Franco Enna
Brivido all'italiana Il segreto di Marianna
Una realizzazione Falsopiano/Fogli Volanti
secondo gli standard dell'International Digital
Publishing Forum
ISBN 9788893041355
Prima edizione digitale 2018
IL SEGRETO DI MARIANNA
1
L'umidore della boscaglia, l'aria fredda che saliva dal torrente in piena, gli diedero refrigerio. L'odore delle erbe gli portò un ricordo antico, e lui pensò agli ultimi anni dell'adolescenza, quando, alla fattoria di Luca Simoni, suo padre, andava a caccia di quaglie, prima di giorno. Si alzava stordito, metteva la testa sotto l'acqua per scrollarsi di dosso il peso del sonno, poi si affacciava alla porta di casa, e il cielo perlaceo sulle colline, l'odore delle mucche al pascolo, il sapore di frutto acerbo del mattino, gli davano una gioia quieta e stupita.
Ristette sul ponte per guardare il torrente che scrosciava in un nembo di spuma. Non c'erano voci sul sentiero, né latrati. Si convinse che era stato un falso allarme. Forse aveva fatto male a lasciare le strade dov'era facile confondersi con la gente. Ma ora che si trovava avvolto dalla frescura delle piante, non si sentiva il coraggio di affrontare il sole. Aveva bisogno di pace. I boschi gli erano sempre piaciuti. Forse nella sua natura c'era qualche cosa di vegetale che lo spingeva verso il cielo, mentre certe sue radici affondavano nel fango.
Si arrampicò più calmo sul sentiero ripido, lasciandosi alle spalle il paese con le sue poche case aggruppate lungo il torrente. Ne aveva letto il nome passando: Cinia. Ma lui già lo ricordava. Ai tempi della guerra di Liberazione vi era stato nascosto per qualche giorno, aiutato da un vecchio, padre di un partigiano. Poi anche lui si era dato alla macchia. Anche quell'epoca ricordava con commozione. Era fuggito da Udine per un oscuro desiderio di rivolta e di libertà; e aveva gettato in quel tombino l'uniforme, aveva percorso un centinaio di chilometri rischiando la pelle a ogni passo nella speranza di raggiungere il territorio jugoslavo. Qualche cosa, in lui, aveva voluto che agisse così. Come ora!
I primi alberi gli vennero incontro in un riverbero grigiastro di cortecce, poi da quel colore, a distanza, saltò fuori il rosso della lunga casa.
Si fermò per riprendere fiato, si asciugò il sudore abbondante. Il sole era alto ma sotto gli alberi c'era la penombra, segnata dalle macchie confuse dei cespugli.
C'era anche il silenzio, turbato appena da qualche cinguettio e dal frusciare di serpi. Provò un senso di sollievo. Sorrise guardando il cielo tra i rami. Poi riprese la marcia con rinnovata energia, come se all'improvviso si fosse sentito chiamato a un ritorno.
Un'alta rete metallica che tagliava in due il sentiero, gli sbarrò il passo. Il cancelletto era aperto. Lo spinse, entrò senza accorgersi della scritta "Riserva di caccia - Vietato l'ingresso”. Gli parve di trovarsi al riparo da ogni minaccia.
Quello che accadde circa dieci minuti dopo lo sconvolse. Il grigio tronco di una pianta, che lui stava sfiorando, fu scheggiato da qualche cosa che sul momento non fu in grado di riconoscere. Subito dopo, più a monte, si udì la detonazione.
Rimase un istante impietrito in mezzo al sentiero. Quando scattò per gettarsi dietro un albero, nell'aria passò un miagolio; poi un urto tremendo alla coscia gli fece perdere l'equilibrio. Le due detonazioni si fecero strada a fatica nel vento contrario.
- Ehi! Ma siete impazziti? - gridò.
Zoppicando si mise al riparo. Una macchia di sangue era affiorata dalla stoffa dei calzoni, sulla coscia sinistra. Percepì un calore umido lungo la gamba, ma non pensò a guardare. I suoi occhi scrutavano intorno atterriti senza vedere altro che vegetazione. Eppure avvertiva su di sé lo sguardo di una creatura umana.
Si appoggiò con la schiena al tronco dell'abete reggendosi sulla gamba destra. Qualcosa gli disse che non si trattava della polizia, ma non ne fu sollevato. Il tempo passava. Agli orecchi di lui, il silenzio era diventato musicale, con tanti scampanii.
Scivolando sulla schiena, si mise a sedere. Soltanto allora diede un'occhiata alla ferita. Per fermare il sangue, la tamponò col fazzoletto.
- Ehi! - chiamò poi. - Dove vi siete cacciati? Razza di carogne, prima ammazzano la gente e poi se la squagliano!...
La lunga casa rossa doveva essere a meno di un chilometro. Avrebbe tentato di raggiungerla. Lassù gli avrebbero dato aiuto.
Quando cercò di rialzarsi, una pallottola gli miagolò vicino agli occhi. La detonazione si udì fortissima. Chi sparava aveva cambiato posizione.
Si gettò a terra con un grido strozzato.
- Maledetti! - gridò. - lo vi... Uh!
L'urto e lo sparo furono sincroni. Si portò una mano alla spalla sinistra, mentre si abbatteva rotolando in un cespuglio. In posizione orizzontale, il cielo gli apparve profondo, irraggiungibile; due nuvole si rincorrevano in un mare azzurro, oltre il contorno verde del fogliame.
Chiuse gli occhi un istante. Quando gli riaprì, si ritrovò tranquillo. Quasi non avvertiva il dolore delle ferite. Provò un acuto desiderio di spegnersi, di restare immobile in quella posizione, per sempre.
Avvertì un frusciare tra la sterpaglia. Non si mosse. Non provava neppure curiosità. Da un cespuglio sbucarono due stivali neri e la canna di un moschetto tenuto basso. Gli stivali si avvicinarono lentamente, si fermarono a un metro dalla sua testa.
Lui mosse gli occhi. Oltre gli stivali, c'erano calzoni di velluto, una camiciola a quadretti, un fazzoletto giallo, una gran massa di capelli rossi lasciati lunghi sulle spalle, una faccia magra e lentigginosa in cui gli occhi sembravano due laghetti alpini, freddi.
Lo sguardo di Giorgio si posò sui bei seni messi in risalto dalla camiciola. Prima di perdere i sensi, sorrise.
2
Avvertì la sensazione delle mura, del coperto. Era nudo sotto le lenzuola. Due mani indugiavano sulla sua spalla ferita.
Dall'alto, una voce di donna mormorò: - Poteva andar peggio. Non c'è niente di rotto.
Un'altra donna parlò: - Ne avrà per molto?
- Un mese, direi.
- Non è il caso di chiamare il dottore?
- No, basto io! Tutt'e due le pallottole sono andate fuori...
La seconda donna imprecò a denti stretti: - Quella stupida pazza!
Seguì qualche istante di silenzio. Le mani si staccarono e Giorgio si agitò.
- Riprende i sensi! - disse la seconda donna, la cui voce aveva inflessioni metalliche. - Io vado...
Un uscio cigolò.
Giorgio aprì gli occhi e vide il volto di una donna anziana in piedi vicino al letto. La fronte era piuttosto alta sotto i capelli tutti bianchi. Doveva essere meno vecchia di quanto sembrasse. La pelle era ancora fresca, il corpo piuttosto pingue aveva un che di giovanile. Le grosse labbra si distesero in un abbozzo di sorriso.
- Come si sente?
Giorgio si guardò attorno prima di rispondere. La camera gli piacque, gli ricordò la sua, nella fattoria paterna, anche se la disposizione dei mobili e i colori erano diversi. Sul davanzale della finestra c'era un vaso di terracotta con qualche cespo di roselline.
- Volevano ammazzarmi?
- È stato un errore. La riserva è infestata dai bracconieri. Due settimane fa ci hanno ucciso un cane, e Marianna aveva giurato di vendicarlo.
Giorgio ebbe una smorfia ironica. Marianna doveva essere la donna che lo aveva ferito. Un tipo duro, pensò, vendicativo. Rivide il seno vistoso, sotto la camiciola, e il cipiglio di lei nello svolazzo dei lunghi capelli rossi. Provò una forte antipatia per quella donna dall'occhio sicuro e dal cuore di pietra.
- Un uomo per un cane!
- Gliel'ho detto. È stato un errore. Lei si trovava nella riserva. Non aveva letto il cartello?
- Non ho visto cartelli! Il cancello era aperto. Credevo che la guerra partigiana fosse finita, ma invece dei tedeschi ho trovato quella rossa...
- Spero che non vorrà farci avere delle noie. Sarà curato e ospitato. Le daremo una buona somma, anche!... È stata una disgrazia, ecco.
Lo guardava con larghi occhi neri, la parte più giovanile della sua persona, quasi occhi di adolescente. Indossava un semplice abito grigio di buona fattura.
Lui riportò lo sguardo sul grande armadio di noce. La specchiera era antica e il tempo aveva cominciato ad attaccarla, macchiandola lungo i bordi. Le pareti erano bianche, ripassate di recente; il lettino di legno, la coperta rosa.
Da lontano, la casa gli era sembrata amica, ospitale. Ora che vi si trovava dentro, avvertiva il fastidio di una minaccia.
La donna parlò ancora, stuzzicata forse dal suo silenzio.
- Cercava qualcuno, quassù?
- Cercavo lavoro.
- Ah!
- Qualunque lavoro. M'intendo di campagna, di giardini...
- Come mai è venuto a finire qui, dalla Toscana?
Giorgio impallidì. Il suo sguardo si posò sul tavolo a semicerchio accostato alla parete. Qualcuno, quella donna forse, aveva frugato nelle sue tasche. Sul tavolo c'erano le sue poche cose, la carta d'identità, il denaro, le sigarette...
- Ho fatto il partigiano quassù - rispose poi. - Mi piacciono questi posti.
- Sulla sua carta d'identità è scritto “benestante”.
- I tempi cambiano, e spesso la qualifica resta... Ma perché questo interrogatorio?
La donna gli sorrise.
- Cerchi di riposare, adesso. Se ha bisogno di me, suoni quella campanella.
Indicò il tavolino da notte. Poi uscì in punta di piedi, come se lo avesse lasciato sul punto di addormentarsi. L'uscio cigolò di nuovo.
Giorgio chiuse gli occhi. Si sentiva stanco. Le ferite lo facevano soffrire. Il dolore della spalla era sceso fino al torace. Si addormentò con la mano sulla fasciatura odorosa di disinfettante.
Lesse l'ora nel cielo. Il sole tramontava, e nella stanza rettangolare la luce camminò fino al soffitto; poi si spense per dar luogo a una penombra rossiccia.
La donna dai capelli bianchi gli portò da mangiare. Depose un vassoio di legno sul tavolino da notte, lo aiutò a mettersi seduto, gli dispose due guanciali alle spalle.
- Non ha febbre - disse togliendogli il termo...