Uno
degli obiettivi che il movimento dei «Fasci
d’Azione Rivoluzionaria» si prefiggeva era quello di creare o di
contribuire a creare nelle masse proletarie uno «stato d’animo»
simpatico nei riguardi della eventualità di un’azione militare
dell’Italia contro gli imperi centrali. Tale obiettivo può dirsi
raggiunto e questa constatazione non è un atto di vana superbia.
Nelle moltitudini operaie — specie delle grandi città — si
guarda ora alla possibilità della guerra con occhio e con animo
diversi: non più l’ostilità cieca e irragionevole e preconcetta,
ma agnosticismo e molto spesso l’adesione esplicita alla tesi che
vien chiamata «guerrafondaia» ed è la nostra. Le masse dove non
siano convinte, sono per lo meno «turbate». Ripetono — è vero —
meccanicamente, la formula d’opposizione alla guerra, ma il dubbio
apre a poco a poco la sua breccia nell’animo di queste masse e le
defezioni aumentano. Il numero dei «Fasci» è la prova che questo
«stato d’animo» esiste ed è qua e là giunto alla consapevolezza
politica e pratica dei doveri che l’epoca attuale impone ai
sovversivi italiani. La creazione di questo «stato d’animo» è di
una importanza capitale in rapporto alla guerra. Un soldato che si
batte sapendo il perché, un soldato che ha la coscienza del suo
compito in un dato momento della storia — quella coscienza che non
mancava per esempio ai magnifici soldati della Grande Rivoluzione —
è un soldato che vince e noi dobbiamo vincere a qualunque costo. La
Germania si prepara a una vera guerra di sterminio contro di noi.
Le
atrocità del Belgio si rinnoverebbero centuplicate nei villaggi,
nelle borgate, nelle città di Lombardia e del Veneto, qualora i
tedeschi riuscissero a sfondare le nostre linee. Inoltre dobbiamo
vincere per fiaccare una buona volta questa egemonia prussiana che
infastidiva ed opprimeva il mondo intero. Ciò è pacifico,
ormai.
Creato lo stato d’animo, l’adunata
d’oggi
deve precisare gli obiettivi di un «nostro» intervento. Non
vogliamo chiuderci in una nuova formula, ma non vogliamo nemmeno
aumentare gli equivoci e la confusione delle lingue. Il nostro è
intervento di sovversivi, di rivoluzionari, di anticostituzionali e
non già intervento di moderati, di nazionalisti, di imperialisti.
Il
nostro intervento ha un duplice scopo: nazionale e internazionale.
Per una singolare circostanza storica la «nostra» guerra nazionale
può servire alla realizzazione di fini più vasti d’ordine
internazionale ed umano. La «nostra» guerra — dico — e non già
quella che ci possono preparare i ceti governativi d’Italia. Fini
nazionali e cioè liberazione degli irredenti del Trentino e
dell’Istria, il che significa contribuire allo sfacelo dell’impero
austro-ungarico oppressore di troppe nazionalità e baluardo della
reazione europea. Ma la guerra contro l’Austria-Ungheria per la
realizzazione di queste finalità, d’ordine nazionale, significa
guerra contro la Germania militarista, significa affrettare la
scomparsa del più grande pericolo per i popoli liberi, significa
l’aiuto fattivo e concreto al popolo belga che deve tornare libero
e indipendente, significa — forse — la rivoluzione in Germania e
per contraccolpo inevitabile la rivoluzione in Russia; significa —
insomma — un passo innanzi della causa della libertà e della
Rivoluzione.
Gli obiettivi del «nostro»
intervento sono così
definiti e determinati. Ci sono, certamente, tra gli inscritti ai
«Fasci», sfumature d’idee, ma il minimo comune denominatore del
pensiero e dell’azione è quello che noi abbiamo ripetutamente
prospettato su queste colonne.
Da ultimo, l’adunata odierna deve
stabilire i
mezzi dell’azione pratica. Credo anch’io che dal punto di vista
teorico e dottrinale, la neutralità sia spacciata. E lo dimostra il
fatto che non ha più difensori aperti, se non tra gli interessati
per la popolarità, o le cariche, o gli stipendi. E va bene. Ma non
possiamo dire di aver causa vinta. Ci troviamo dinnanzi a una
duplice
coalizione di conservatori: i socialisti alleati — volontari o
involontari — dei preti e della Monarchia, intesa la parola
nell’accezione più vasta del suo significato.
Ci troviamo dinnanzi a un «sacro
egoismo» che
trova — in basso — la sua pretesa giustificazione nel principio
della «lotta di classe» che deve restare puro e immacolato anche in
mezzo alle più imponenti catastrofi della Storia, mentre in alto il
«sacro egoismo» viene giustificato con la tutela «esclusiva»
degli interessi nazionali. Per contrastare all’egoismo del basso
possono bastare i semplici mezzi della propaganda con la parola e
gli
scritti, ma per smuovere il «sacro egoismo delle sfere dirigenti,
occorrono mezzi più persuasivi. «O la guerra o la corona!» è una
parola d’ordine che ha un significato se ci si prepara
contemporaneamente alla guerra e alla Rivoluzione. Dire che noi
faremo la rivoluzione perché l’Italia scenda in campo, è prendere
un impegno superiore alle nostre forze; ma non possiamo però
affermare tranquillamente che non sarà impossibile e nemmeno troppo
difficile lo scoppio d’un moto rivoluzionario se la Monarchia «non»
farà la guerra. La posizione, in fondo, è identica. L’adunata può
discutere e provvedere ad altri mezzi per sospingere il Governo
all’intervento.
Per determinare le vaste e
travolgenti correnti
dell’opinione pubblica, giovano molto le parole, ma più ancora
giova qualche gesto e qualche esempio.... I volontari caduti nelle
Argonne hanno avvantaggiato la causa dell’intervento più di molti
articoli e di molti discorsi.
Questo è — per sommi capi — il
compito che
l’adunata odierna dei Fasci deve assolvere. Il movimento fascista
nato fra l’irrisione e l’ostilità del Partito Socialista, è
oggi qualche cosa di più di una semplice promessa.
Questi nuclei di forti e di
volitivi sorti qua e
là in tutta Italia, costituiscono già un organismo pieno di vita e
capace di vivere. Non hanno e non vogliono avere le regole e le
rigidità di un Partito, ma sono e vogliono restare una libera
associazione di volontari: pronti a tutto: alle trincee e alle
barricate. Io penso che qualche cosa di grande e di nuovo può
nascere da questi manipoli di uomini che rappresentano l’eresia ed
hanno il coraggio dell’eresia.
V’è in molti di essi l’abitudine
all’indagine
spregiudicata che ringiovanisce o uccide le dottrine; in altri v’è
la facoltà dell’intuizione che afferra il senso e la portata di
una situazione; in tutti v’è l’odio per lo
statu-quo, il
dispregio per il «filisteismo», l’amore del tentativo, la
curiosità del rischio.
Oggi è la guerra, sarà la
rivoluzione domani.
MUSSOLINI
Da
Il Popolo d’Italia,
N. 24, 24 gennaio 1915, II.
DOPO
L’ADUNATA
Il convegno nazionale dei «Fasci»
non ha avuto
una «buona stampa». Solo un giornale di Bologna, con un articolo
forte e quadrato e ammonitore, ha cercato di vedere nel nostro
movimento ciò che vi è sicuramente di vero e di vitale; ma tutti
gli altri — non escluso il
Corriere — si sono limitati
all’«accidentale», al dettaglio, quando non siano trascesi
all’ingiuria grossolana.
La
Gazzetta di Venezia, la vecchia suocera
brontolona della laguna, ci ha onorati del titolo di «pagliacci»;
la
Perseveranza —
tanto nomini!... — ha trovato —
previa una energica strofinatura ai suoi occhiali affumicati — che
«lo scopo dei Fasci non è la guerra per l’unità e la grandezza
d’Italia, ma la Rivoluzione sociale». L’una e l’altra cosa, se
non vi dispiace, monna
Perseveranza!
Sull’
Italia, clericale, l’on. Filippo
Meda lancia, al cielo un «Finalmente» e scrive:
«Finalmente gli intervenzionisti, o
interventisti
che dir si voglia, hanno scelta la loro piattaforma, chiara,
precisa,
sincera, e va data lode al prof. Mussolini di aver condotto al
congresso di ieri il problema nei suoi termini esatti: “
L’adunata
— dice l’ordine del giorno da lui fatto approvare —
reclama
dal Governo l’immediata, pubblica e solenne denunzia del trattato
della Triplice”.
«Questa è onestà e logica politica,
e noi
approviamo. Approviamo, s’intende, la “posizione della
questione”; non lo scioglimento che il prof. Mussolini ne vuol
dare».
Meno male! L’on. Meda conviene con
noi che per
rivendicare una qualsiasi libertà d’azione all’Italia, bisogna
«pregiudizialmente» rescindere i trattati che ci vincolano
all’Austria-Ungheria e alla Germania, denunciare, in una parola, la
Triplice Alleanza.
La pregiudiziale che io ho posto al
Congresso dei
Fasci, è, dunque, valida e logica. Soltanto l’on. Meda trova che
per rescindere un «contratto» occorre un motivo decente. E dov’è
il motivo?, si chiede il deputato clericale di Rho? Dov’è il
motivo?
Ma c’è, on. Meda, ed è formidabile.
La guerra
scatenata dall’Austria-Ungheria e dalla Germania, ha profondamente
alterate tutte quelle condizioni di fatto che potevano giustificare
la Triplice di ieri, ma non giustificano più quella d’oggi,
svuotata com’è d’ogni significato.
L’equilibrio internazionale è
spezzato, on.
Meda, e tutte le preghiere del vostro Papa, ad esempio, non bastano
a
ristabilirlo. O prima o poi, on. Meda, la Triplice Alleanza è
destinata a «saltare». Se il blocco austro-tedesco vince ed
inghiotte ed umilia semplicemente la Serbia, e sposta in qualche
modo
il cosidetto equilibrio balcanico, se — insomma — l’Austria
vittoriosa si riapre la strada verso Salonicco, l’Italia — oltre
alle minacce immediate e alle possibili non lontane rappresaglie —
sarà offesa nei suoi fondamentali interessi e dovrà — in
condizioni infinitamente più difficili delle attuali — sguainare
la spada per tutelarli. Se — viceversa — il blocco austro-tedesco
è battuto, la Triplice decade di fatto: l’Italia farà la sua
guerra per ottenere le terre soggette all’Austria-Ungheria. E
allora, poiché altre eventualità non sono possibili, se ne deduce
che ci può essere, on. Meda, una Triplice di domani; ma è certo che
quella d’oggi è né più né meno che una semplice «finzione»
diplomatica destinata a lacerarsi ad un prossimo urto con la
realtà.
Denunciare la Triplice Alleanza è
un atto di
coraggio, ma sopratutto un atto di «lealtà». Come si vede, siamo
esattamente agli antipodi del vostro pensiero, on. Meda. Infatti,
aspettare di denunciare la Triplice nel momento in cui Austria e
Germania saranno sull’orlo della rovina, può non essere simpatico;
ma rivendicare — oggi — la libertà d’azione e l’autonomia
dell’Italia, è cosa che tutti troveranno giusta e normale. La
«non» avvenuta denuncia della Triplice può spiegarsi in un solo
modo: che l’Italia ritenga ancora possibile di correre in aiuto —
se ne sarà il bisogno — degli Imperi Centrali; il che significherà
per l’Italia — e in caso di vittoria e in caso di sconfitta —
aver lavorato alla propria rovina. Anche l’altra ipotesi — quella
vagheggiata dai germanofili — cioè l’intesa italo-tedesca a
spese dell’Austria-Ungheria, importa in ogni caso e di necessità
la fine ingloriosa della Triplice Alleanza.
Per quante situazioni vengano
prospettate, non ve
n’è una sola che convalidi e giustifichi ancora il mantenimento
della Triplice Alleanza.
Denunciare la Triplice Alleanza non
è soltanto un
«
diritto», è piuttosto un «
dovere». In un’epoca
dinamica come l’attuale, ogni popolo può e deve rivendicare la sua
piena libertà d’azione. Si capisce che la denuncia del Trattato
deve essere contemporanea al decreto di mobilitazione. Ad ogni modo
il primo passo da farsi — e subito — è quello di denunciare il
trattato della Triplice Alleanza. Ecco perché i Fasci hanno votato
l’ordine del giorno che ho presentato all’adunata nazionale e non
mi sorprende che i clericali puri come l’on. Meda e i moderati
autentici come la
Gazzetta di Venezia insorgano contro il
possibile accoglimento della nostra pregiudiziale. Essi sentono che
tale fatto costituirebbe una vigilia di guerra contro gli alleati
di
ieri.... ma sentono altresì che gli eventi ineluttabili di domani
«imporranno» quella pregiudiziale osteggiata —
et pour cause
— da tutti i Meda d’Italia....
Il Congresso dei Fasci ha dunque
bene provveduto
reclamando —
in primis — l’atto formale pubblico di
decesso della Triplice. Ma anche sugli altri argomenti la
discussione
è stata elevata e proficua. Il tema spinoso dell’irredentismo è
stato posto e risolto nell’ambito delle idealità socialistiche e
libertarie che non escludono la salvaguardia di un positivo
interesse
nazionale. Tutti i popoli che soffrono di una oppressione esteriore
devono esser liberi: questa la dichiarazione di principio: nel caso
pratico il nostro è irredentismo anti-austriaco e non anti-francese
per Nizza e la Corsica o anti-inglese per l’isola di Malta, in
quanto che solo ad Oriente vi sono popolazioni italiane sottoposte
al
dominio austriaco e che di tale dominio sopportano le atroci
sofferenze da lungo volger di anni.... L’irredentismo verso tutti i
confini — non sia giustificato da ragioni di giustizia e di libertà
— quando nazionalismo o nell’imperialismo: non è il nostro!
L’ordine del giorno votato nel Congresso dei Fasci precisa
esattamente la nostra posizione teorica e politica di fronte al
problema delle terre irredente, il che non m’impedisce di
aggiungere che non sarebbe stato — secondo il mio avviso — del
tutto superfluo precisare e delimitare il nostro irredentismo anche
dal punto di vista «territoriale» e ciò a scanso di equivoci
presenti e di responsabilità future. Ma questa è una «subordinata»
che non toglie importanza e valore alla massima di principio.
Terzo comma importante: l’azione
dei Fasci.
Azione nel duplice senso di pensiero e di opere. Per queste ultime
noi siamo pronti e attendiamo l’ora propizia, che non può né deve
essere lontana.... Ma l’on. De Ambris nel suo forte discorso ha
tracciato a grandi linee tutto un programma di revisionismo teorico
rivoluzionario. Egli ha detto che un Vangelo solo può bastare a una
Chiesa di credenti, non ad una collettività di liberi pensatori.
C’è
molta parte di verità nella critica «marxista», ma ve n’è anche
nella ideologia mazziniana. Proudhon ha qualche cosa (o molto) di
vivo, come gran parte dell’opera bakuniniana è ancora salda come
granito di roccia. Vogliamo noi — spiriti spregiudicati — credere
in un solo Vangelo e giurare in un solo Maestro? O non vale la pena
—
in quelle che sono epoche di liquidazione — di gettare nella grande
fucina ardente della Storia i nostri «valori politici e morali»,
per sceverare in essi l’eterno dal transitorio, ciò che passa da
ciò che non muore? È mai possibile nel campo sconfinato dello
spirito la monogamia delle idee? Non è ciò un «auto negarsi» alla
più diretta e profonda comprensione della vita e dell’Universo? La
vita è varia, complessa, multiforme: ricca di possibilità, fertile
di sorprese, prodiga di contraddizioni. Chi è lo stolto che
pretende
di violentarla nel breve capestro di una formula, nella schematica
proposizione di un dogma? Libertà, dunque: libertà infinita! Sàndor
Petöfi gridava:
La vita mi è cara
L’amore ancor
più,
Ma per la libertà
Li do entrambi!
Libertà di ripudiare Marx, se Marx
è invecchiato
e finito; libertà di tornare a Mazzini se Mazzini dice alle nostre
anime aspettanti la parola che ci esalta in un senso superiore
dell’umanità nostra; libertà di tornare a Proudhon, a Bakunin, a
Fourier, a S. Simon, a Owen, e a Ferrari, e a Pisacane, e a
Cattaneo..., agli antichi e ai recenti; ai vivi e ai morti, purché
insomma il «verbo» sia capace di fecondare l’azione....
Il De Ambris non poteva — data
l’ora e il
luogo — che affacciare la possibilità e la necessità di questa
demolizione e ricostruzione di dottrine; ma io credo che — passata
la tormenta della guerra — questo sarà il compito arduo e
preliminare della nuova critica socialista.
Ecco il bilancio della prima
adunata dei «Fasci».
Non mi pento di averla definita «grande». Non eravamo in molti, ma
— se ci tenessimo al numero — potremmo dire che non siamo più in
pochi. I «Fasci» contano oltre cinquemila inscritti, e niente vieta
di sperare che tale cifra sarà raddoppiata e triplicata nel volger
di un mese.... Ma l’adunata fu «grande», perché fu «nuova»,
perché fu compresa della gravità del momento attuale e n’ebbe
potrei dire — l’estremo pudore, e l’alto senso di
responsabilità.... La buona sementa fu gettata e si vedrà: non
invano!
MUSSOLINI
Da
Il Popolo d’Italia,
N. 28, 28 gennaio 1915, II.