moriva... ma nessun Forsyte era morto fino ad allora... loro non morivano, perché la morte era contraria ai loro principi. Contro di lei prendevano ogni precauzione. Le precauzioni indizio di una potente vitalità che allontana ogni ingiusta invasione di campo.
In quel giorno i Forsyte si mescolavano alla folla degli invitati e sembravano più attenti e più vivaci del solito. Avevano una specie di arzilla irrequietezza, un'aria brillante di rispettabilità, si sarebbe detto che si erano predisposti a sfidare qualcosa. L'aspetto di disdegno diffidente che era la fisionomia solita di Soames Forsyte aveva contagiato tutta la famiglia la quale, al completo, sembrava mobilitata e sul piede di guerra. E quel modo di fare inconsciamente aggressivo di tutta famiglia, in casa del vecchio Jolyon, segnava quel giorno un momento psicologico importante della sua storia e il preludio della tragedia che doveva lacerarla.
Qualcosa eccitava la loro ostilità, un'ostilità di gruppo piuttosto che di un singolo. Il sentimento era rivelato dall'attenta perfezione della loro eleganza, da un'espansione di cordialità familiare, da una specie di esagerazione dell'importanza della famiglia e, infine, da quell'impercettibile aria diffidente e sdegnosa. I Forsyte fiutavano qualcosa attorno a loro, il pericolo, ecco cosa percepivano, la sola cosa che può far affiorare la qualità fondamentale di ogni società, di ogni gruppo e di ogni individuo. Percepire un pericolo li metteva in quell'atteggiamento di difesa: per la prima volta, come famiglia, sembravano intuire di essere al cospetto di qualcosa di estraneo, di straniero, inquietante.
Dietro al pianoforte stava appoggiato un uomo molto alto che portava due panciotti sul suo petto ampio e due rubini sulla cravatta invece dell'unico panciotto e della spilla con diamante che metteva nelle occasioni più normali. La sua vecchia faccia quadrata color cuoio pallido, con occhi ugualmente pallidi, aveva, sopra il colletto di seta, la massima espressione dignitosa. Costui era Swithin Forsyte.
Accanto alla finestra, dove poteva respirare la propria parte e oltre di aria fresca e pulita, suo fratello gemello James che, come l'imponente Swithin, era alto più di sei piedi1 ma era magrissimo, come se dalla nascita fosse stato chiamato a ristabilire l'equilibrio e una buona media (il piatto e il filo della stessa lama, diceva il vecchio Jolyon parlando di loro due). Sempre curvo, pensava a quello che vedeva. I suoi occhi grigi sembravano rapiti da qualche segreta faccenda, ma di tanto in tanto esaminavano, rapidi e furtivi, ciò che accadeva intorno a lui. Le sue guance smagrite da due rughe parallele e il suo labbro superiore lungo e rasato erano inquadrati dalle basette. In mano teneva un ninnolo di porcellana, lo voltava e rivoltava.
Non lontano, mentre ascoltava quello che gli diceva una donna dal vestito marrone, il suo unico figlio Soames, pallido, rasato, bruno, un po' calvo, alzava obliquamente il mento e il naso, con quell'aria di diffidenza ostentata di cui sì è già parlato, come se disprezzasse un uovo che sapeva di non poter digerire.
Dietro di lui il gran George, suo cugino, il figlio di Roger, il quinto dei Forsyte, che ruminava una delle sue sardoniche facezie e che già regalava al suo viso carnoso quell'aria di contenuta ironia.
Ma tutti erano mossi da qualcosa di inerente a quella circostanza speciale.
Tre vecchie signore erano sedute una vicina all'altra: la zia Ann, la zia Hester, le due vecchie zitelle della famiglia Forsyte, e Juley (un diminutivo) che in altri tempi, in un'età già non più verde, si era lasciata andare al punto da sposare Septimus Small, un uomo di salute cagionevole. Sopravviveva a suo marito da molti anni: ora stava a Bayswater Road con le sue due sorelle in casa di Timothy, il sesto e più giovane dei fratelli. Quelle grandame avevano ognuna un ventaglio in mano e qualche nota di colore negli abiti, qualche fermaglio o qualche piuma, posta in evidenza ad attestare la solennità di quell'appuntamento.
Sotto il lampadario, al centro della stanza, come si conveniva a un ospite, era il capo della famiglia, il vecchio Jolyon. Con i suoi ottant'anni, i capelli bianchi, la fronte che ricordava i lineamenti di una cupola, i piccoli occhi grigio scuro e i grandi baffi che cadevano e si estendevano più in basso della mascella, aveva l'aria di un patriarca e, nonostante le guance magre e le tempie scavate, sembrava possedere l'eterna giovinezza. Era quasi eccessivamente diritto: il suo sguardo fermo e autorevole non aveva per niente perduto la sua luminosità. Dava l'impressione, con il suo modo di atteggiarsi, di essere al di sopra dei dubbi e delle quotidiane avversità che agitano i più piccoli tra gli uomini. Aveva sempre affermato, da un tempo lontanissimo, la sua volontà, e per questo si era conquistato una specie di indiscutibile diritto al dominio. Non sarebbe mai venuto in mente al vecchio Jolyon che potesse essere utile assumere un modo di fare inquieto e un'aria di sfida.
Fra lui e i suoi quattro fratelli presenti, James, Swithin, Nicholas e Roger, c'erano molte differenze e tante somiglianze. A sua volta ciascuno di quei quattro fratelli era molto diverso dagli altri. Ma tutti avevano un tratto in comune. Attraverso le fisionomie e le espressioni diverse di quei cinque volti si poteva notare una certa ferma durezza del mento: questo tratto, sotto le superficiali differenze, era una caratteristica di razza troppo antica perché si potesse ritrovarne l'origine, e troppo comune perché la si potesse mettere in discussione. Era il marchio stesso della famiglia e la garanzia del suo successo. Nella generazione dei giovani, nel gran George con la sua aria da toro; nel tipo pallido e volitivo di Archibald; in Nicholas, il figlio, dalla dolce e prudente ostinazione; nel serio Eustace ardito e superficiale, si ritrovava quello stesso tratto caratteristico: era magari meno accentuato ma non poteva in nessun modo ingannare: era il segno di qualcosa di indistruttibile nell'anima stessa della famiglia.
In un momento o in un altro durante quel pomeriggio, tutti quei volti tanto diversi e tanto uguali avevano quella stessa espressione diffidente — una diffidenza che senza dubbio era diretta nei confronti di colui che la famiglia conosceva, proprio quel giorno, per la prima volta.
Di Philiph Bosinney si sapeva che non era ricco. Ma c'erano già stati fidanzamenti e anche matrimoni di ragazze della famiglia Forsyte con giovani senza soldi. Non era questo, quindi, il motivo vero del turbamento che si agitava nell'anima dei Forsyte. Loro stessi non sarebbero stati capaci di spiegare l'origine di quella specie di presentimento che le chiacchiere in famiglia avevano reso anche più insidioso e oscuro. Si diceva, era sicuro, che il ragazzo aveva fatto la sua prima visita alle zie Ann, Hester e Juley con un cappello di feltro grigio e floscio, un feltro floscio e neanche nuovo, una cosa sformata e polverosa. La zia Hester, passando per la piccola e scura anticamera, aveva voluto allontanare quella cosa battendo le mani, perché, miope com'era, l'aveva scambiata per un gatto bizzarro giù di corda... «Tommy aveva amici poco raccomandabili!» ed era rimasta senza parole quando aveva visto che si muoveva.
Come un artista che cerca sempre di scoprire le piccolezze significative nelle quali è riassumibile il carattere di un posto, di un luogo, di una persona, i Forsyte, questi artisti inconsapevoli, avevano tutti fissato la loro attenzione su quel cappello. Per loro fu il piccolissimo indice nel quale passava tutto il senso reale di quella situazione. Ognuno infatti si era domandato: «io avrei forse fatto questa visita con un cappello del genere?»; e tutti avevano risposto allo stesso modo: «No», aggiungendo — quelli più fantasiosi, che «un'idea del genere non mi sarebbe mai venuta in testa».
George, quando raccontarono la storiella, si mise a ridacchiare.. Quel cappello... Evidentemente era una presa in giro, era voluta. Lui stesso se ne intendeva.
«Veramente sprezzante», aveva detto, «un vero filibustiere!»
Questo termine, filibustiere, fece il giro su tutte le bocche e fu presto adottato per designare Bosinney.
Le zie rimproverarono June a proposito di quel cappello.
«Pensiamo che tu non dovresti perdonarglielo...».
June aveva risposto nel suo modo deciso e vivace, da quella piccola incarnazione di decisione che era: «Ma che importanza può avere? Phil non sa nemmeno quello che mette».
Ma nessuno aveva prestato attenzione a una risposta così provocatoria. Un uomo che non sa quello mette? Ma no, non può essere...
Chi era, quindi, questo giovane che fidanzandosi con June, l'erede del vecchio Jolyon, faceva un così buon affare? Un architetto? Non bastava a giustificare un cappello simile. Si dava il caso che nessuno dei Forsyte fosse architetto, ma uno di loro ne conosceva due che mai si sarebbero messi in testa un copricapo così floscio per una visita importante, per di più a Londra. Qualcosa di pericoloso.
«Sì, di pericoloso!».
June, ovviamente, non vedeva alcun pericolo; ma lei, nonostante non avesse ancora compiuto diciannove anni, era già un bel tipo originale. Non era stata lei a dire alla signora Soames, sempre così ben pettinata, che era troppo normale portare delle piume? E la signora Soames aveva rinunciato alle piume: June aveva dei modi così decisi.
Questi dubbi, questi rimproveri e questa diffidenza del tutto franca, non impedirono ai Forsyte di riunirsi quando il vecchio Jolyon li invitò. Un ricevimento a Stanhope Gate era cosa rarissima: da otto anni, precisamente dalla morte della signora Jolyon, non ce n'erano più stati.
I Forsyte non si erano mai ritrovati così, tutti insieme. Era accaduto perché nonostante fossero collegati, come di fatto erano, oltre le loro personali differenze, si erano armati contro un pericolo comune. Come gli animali in un recinto, quando un cane entra nel loro spazio: si stringono testa a testa, spalla a spalla, pronti a partire alla carica contro l'intruso e a ucciderlo, allontanarlo. Erano anche venuti, comunque, per farsi un'idea del regalo che avrebbero dovuto fare. Nonostante la scelta di un regalo di nozze, di solito, era preceduta da domande del tipo: «voi che cosa regalate? Nicholas dei cucchiai», la scelta stessa dipendeva molto dal fidanzato. Se aveva un viso florido, i capelli bene a posto, un'aria di stare bene, diventava necessario regalargli qualche cosa deliziosa: lui ci avrebbe fatto affidamento. E poi per una specie di accordo famigliare al quale si arrivava come le quotazioni arrivano a fissarsi sul mercato, in cui ognuno pensava esattamente al regalo più conveniente e giusto. Le ultime valutazioni venivano fatte nella casa di mattoni rossi di Timothy, una bella casa, con una vista sul parco, dove abitavano le zie: Ann, Juley e Hester.
Ora la storia del cappello bastava da sola a giustificare il disagio dei Forsyte. Non sentire un tale imbarazzo sarebbe stato un cattivo segno per una famiglia nella quale sopravviveva fortunatamente quel culto delle apparenze che deve sempre distinguere l'alta borghesia. E d'altra parte sarebbe stato impossibile.
Il colpevole era in piedi accanto alla porta, in fondo, e parlava con June. Con i suoi capelli mossi e disordinati sembrava capisse di essere in un posto insolito. E sembrava anche si divertisse fra sé e sé.
George disse piano al fratello Eustace:
«Mi pare uno che potrebbe benissimo togliersi di torno, quell'indomabile filibustiere!».
Quest'uomo di stranissimo aspetto, come più tardi avrebbe detto la zia Juley, era alto nella media ma era robusto. Viso pallido e bruno, baffi scuri, zigomi rilevati e guance affilate. La fronte correva come in discesa verso la cima della testa ma sopra gli occhi si apriva ad arco, dando l'impressione di quelle fronti che si vedono nella gabbia dei leoni allo zoo. Aveva le pupille di un bruno liquido e dorato e lo sguardo era così distratto, qualche volta, da apparire sconcertante. Il cocchiere del vecchio Jolyon, dopo avere accompagnato June e Bosinney al teatro, aveva detto al maggiordomo, al suo ritorno:
«Non so cosa pensare. Mi sembra un leopardo non del tutto addomesticato».
Ogni tanto un Forsyte si avvicinava alla porta dove i fidanzati parlavano, girava lì attorno e guardava con aria noncurante Bosinney.
June si protendeva un po' in avanti come per respingere quella curiosità fuori luogo. Era una creatur...

Indice dei contenuti

  1. Prima parte
  2. 6. Nel quale si vede tutto James, quanto è lungo
  3. 5. Soames e Bosinney si scrivono
  4. 12 June fa qualche visita
  5. 6. Soames dà la notizia
  6. 7. La vittoria di June