Iliade
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Iliade

Traduzione di Vincenzo Monti

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Iliade

Traduzione di Vincenzo Monti

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L' Iliade è il primo grande poema epico, tradizionalmente attribuito a Omero. Il titolo deriva da Ilio, altro nome dell'antica Troia e narra gli eventi accaduti nel decimo anno di guerra fra il poderoso esercito degli Achei - che assale Ilio a causa del ratto di Elena - e l'esercito troiano guidato da Ettore. Il poema si apre con l'ira di Achille e si conclude poco prima della conquista di Troia (narrata nell' Odissea ). Opera ciclopica e complessa, è un caposaldo della letteratura greca e occidentale. Questa edizione riporta la traduzione del grande poeta Vincenzo Monti (1754-1828).

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9791220226325
Argomento
Letteratura
Categoria
Poesia

LIBRO DECIMOSESTO

E così questi combattean la nave.
Presentossi davanti al fiero Achille
Patroclo intanto un caldo rio versando
di lagrime, siccome onda di cupo
fonte che in brune polle si devolve
da rupe alpestre. Riguardollo, e n’ebbe
pietà il guerriero piè-veloce, e disse:
Perché piangi, Patròclo? Bamboletta
sembri che dietro alla madre correndo
torla in braccio la prega, e la rattiene
attaccata alla gonna, ed i suoi passi
impedendo piangente la riguarda
finch’ella al petto la raccolga. Or donde
questo imbelle tuo pianto? Ai Mirmidóni
o a me medesmo d’una ria novella
sei forse annunziator? Forse di Ftia
la ti giunse segreta? E pur la fama
vivo ne dice ancor Menèzio, e vivo
tra i Mirmidón l’Eàcide Pelèo,
d’ambo i quali d’assai grave a noi fôra
certo la morte. O per gli Achei tu forse
le tue lagrime versi, e li compiagni
là tra le fiamme delle navi ancisi,
e dell’onta puniti che mi fêro?
Parla, m’apri il tuo duol, meco il dividi.
E tu dal cor rompendo alto un sospiro
così, Patròclo, rispondesti: O Achille,
o degli Achei fortissimo Pelìde,
non ti sdegnar del mio pianto. Lo chiede
degli Achei l’empio fato. Oimè, che quanti
eran dianzi i miglior, tutti alle navi
giaccion feriti, quale di saetta,
qual di fendente. Di saetta il forte
Tidìde Dïomede, e di fendente
l’inclito Ulisse e Agamennón; trafitta
ei pur di freccia Eurìpilo ha la coscia.
Intorno a lor di farmaci molt’opra
fan le mediche mani, e le ferite
ristorando ne vanno. E tu resisti
inesorato ancora? O Achille! oh mai
non mi s’appigli al cor, pari alla tua,
l’ira, o funesto valoroso! E s’oggi
sottrar nieghi gli Achivi a morte indegna,
chi fia che poscia da te speri aita?
Crudel! né padre a te Pelèo, né madre
Tetide fu: te il negro mare o il fianco
partorì delle rupi, e tu rinserri
cuor di rupe nel sen. Se doloroso
ti turba un qualche oracolo la mente;
se di Giove alcun cenno a te la madre
veneranda recò, me tosto almeno
invìa nel campo; e al mio comando i forti
Mirmidoni concedi, ond’io, se puossi,
qualche raggio di speme ai travagliati
compagni apporti. E questo ancor mi assenti,
ch’io, delle tue coperto armi le spalle,
m’appresenti al nemico, onde ingannato
dalla sembianza, in me comparso ei creda
lo stesso Achille, e fugga, e l’abbattuto
Acheo respiri. Nella pugna è spesso
una via di salute un sol respiro;
e noi di forze intégri agevolmente
ricaccerem la stanca oste alle mura
dalle navi respinta e dalle tende.
Così l’eroe pregò. Folle! ché morte
perorava a se stesso e reo destino.
E a lui gemendo di corruccio Achille:
Che dicesti, o Patròclo? In questo petto
terror d’udite profezie non passa,
né di Giove alcun cenno a me la diva
madre recò. Ma il cor mi rode acerba
doglia in pensando che rapirmi il mio
un mio pari s’ardisce, e del concesso
premio spogliarmi prepotente. È questo,
questo il tormento, il dispetto, la rabbia
onde l’alma è angosciata. Una donzella
di valor ricompensa, a me prescelta
da tutto il campo, e da me pria coll’asta
conquistata per mezzo alla ruina
di munita città, questa alle mie
mani ha ritolta l’orgoglioso Atride,
come a vil vagabondo. Ma le andate
cose sien poste nell’obblìo; ché l’ira
viver non debbe eterna. Io certo avea
fatto un severo nel mio cor decreto
di non porla, se prima non giugnesse
alle mie navi de’ pugnanti il grido
e la pugna. Ma tu le mie ti vesti
armi temute, e alla battaglia guida
i bellicosi Tessali; ché fosco
di Teucri e fiero un nugolo vegg’io
circondar già le navi, e al lido stringersi
in poco spazio i Greci, e su lor tutta
Troia versarsi, audace fatta e balda
perché vicino balenar non vede
dell’elmo mio la fronte. Oh fosse meco
stato re giusto Agamennón! Ben io
t’affermo che costoro avrìan fuggendo
de’ lor corpi ricolme allor le fosse.
Or ecco che n’han chiuso essi d’assedio:
perocché nella man di Dïomede,
a tener lunge dagli Achei la morte,
l’asta più non infuria, né d’Atride
la voce ascolto io più dall’abborrita
bocca scoppiante; ma sol quella intorno
dell’omicida Ettorre mi rimbomba
animante i Troiani. E questi alzando
liete grida guerriere il campo tutto
tengon già vincitori. E nondimeno
va, ti scaglia animoso, e dalle navi
quella peste allontana, né patire
che le si strugga il fuoco, e ne sia tolta
del desïato ritornar la via.
Ma, quale in mente la ti pongo, avverti
de’ miei detti alla somma, e m’obbedisci,
se vuoi che gloria me ne torni, e grande
dai Greci onore, e che la bella schiava
con doni eletti alfin mi sia renduta.
Cacciati i Teucri, fa ritorno: e s’anco
l’altitonante di Giunon marito
ti prometta vittoria, incauta brama
di pugnar senza me con quei gagliardi
non ti seduca, né voler ch’io colga
di ciò vergogna e disonor: né spinto
dall’ardor della pugna alle fatali
dardanie mura avvicinar le schiere
della strage de’ Teucri insuperbito;
onde non scenda dall’Olimpo un qualche
Immortale a tuo danno. Essi son cari,
non obblïarlo, al saettante Apollo.
Posti in salvo i navili, immantinente
dunque dà volta, e lascia ambo a vicenda
struggersi i campi. Oh Giove padre! oh Pallade!
e tu di Delo arciero Iddio, deh fate
che nessun possa né Troian né Greco
schivar morte, nessuno; onde del sacro
ilïaco muro la caduta sia
di noi due soli preservati il vanto.
Mentre seguìan tra lor queste parole
Aiace omai cedea l’arena oppresso
da gran selva di strali. Rintuzzava
le sue forze il voler di Giove e il nembo
delle teucre saette. Il rilucente
elmo percosso un suon mettea che orrendo
gl’intronava le tempie, ed incessante
sovra i chiavelli il martellar cadea.
Langue spossata la sinistra spalla
dall’assiduo maneggio affaticata
del versatile scudo. E tuttavolta
né la calca premente, né de’ colpi
la tempesta il potea mover di loco.
Scuotegli i fianchi più affannato e spesso
l’anelito: il sudor discorre a rivi
per le membra, né puote a niuna guisa
pigliar respiro il valoroso. Intanto
d’ogni parte l’orror cresce e il periglio.
Muse dell’alto Olimpo abitatrici,
or voi ne dite per che modo il primo
fuoco alle navi degli Achei s’apprese.
Di frassino una grave asta scotea
Aiace. A questa avvicinato Ettorre
tal trasse un colpo della grande spada
che netta la tagliò là dove al tronco
si commette la punta. Invan vibrava
il Telamònio eroe l’asta privata
della sua cima, che lontan cadendo
risonò sul terren. Raccapricciossi
il magnanimo, e vide ivi d’un nume
manifesta la man; vide che avverso
l’Altitonante del pugnar le vie
tutte gli avea precise, e decretata
de’ Teucri all’armi la vittoria. Ei dunque
lunge dai dardi si ritrasse; e ratto
i Troi gittaro nella nave il foco,
che tosto le si apprese, e d’ogni lato
l’inestinguibil fiamma si diffuse.
Si batté l’anca per dolore Achille,
vista la vampa divorante; e, Sorgi,
mio Patroclo, gridò: sorgi. Alle navi
l’impeto io veggo della fiamma ostile.
Deh che il nemico non le prenda, e tutti
ne precluda gli scampi: su via, tosto
armati; ché i miei forti io ti raduno.
Disse: e Patròclo si vestìa dell’armi
folgoranti. Alle gambe primamente
i bei schinieri si ravvolse adorni
d’argentee fibbie. La corazza al petto
poscia si mise del veloce Achille
screzïata di stelle. Indi la spada
di bei chiovi d’argento aspra e lucente
dall’omero sospese. Indi lo scudo
saldo e grande imbracciò: la valorosa
fronte nell’elmo imprigionò, su cui
d’equine chiome orrendamente ondeggia
una cresta. Alfin prese, atte al suo pugno,
valide lance; ed unica d’Achille
l’asta non prese, immensa, grave e salda
cui nullo palleggiar Greco potea,
tranne il braccio achillèo: massiccia antenna
sulle cime del Pèlio un dì recisa
dal buon Chirone, ed a Pelèo donata,
perché fosse in sua man strage d’eroi.
Comanda ei quindi che i cavalli al cocchio
subito aggioghi Automedon, guerriero
cui dopo Achille rompitor di squadre
sovra ogni altro ei pregiava: ed in battaglia
nel sostener gl’impetuosi assalti
del nemico, ad Achille era il più fido.
Rotti adunque gl’indugi, Automedonte
i veloci corsieri al giogo addusse
Balio e Xanto che un vento eran nel corso,
e partoriti a Zefiro gli avea
l’Arpia Podarge un dì ch’ella pascendo
iva nel prato lungo la corrente
dell’Oceàn. Dall’una banda ei poscia
Pedaso aggiunse, corridor gentile,
cui seco Achille un dì dalla disfatta
città d’Eezïon s’avea condotto;
e quantunque mortale iva del paro
co’ destrieri immortali. Intanto Achille
su e giù scorrendo per le tende, tutti
di tutto punto i Mirmidóni armava.
Quai crudivori lupi il cor ripieni
di molta gagliardia, prostrato avendo
sul monte un cervo di gran corpo e corna,
sel trangugiano a brani, e sozze a tutti
rosseggiano di sangue le mascelle:
quindi calano in branco ad una bruna
fonte a lambir colle minute lingue
il nereggiante umor, carne ruttando
mista col sangue: il cor ne’ petti audaci
s’allegra, e il ventre ne va gonfio e teso:
tali dintorno al bellicoso amico
del gran Pelìde intrepidi si affollano
i mirmidonii capitani; e in mezzo
a lor s’aggira il marzïale Achille
i cavalli animando e i battaglieri.
Cinquanta eran le prore che veloci
avea condotte a Troia il caro a Giove
Tessalo prence, e carca iva ciascuna
di cinquanta guerrieri. A cinque duci
n’avea dato il comando, ed ei la somma
potestà ne tenea. Guida la prima
squadra Menèstio, scintillante il petto
di varïato usbergo. Era costui
prole di Sperchio, fiume che da Giove
l’origine vantava; e di Pelèo
la bella figlia Polidora a Sperchio
partorito l’avea, donna mortale
commista con un Dio. Ma lui l...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. ILIADE
  3. Indice
  4. Intro
  5. ILIADE
  6. LIBRO PRIMO
  7. LIBRO SECONDO
  8. LIBRO TERZO
  9. LIBRO QUARTO
  10. LIBRO QUINTO
  11. LIBRO SESTO
  12. LIBRO SETTIMO
  13. LIBRO OTTAVO
  14. LIBRO NONO
  15. LIBRO DECIMO
  16. LIBRO UNDECIMO
  17. LIBRO DUODECIMO
  18. LIBRO DECIMOTERZO
  19. LIBRO DECIMOQUARTO
  20. LIBRO DECIMOQUINTO
  21. LIBRO DECIMOSESTO
  22. LIBRO DECIMOSETTIMO
  23. LIBRO DECIMOTTAVO
  24. LIBRO DECIMONONO
  25. LIBRO VENTESIMO
  26. LIBRO VENTESIMOPRIMO
  27. LIBRO VENTESIMOSECONDO
  28. LIBRO VENTESIMOTERZO
  29. LIBRO VENTESIMOQUARTO
  30. Ringraziamenti