Il Commissario Richard. La casa inabitabile
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Il Commissario Richard. La casa inabitabile

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Il Commissario Richard. La casa inabitabile

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Per Andrea Camilleri, suo estimatore, Ezio D'Errico è un artista "dotato di una genialità rinascimentale". E certamente unico, più volte imitato, è il suo indimenticabile commissario Richard, che con De Vincenzi è tra i personaggi più originali della storia del giallo italiano (e anche dei "mitici" gialli Mondadori). Disincantato, concreto, solo in apparenza distaccato, il "simenoniano" Richard indaga in una Parigi e in una provincia francese non di rado inospitali, popolate di figure ambigue e spiazzanti, spesso ai margini della società, individui rifiutati, disadattati, solitari. Il cadavere di un giovane uomo viene ripescato in un canale. Un omicidio, il primo di una serie che pare legata a una misteriosa "casa inabitabile", una villa messa in vendita e pubblicizzata attraverso inserzioni sui giornali. Richard comprende che tutta l'indagine è legata ai frequentatori di un ambiguo locale della provincia francese, punto d'incontro per molti malavitosi della zona. Qualcuno attira i potenziali compratori e, dopo averli rapinati dell'anticipo, li uccide. Per il commissario il primo sospettato è un criminale incallito appena uscito dal carcere. Ma la situazione si complica, la rosa degli indiziati si allarga: in un susseguirsi di colpi di scena, Richard giungerà alla verità grazie a una incredibile, fatale coincidenza, l'unica in grado di smascherare il vero colpevole.Con un'introduzione di Loris Rambelli.

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Informazioni

Anno
2018
ISBN
9788893040419
Argomento
Letteratura
Categoria
Classici
A giudicare dalla polvere e dal sudore, dovevano aver fatto il percorso in molto minor tempo che non ci avessero impiegato ad andare. Il più anziano volgendosi alla ragazza che era riapparsa sotto il pergolato, chiese: — Dove sono quei due signori che mangiavano a quel tavolo?
— Sono partiti in automobile.
— Da quanto tempo?
— Saranno una quindicina di minuti.
— E dove hanno trovato l'automobile?
— Il signore grosso ha telefonato e dopo un po' è arrivata la macchina.
— Sta' a vedere che era quella berlina che ci ha sorpassato al bivio della fontana — commentò il giovane.
Il compagno scosse il capo come se l'ipotesi avesse aumentato il suo disappunto, poi chiese ancora alla ragazza: — E da che parte sono andati?
— Di là... credo verso Montmirail.
I gendarmi si consultarono con un'occhiata, poi accorgendosi che sulla soglia dell'osteria erano comparsi i padroni, inforcarono le biciclette e se ne andarono ringraziando.
Pedalando verso Montmirail, uno diceva all'altro: — Si sarebbe potuto telefonare...
— Telefonare dove? A quest'ora chissà dov'è andato a finire.
— E allora perché andare a Montmirail?
— Facciamo un tentativo, basterebbe che una panna l'avesse fermato lungo la strada...
Il gendarme giovane non sembrò molto convinto, tuttavia per deferenza verso l'anziano continuò a pedalare brontolando: — Vorrei vedere quell'ispettore al nostro posto... si fa presto a dire «raggiungete il commissario»... avremmo fatto meglio a telefonare da Esternay...
— Già, ma chi ci ha pensato che al “Grappolo d'Oro” c'era il telefono? A me è venuto in mente solo quando stavamo per arrivare.
L'altro non disse più nulla. La strada saliva lentamente e pareva che il sole, volgendo al tramonto, volesse farsi più implacabile. A cinque chilometri circa da Montmirail, trovarono un camioncino e vi si attaccarono per farsi rimorchiare.
Il conducente volse il capo e commentò ridendo: — I regolamenti stradali, mi raccomando!
— Vai all'Inferno! — risposero i due militari che ansavano come mantici.
Giunti in paese seppero che il commissario era andato in Municipio a parlare col segretario comunale poi era subito ripartito. Allora andarono al telefono e si misero in comunicazione con Esternay.
Intanto Richard aveva raggiunto Meaux, aveva depositato la signora Proux al quai Victor Hugo, e filava già verso Parigi.
Dal corridoio che conduceva al suo ufficio, udì la voce dell'ispettore Martigny che gridava: — Se ti dico che non è ancora arrivato! È partito questa mattina per Meaux...
Entrando lo vide posare il cornetto sulla staffa e subito intuì di essere il ricercato.
— Ah, siete voi, commissario! C'è l'ispettore Harpe che tempesta da un'ora per sapere dove siete...
— Da dove tempesta?
— Da Esternay, è andato laggiù col dottor Milton.
— A far che cosa?
— Non lo so, credo che si tratti di un annegato... quando è arrivato il fonogramma dalla gendarmeria di Esternay, io non c'ero e il modulo l'ha portato via lui... volete che vada a farne una copia dal registro del centralino?
— Lascia stare.
Il commissario sedette sbuffando dietro la scrivania e afferrato il microfono chiese la comunicazione con Esternay.
Aveva la testa in fiamme e la sigaretta gli si incollava alle labbra aride ma quando riuscì ad avere Harpe all'estremità del filo, simulò la più perfetta calma. Oramai aveva capito che tutta la giornata era sotto il segno del contrattempo, ragion per cui bisognava evitare di farsi venire anche l'emicrania con delle arrabbiature.
L'ispettore non poté dirgli altro che si trattava di un individuo non ancor identificato ma che a detta di Milton, presentava la stessa ferita all'occipite del commerciante in oggetti sportivi ripescato quindici giorni prima.
Richard promise di recarsi subito in luogo, e con santa pazienza ritornò ad occupare il suo posto sui bollenti cuscini di cerata del preistorico automezzo della Prefettura.
All'autista che lo guardava un po' sorpreso mormorò filosoficamente: — Ritorniamo ad Esternay.
Poi chiuse gli occhi e cercò di non guardare il biancore del cielo, ma il sole al tramonto lo saettava di traverso, e il succedersi delle ombre degli alberi gli stampava sulle palpebre stanche una zebratura intermittente di luci e di ombre da dare il capogiro.
Alla chiusa di Esternay gli si presentò lo stesso paesaggio dell'altra volta ma con un po' meno di animazione, perché non essendo domenica i curiosi si limitavano alla popolazione fluttuante del canale e a qualche carrettiere di passaggio.
Lo colpì la presenza di un tipo alto, ossuto, con una cicatrice che gli deturpava lo zigomo e parte del naso, e disse fra sè: — Dove ho già visto costui? — ma in quel momento il dottor Milton gli veniva incontro uscendo dalla baracca dei calafati e la sua attenzione ne fu distratta.
— Che cosa è successo?
— Abbiamo una replica non richiesta, e in edizione riveduta...
— Sarebbe a dire?
— Presso a poco alla stessa ora dell'altra volta è apparso alla chiusa un altro annegato, ma mentre Maurice Proux aveva il talloncino del sarto di Meaux cucito agli abiti, questo non ha nemmeno quel piccolo segno, e siccome le sue tasche sono vuote, credo che il riconoscimento non sarà né rapido né facile.
— Harpe mi ha telefonato...
— Che anche questo presenta una contusione alla nuca... è verissimo, e poi coincide anche l'ora della morte... presso a poco sette od otto ore fa...
Entrarono nella baracca, mentre un gendarme scostava la folla distribuendo generose manate nello stomaco dei più vicini.
Nell'ombra, l'ispettore Harpe che prendeva degli appunti seduto sulla chiglia del sandolino, si alzò per salutare.
Richard si avvicinò al cadavere che giaceva disteso su un banco da carpentiere. Quel corpo tozzo, quel viso tondo con gli occhi sporgenti da miope, quel pizzetto biondo che la prolungata immersione aveva ridotto a una specie di codino, non gli riuscivano nuovi.
Si curvò a scrutarlo, poi volgendosi a Milton mormorò con uno stanco sorriso: — Trovate tanto difficile identificarlo? Ebbene ve lo dirò io chi è... è il signor Ovide Germont, industriale in pellami...
Il dottore spalancò gli occhi guardando il suo amico con un'espressione così strana che il commissario non poté fare a meno di rilevare: — Credete che il sole mi abbia dato alla testa?
— Ma... scusate... come lo conoscete?
— In un modo semplicissimo. Mi si è presentato lui stesso questa mattina nella corriera che andava a Montmirail... Se gli frugate le tasche, può darsi che qualche caramella di menta ce la troviate ancora...
— Ma allora sapete anche dove era diretto? Questa volta ci siamo!
— No, caro... toglietevi ogni illusione, e ricordatevi che quando una giornata incomincia male, deve per forza finire peggio. Figuratevi che il signor Germont spasimava dalla voglia di attaccar conversazione con me, ed io ho fatto di tutto per scoraggiarlo...
Il dottore allargò le braccia in un gesto di comica disperazione.
Il commissario invece accese una sigaretta e se ne andò a guardare le acque del fiume che in quel momento si tingevano di tutti i riflessi del tramonto. Il suo viso aveva la tranquillità rassegnata dell'uomo che ha ascoltato tante miserie, udito tante confessioni, visto tante cose.
Trovò persino la forza di chiedere a un ragazzetto che s'era messo a pescare su uno dei piloni dell'imbarcadero: — Che cosa adoperi, mosche o lombrichi?
E il ragazzo pronto: — Lombrichi, perché al tramonto abboccano solo le anguille.
L'omone approvò col capo, soddisfatto.

PARTE SECONDA

Capitolo VI

Il caso Germont

Un maniaco di paradossi urbanistici, per definire il quartiere di Passy, potrebbe chiamarlo il West-End di Parigi. Ma forse non sarebbe totalmente nel giusto, perché se è vero che a Passy si parlano tutte le lingue «compreso il francese», come nel West-End si parlano tutte le lingue «compreso l'inglese», se è vero che a Passy si trovano gli stessi club mondani dove all'ora del tè ci si sentirebbe disonorati presentando all'ospite dei biscotti o dei pasticcini alla francese, e si prova il bisogno di stupirlo con i «bliny» russi guarniti di crema acida (non confondere con lo yogurt, per carità) è altrettanto vero che Passy ha una sua grazia direi quasi ingenua, che non ha nulla a che fare con la compassata musoneria del West-End.
Il West-End è la torre d'avorio di coloro che concepiscono la vita come una perfezione nel senso della qualità, Passy è il «buen retiro» di coloro che amano la vita come una perfezione nel senso della tranquillità.
Passy non ha una via come Bond-Street dove tutto ciò che si vende è quintessenziale, ma per i conoscitori c'è quel tale guantaio seminascosto in fondo a un cortile, quel tale bar che esteriormente sembra una farmacia, quel tale sarto che occupa il primo piano di una villa affondata in un parco già proprietà di un aristocratico decaduto, dove è possibile trovare rispettivamente dei guanti per «chiusura» di caccia alla volpe (che non sono quelli per «apertura») un cocktail Gaiety (da non confondersi col simile Gaieté che si può bere su qualunque boulevard) e finalmente quel tale pantalone fantasia che si può ben pagare sei o settecento franchi, solo per il piacere di sentire il sarto raccontare a mezza voce, e con un sorriso discreto, un aneddoto che legando la speciale chiusura elastica di quel pantalone a certa avventura del principe di Galles quando era ancora ad Oxford, conferisce al modesto capo di vestiario «quel certo non so che» che si può trovare appunto a Passy e in nessun altro quartiere di Parigi.
Il commissario Richard, che pur non essendoci nato, viveva a Parigi da quasi mezzo secolo, quando Milton ebbe finito di fargli questo preambolo su Passy, scosse il testone. — Tutto ciò è molto carino e soprattutto è detto con spirito... voi, caro Milton, avete il dono di farmi vedere Parigi come forse pochi altri saprebbero, ma vorrei che mi diceste che cosa ci stava a fare un commerciante in pellami come il defunto Ovide Germont in un quartiere come Passy.
— La spiegazione l'avremo probabilmente vedendo il suo emporio di pelli. Dalla guida non sembrerebbe che si tratti di un emporio ma di una vera fabbrica... c'è scritto «Industria Pellami...»
— C'è industria e industria....
Così chiacchierando i due amici avevano risalito rue de l'Annonciation svoltando poi per rue Bois-le-Vent.
— Eccoci nel cuore di Passy — continuò Milton che oramai era lanciato — coloro che abitano al di là di rue Scheffer, del cimitero del Trocadero, e persino i numeri pari dell'avenue Henry Martin, credono di abitare a Passy.
— Come sarebbe a dire «credono?»
— Ma sì, ma sì... credono, e forse anche se ne vantano... poveri illusi! Il Passy dei borghesi timidi e sedentari, il vero, l'unico, l'incomparabile Passy, non è quello.
— Sul serio!
— Certamente... bisogna avere un alloggetto o una villa nella Grand Rue in rue Singer, o in rue de l'Annonciation o in rue Jean Bologne... allora è lecito vantarsi di abitare a Passy, e ci sarà persino concesso millantare di aver servito Messa, da ragazzi, al cenno delle mani affusolate dell'abate Locatelli curato di Notre-Dame-de-Gràce.
Ma in quel momento Richard, che pur ascoltando le divagazioni estetico-urbanistiche di Milton teneva d'occhio i numeri, esclamò: — Eccoci arrivati!
Un cancello di ferro battuto in un rientrante fra due case, degli alberi fronzuti che mettevano macchie di verde sul travertino bigio di un palazzotto imboscato in fondo a un vialetto, nessuna targa o scritta che indicasse la posizione sociale o la professione degli abitatori. Un cordone da baldacchino in vecchia seta rosso cardinale penzolava a portata di mano.
Il commissario tirò la nappa di quell'aggeggio settecentesco, e un flebile suono di campanella conventilale echeggiò in qualche luogo fra gli alberi. Si udì il cigolio di un fil di ferro manovrato da una mano ignota e il cancello si socchiuse.
I due amici non ebbero che spingerlo per entrare nei recessi di quel curioso agglomerato di case e di giardini.
Avanzarono indisturbati fra piccole aiuole dove le fucsie piangevano lacrime rosse e viola, finché da una finestretta bassa protetta da una grata una vecchina chiese: — Cercate qualcuno?
— Buon giorno, signora... la ditta Germont?
— Prima scala a sinistra, al mezzanino...
— Grazie, signora.
Una porta vetrata, una scala di marmo, e finalmente, all'ammezzato, una placca di metallo con la scritta in corsivo Ditta Germont Pelletterie scelte.
Premettero un pulsante e si presentò un omarino dall'aria di sagrestano che guardò i nuovi venuti al di sopra degli occhiali a stanghetta.
L'omarino portava un grembiule nero che lo drappeggiava come una tonaca fratesca, e aveva delle curiose mani macchiate di una vernice verde oro.
— Accomodatevi, prego... Un corridoio felpato, un salottino...

Indice dei contenuti

  1. Operaio della penna di Loris Rambelli
  2. PARTE SECONDA - Capitolo VI - Il caso Germont
  3. Crediti
  4. Tra i Fogli volanti