Cominciamo il nostro viaggio virtuale nella filosofia confuciana in visita esplorativa al primo principio di questa filosofia ascoltando una pagina di Mencio – nome cinese Mengzi, latinizzato da Matteo Ricci in Mencius – vissuto tra il 389/385 e il 305/304 a.C., come importanza il numero due dopo Confucio nella tradizione confuciana.
Si legge nel libro di Mengzi:
«Tutti gli uomini hanno un cuore ( xin) che non può sopportare di vedere gli altri soffrire. [...] Quando dico che tutti hanno un cuore che non sopporta di vedere gli altri soffrire, la mia idea può essere illustrata in questo modo: anche oggigiorno se capita di vedere un bambino in procinto di cadere in un pozzo, qualunque persona assolutamente, senza eccezioni, avrebbe una reazione di allarme e sgomento, compassione e dolore. La reazione non è dovuta alla speranza di avere una ricompensa dai genitori del bimbo; e neppure al fatto che uno potrebbe farsi un bel nome presso vicini e amici intervenendo, o inversamente guadagnarsi una brutta fama se non interviene. Da questo possiamo dedurre che se uno non ha il sentimento di pietà e compassione, non è un essere umano. Se uno non ha il sentimento di vergogna e rimorso, non è un essere umano. Se uno non ha il sentimento di modestia e cortesia, non è un essere umano. Se uno non ha il sentimento che una cosa è giusta o sbagliata, non è un essere umano. Il sentimento di pietà e compassione è il germoglio della benevolenza ( ren); il sentimento di vergogna e rimorso è il germoglio della rettitudine ( yi); il sentimento di modestia e cortesia è il germoglio della deferenza ( li); il sentimento di ciò che è giusto e ciò che non è giusto è il germoglio della saggezza ( zhi). Come ogni persona ha le braccia e le gambe, così ogni persona ha questi quattro germogli. Se, pur avendo questi germogli, uno dice che non è in grado di fare il bene, sta facendo del male a sé stesso. Se dice che il suo sovrano non può fare il bene, sta facendo del male al suo sovrano. Una volta che sappiamo di possedere questi quattro germogli, sappiamo anche che li dobbiamo sviluppare. Questi si svilupperanno come il fuoco che una volta acceso brucia; o come una sorgente, che comincia a buttare fuori e poi aumenta. Se uno riesce a svilupparli bene, questi basteranno a procurare la pace a tutto il mondo. Se non li sviluppa, non saranno sufficienti neanche per mostrare il debito rispetto ai propri genitori» ( Mengzi 2 A, 6).
Questa celebre pagina del Mengzi enuncia il primo principio della filosofia confuciana: Tutti gli uomini hanno un cuore che non può sopportare di vedere gli altri soffrire. L’immagine del bimbo in procinto di cadere in un pozzo è rimasta viva nell’immaginario collettivo dei popoli estremorientali perlomeno quanto il mito della caverna di Platone sia rimasto presente nel nostro mondo. La reazione di uno di noi nel vedere un bambino cadere in un pozzo è un sentimento di allarme/apprensione/sgomento. Mencio non intende affermare che chiunque vede un bimbo in pericolo sicuramente balzerà in piedi e si lancerà in avanti nel tentativo di salvarlo. Questo non è certo, dipenderà da vari fattori successivi. Quello che interessa a Mencio è mettere in rilievo la primissima reazione spontanea universalmente presente in chi si trovasse a vedere una tale scena. Si tratta di una reazione emotiva, ovvero impulso o sentimento, che avremo occasione di approfondire.
Il primo principio ovviamente non necessita di dimostrazione, come il principio di Cartesio Penso dunque esisto non prevede una dimostrazione. Nel caso di Cartesio o di altri primi principi di sistemi filosofici si tratta di un’intuizione intellettuale. Nel nostro caso si tratta di una costatazione fenomenologica riguardante la presenza di una reazione emotiva che è un dato dell’esperienza quotidiana di qualsiasi essere umano. Mencio ha voluto proporre per l’etica un fondamento empirico: un sentimento, innato nella natura umana, che in momenti di crisi sceglie istintivamente il bene. Su questo fondamento – della presenza di un sentimento morale spontaneo – Mencio ha costruito tutta la sua filosofia, che vuole evidenziare la spinta innata al bene, e quindi la perfettibilità umana, fino eventualmente al limite degli ideali più sublimi di saggezza e di virtù.
Ai tempi di Mencio
Nel capitolo sesto del Mengzi si trova un dibattito fra Mencio e il filosofo Gaozi sull’argomento della natura umana. Chi fosse questo Gaozi non si sa molto bene. Sappiamo che dopo la morte di Confucio la scuola confuciana si era frazionata in ben otto sottoscuole. Secondo certi indizi Gaozi risulterebbe un filosofo d’orientamento confuciano, anche se non è certo a quale indirizzo appartenesse. Una cosa che risulta chiara dal dibattito è che Gaozi è di tendenza realistica, mentre Mencio è idealista. Gaozi conserva una visione piuttosto naturalistica della natura umana, visione che era diffusa a quei tempi: cioè che l’essere umano si realizza seguendo la sua natura, una natura che è costituita da alcuni appetiti fondamentali che l’uomo ha in comune con gli animali. In questa visuale tra uomo e animali non c’è un abisso qualitativo, c’è soltanto una certa differenza nel grado d’intelligenza.
Non è che Mencio sia un illuso, ammalato di iperottimismo nei confronti dell’essere umano; tuttavia egli ritiene che fra l’uomo e gli animali sussista un esile filo di differenza; si tratta appunto del senso morale, cioè di una particolare istintiva tendenza al bene, che l’uomo possiede in quanto tipica della sua natura, anche se poi nella pratica non è detto che egli la segua. Mencio sottolinea questa differenza e ne rivendica l’importanza, qualificando tale caratteristica come la parte più importante dell’essere umano (la chiama da ti, il grande corpo).
Nel dibattito – come stilato dal compilatore del Mengzi, non necessariamente come avvenne di fatto – Gaozi presenta quattro argomenti a proprio favore e Mencio li ribatte uno per uno. Per far capire che la natura umana in partenza è indifferente al bene o al male, Gaozi porta l’esempio del legno: un tronco d’albero si può lavorare e ricavarne degli oggetti utili, per esempio delle tazze. Ma per ottenere un oggetto utile bisogna usare violenza verso quel legno. Occorre trasformarlo a forza da albero (la sua vera natura) a tazza. Mencio rinfaccia a Gaozi che seguendo una tale linea di ragionamento si finisce col dire che per avere in una persona la giustizia/rettitudine ( yi) e la benevolenza ( ren) bisogna usare violenza verso la natura umana. La conclusione logica allora sarebbe che benevolenza e rettitudine sono cose inumane. Mencio ha usato un argomento per absurdum.
Poi Gaozi porta l’esempio dell’acqua per far capire che la natura umana può diventare buona come può diventare cattiva: tutto dipende dall’ambiente in cui cresce, dall’educazione che riceve. L’acqua uscendo da un contenitore può scorrere verso destra o verso sinistra. Se tu apri un passaggio verso destra, l’acqua va a destra. Se l’apri verso sinistra, l’acqua va a sinistra. Impiegando la stessa metafora dell’acqua, Mencio replica:
«È vero che l’acqua va indifferentemente verso destra o verso sinistra. Ma l’acqua va indifferentemente verso il basso o verso l’alto? La tendenza della natura umana verso il bene è esattamente come la tendenza dell’acqua ad andare verso il basso. Non c’è un essere umano che non abbia una natura buona, così come non c’è acqua che non vada verso il basso. Ora se con un colpo fai schizzare l’acqua in su, riesci anche a farla andare fin sopra la tua testa. L’acqua di un ruscello, con sbarramenti e condotti, tu puoi riuscire anche a farla salire su una collina: ma forse che questi movimenti sono nella natura dell’acqua? Quando le persone commettono cose malvagie, è perché hanno forzato la loro natura» (6 A, 2).
Questa similitudine dell’acqua che tende inesorabilmente verso il basso esprime molto bene la tenace convinzione di Mencio che la natura umana è dotata di una tendenza radicata nel più profondo del suo essere verso il bene. L’acqua scorre verso il basso spinta da una forza ineluttabile, che noi sappiamo essere la forza di gravità. Si può dire che esiste all’interno dell’essere umano una forza similare, una specie di forza gravitazionale, che lo spinge ad andare verso il bene. Se poi egli non ci va, se non fa il bene, è per altri motivi, non perché gli manchi questa tendenza o spinta innata. Come spiega Mencio, chi non fa il bene è uno che in realtà sta usando violenza verso la sua tendenza innata (verso la sua natura).
In terzo luogo Gaozi presenta un altro argomento sotto forma di affermazione:
«Gaozi disse: "La vita è ciò che viene chiamato natura ( xing)"» (6 A, 3).
Mencio risponde anche qui argomentando per absurdum e ribatte: anche le varie specie animali hanno la vita, allora si può dire che non c’è differenza fra un uomo e un bue?
Il quarto argomento di Gaozi riguarda la questione se la benevolenza ( ren) e la rettitudine ( yi) siano interne o esterne all’uomo, questione la cui risposta implica ovviamente un concetto di natura umana. Gaozi sostiene che la natura umana è costituita dagli appetiti (di cibo e sesso) e che la benevolenza è interna mentre la rettitudine è esterna all’uomo. Avremo occasione in seguito di approfondire i termini del quarto argomento. Ad ogni modo Mencio ribatte questo argomento puntualizzando che la natura umana è molto di più di un fatto biologico, è anche un fatto morale.
Il concetto della natura umana istintivamente tendente al bene ( xing shan) è sicuramente una delle idee principali, anzi la principale, di Mencio. Venendo a toccare così da vicino il problema dell’essenza dell’essere umano ( Che cos’è l’ uomo?), non fa meraviglia che lungo i secoli fino ad oggi tanti siano stati i dibattiti sul suo vero significato.
Nella Cina antica il discorso sulla natura umana non è stato Mencio a cominciarlo. Secondo l’eminente sinologo A. C. Graham sarebbe stato il filosofo Yang Zhu (440-360 a.C.) ad avviarlo. In verità perfino i testi dei Cinque Classici, molti dei quali precedenti a Confucio, contengono una particolare attenzione alla natura umana e alle sue manifestazioni (positive o negative). Ai tempi di Mencio erano correnti diverse opinioni sulla natura umana discordanti fra loro, segno della sua importanza nei dibattiti intellettuali del tempo. Nel capitolo sesto del Mengzi, poco dopo il dibattito Mencio-Gaozi, si trova questa conversazione tra Mencio e il suo discepolo Gongduzi:
«Gongduzi si rivolse a Mencio: “Il filosofo Gaozi dice: ‘La natura umana non è né buona né cattiva’. Certuni dicono: ‘La natura umana si può farla andare verso il bene, in modo che pratichi il bene, come si può farla andare verso il male...’ Altri dicono: ‘La natura di certe persone è buona; la natura di altre è cattiva. È per questo che sotto un sovrano così saggio come Yao viveva il malvagio Xiang; che con un padre cattivo come Gusou è vissuto un figlio di nome Shun; e che con un sovrano perverso come Zhou dei Shang, vivessero personaggi virtuosi come Qi il visconte di Wei e il principe Bi Gan’. E tu ora dici: ‘La natura umana è buona’. Ma allora tutti gli altri sbagliano?”» (6 A, 6).
Dal discorso di Gongduzi si viene a sapere che a quei tempi erano diffuse già almeno quattro diverse teorie sulla natura umana, e cioè:
- La natura umana moralmente parlando è neutra, non è né buona né cattiva (Gaozi).
- La natura umana è fluida e malleabile: si può farla andare verso il bene o verso il male. (Non è detto chi la sostenesse, anche se dal precedente dibattito si vede che anche Gaozi aveva questa idea).
- Certe persone nascono con una natura buona; altre con una natura cattiva. Ai tempi di Mencio tale teoria, dal risvolto sociale tutt’altro che egalitario, era sostenuta dai moisti, cioè i seguaci del filosofo Mozi (479-438 a.C.).
- La natura umana è fondamentalmente buona (Mencio).
Cerchiamo ora di comprendere che cosa Mencio intendesse dire con la sua teoria ascoltando le sue stesse parole:
«La natura umana, giudicando dai sentimenti che le sono propri (tipici), si deve dire che è strutturata per la pratica di ciò che è bene. Questo è ciò che intendo quando dico che la natura umana è buona» (6 A, 6).
Quando Mencio afferma che la natura umana è buona, non intende dire che tutte le persone sono buone o che tutto quello che uno fa è buono, o che l’uomo è nato buono. Egli vuole semplicemente asserire un dato fondamentale, e cioè che la natura umana è strutturata nella direzione del bene, ha una facoltà naturale insita nella persona, così naturale come le braccia e le gambe, ad amare gli altri, a rispettare gli altri, ad agire con rettitudine, ad emettere giudizi su ciò che è bene e ciò che è male, ciò che è vero e ciò che è falso.
Come egli stesso spiega, la natura umana è di poco diversa dagli animali. L’essere umano ha in comune con gli animali la vita vegetativa e sensitiva. Ciò che davvero lo diversifica è un dato molto singolare; è la capacità di praticare (non è detto che poi di fatto la pratichi!) la benevolenza ( ren) e la rettitudine ( yi), cosa che l’uomo ha e gli animali non hanno; è lo spiraglio di coscienza che gli dice: questo è bene, oppure questo è male, accompagnato dall’istanza volitiva: questo si deve o non si deve fare:
«Mencio disse: “Ciò che diversifica l’uomo dalle bestie è poca cosa. Le persone volgari lo buttano via, mentre il galantuomo ( junzi) ne fa tesoro”» (4 B, 19).
La differenza fra uomini e animali è piccola. Il galantuomo ne fa tes...