L'Europa verso la catastrofe
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L'Europa verso la catastrofe

La politica estera dell'Italia fascista 1936-1942

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L'Europa verso la catastrofe

La politica estera dell'Italia fascista 1936-1942

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Nel 1936 Galeazzo Ciano assunse il ministero degli Affari Esteri, restando in carica fino all’autunno 1942. L’Europa verso la catastrofe raccoglie le carte diplomatiche dagli archivi di Palazzo Chigi riguardanti il dicastero agli Esteri. Gian Galeazzo Ciano, meglio conosciuto come Galeazzo, conte di Cortellazzo e Buccari (Livorno, 18 marzo 1903 – Verona, 11 gennaio 1944), è stato un diplomatico e politico italiano. Figlio dell'ammiraglio Costanzo Ciano e di Carolina Pini, nel 1930 sposò Edda Mussolini.

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Informazioni

Editore
Passerino
Anno
2021
ISBN
9791220248907

1938


XIV. Chamberlain contro Eden


Colloquio con l’Ambasciatore di Gran Bretagna
Roma, 3 gennaio 1938-XVI
È venuto a vedermi l’Ambasciatore di Gran Bretagna il quale mi ha detto che, in seguito al colloquio Eden-Grandi del 2 dicembre ed alla comunicazione fatta da Crolla al Governo britannico il 23 dicembre, il suo Governo stava studiando la situazione. Poiché nella comunicazione Crolla si parlava di un regolamento totalitario delle relazioni fra la Gran Bretagna e l’Italia, inclusa quindi la questione del riconoscimento dell’Impero, il Governo britannico, che nella comunicazione fatta in ottobre da Drummond non aveva fatto cenno a tale problema, deve attentamente esaminare una tale questione. Perth era incaricato di dirmi che il ritardo inglese nel farci conoscere il punto di vista era determinato non dal fatto di volere escludere tale argomento dalle eventuali conversazioni, ma dalla necessità di esaminare attentamente una tale possibilità. Ho risposto a Perth che prendevo atto della comunicazione che mi faceva, e gli ho praticamente ripetuto quanto Crolla aveva detto a Eden circa la opportunità che un eventuale accordo regoli tutte le questioni esistenti tra l’Italia e la Gran Bretagna senza lasciare zone d’ombra o motivi di sospetto.
Perth mi ha detto che per parte sua era interamente favorevole ad una soluzione totalitaria, ma che, nell’attesa di ricevere maggiori istruzioni dal suo Governo, teneva a farci sapere che il silenzio britannico di questi ultimi tempi non voleva affatto significare un cambiamento di programma circa l’eventualità di conversazioni con l’Italia e che non è nelle intenzioni britanniche di compiere inutili tentativi di «cloroformizzazione».

Colloquio del Duce con il Conte Bethlen
Roma, 5 gennaio 1938-XVI
Il Conte Bethlen in una conversazione avuta col Duce gli ha espresso la sua convinzione che in caso di conflitto tra l’Italia e l’Inghilterra, l’Inghilterra correrebbe un rischio gravissimo data la sua inferiorità di armamenti.
Nei confronti dell’Austria, Bethlen ha detto che l’80% della popolazione è nazista ed il resto è favorevole all’ Anschluss. Ciò aumenta la istintiva diffidenza degli ungheresi nei confronti della Germania tanto più che l’atteggiamento tedesco nei riguardi delle minoranze germaniche in Ungheria non è affatto simpatico. Gli ungheresi temono che l’andata al potere di Goga possa costituire l’inizio di una nuova Piccola Intesa con perno su Berlino anziché su Parigi. Cosa che ancor maggiormente preoccupa i magiari dato che la Germania ha fatto delle dichiarazioni antirevisioniste nei confronti dell’Ungheria, dichiarazioni che non sono ancora state smentite. Bisogna aggiungere che i giornali tedeschi che escono nella Transilvania sono nettamente anti-magiari. D’altra parte gli ungheresi non sono affatto sicuri dell’atteggiamento revisionista germanico in loro favore nemmeno nei confronti della Cecoslovacchia. L’unica possibilità politica dell’Ungheria è l’Italia.
Il Duce ha detto che l’accordo fatto dall’Italia con la Jugoslavia è molto favorevole all’Ungheria, perché a Belgrado si sa chiaramente che noi non permetteremmo ai serbi di attaccare l’Ungheria in difesa della Cecoslovacchia. Ciò è del resto molto improbabile perché Stojadinovic è scettico sulla vitalità della Cecoslovacchia che egli stesso ha definito uno Stato salsiccia.
Il Conte Bethlen ha ammesso che dei tre Stati della Piccola Intesa la Jugoslavia è il più corrente nelle trattative.
Il Duce ha confermato a Bethlen che noi non faremo niente con la Romania senza l’approvazione preventiva di Budapest, ciò vuol dire senza un previo accordo magiaro-romeno, accordo sul trattamento delle minoranze.
Bethlen ritiene che un Protocollo simile a quello polacco-germanico sarebbe soddisfacente. Egli desidererebbe però che una dichiarazione analoga a quella fattagli dal Duce venisse fatta anche dalla Germania a favore dell’Ungheria. Per quanto concerne la Cecoslovacchia, il Conte Bethlen ha detto che gli ungheresi considerano impossibile un accordo dato che ritengono pregiudiziale di portare le loro frontiere ai Carpazi per congiungersi con la Polonia e meglio contenere la pressione tedesca.
Il Duce ha detto a Bethlen che un eventuale conflitto tra l’Italia e la Gran Bretagna scatenerebbe la pressione tedesca nell’Europa Centrale e tutto l’equilibrio danubiano ne sarebbe alterato.

Colloquio con l’Ambasciatore di Gran Bretagna
Roma, 8 gennaio 1938-XVI
L’Ambasciatore d’Inghilterra mi ha chiesto se l’Italia contemplava la cessione del Giubaland alla Germania. Per tale eventualità egli faceva presente l’art. 5 del Trattato italo-britannico del 1924.
Gli ho risposto che l’Italia non contemplava la cessione di nessun territorio a nessuno Stato. In quindici anni di regime fascista, avevamo alzato la bandiera su molti territori. Ammainata: su nessuno.

Lettera del Conte Ciano all’Ambasciatore
a Londra Grandi
Roma, 16 febbraio 1938-XVI
Segreta-Personale
Caro Dino,
dal mio telegramma del 15 avrai rilevato ancora una volta qual è qui lo stato d’animo e le conseguenti intenzioni circa l’intesa con Londra. Non avrei nulla da aggiungere se nel frattempo non si fosse verificato il fatto nuovo che, se non modifica la situazione nel fondo, determina pur sempre l’utilità di un aggiornamento di tattica. Il fatto nuovo è il Convegno di Berchtesgaden, con quanto ne è risultato. La nazificazione dell’Austria può ormai considerarsi, se non completata, certamente molto avanzata. Ciò era previsto. Così come adesso è facile prevedere che nuovi sbalzi in avanti dell’offensiva nazista si verificheranno ancora. Quando? Questa è la domanda, cui la risposta appare difficile. Ed è proprio in relazione a questa incertezza che deve venir esaminata la situazione delle trattative italo-britanniche. Per usare una formula del Duce, come sempre efficacissima, oggi ci troviamo nell’intervallo tra il quarto e il quinto atto della vicenda austriaca. Quando il quinto atto comincerà? Non è possibile prevederlo. Ma non è affatto da escludere che i tempi si accelerino.
Questo intervallo, e solo questo intervallo, può essere utilizzato per le trattative tra noi e Londra. Oggi, eventuali concessioni e transazioni rientrano nel normale gioco del dare e dell’avere della diplomazia e, se si comincia a trattare, nessuno potrà in alcun modo parlare di pressioni alla porta o di acqua alla gola. Ma domani, qualora l’ Anschluss fosse un fatto compiuto, qualora la grande Germania dovesse ormai gravitare sulle nostre frontiere con la mole dei suoi settanta milioni di uomini, allora per noi diverrebbe sempre più difficile concludere o soltanto parlare con gli inglesi perché non si potrebbe evitare all’interpretazione mondiale di scorgere nella nostra politica di avvicinamento con Londra un’andata a Canossa sotto la pressione tedesca.
Perciò sembra venuto il momento in cui bisogna dar un colpo di acceleratore alla conclusione di quei pourparlers che sinora si sono rivelati statici e quindi inutili. Chiarisco subito un punto: non è che il Duce sia oggi più ansioso di ieri di stringer la mano agli inglesi. Come ieri è desideroso di un’intesa, se questa è possibile: come ieri è pronto ad affrontare qualsiasi prova, anche la più dura, se ciò appare necessario. La conclusione dei pourparlers può quindi essere positiva o negativa. Non spetta solo a noi di assumerci una tale responsabilità: gli inglesi dovranno averne la congrua parte. Ma bisogna che una conclusione ci sia, e ci sia rapidamente. Perché se nuovi ritardi dovessero ancora venire causati dal bizantinismo dei pregiudizi e delle pregiudiziali, se nel frattempo la marcia nazista in Austria dovesse compiere il progresso definitivo e metterci davanti al fatto compiuto, allora non esisterebbe più l’alternativa e noi dovremmo indirizzare definitivamente la nostra politica in un senso di netta, aperta, immutabile ostilità contro le Potenze Occidentali.
Tanto ti comunico per tua norma di condotta. Sono certo che troverai il modo di far capire agli inglesi quando e come ti parrà ciò utile ed indicato, che se vogliamo compiere uno sforzo per cercare di condurre in porto la pericolante navicella delle nostre relazioni, bisogna decidersi a farlo presto, poiché il tempo stringe e non tutte le carte del giuoco possono rimanere sempre e soltanto nelle mani nostre e in quelle loro.

Colloquio col Principe d’Assia
Roma, 18 febbraio 1938-XVI
Ho avuto un colloquio col Principe d’Assia in relazione al viaggio del Führer. Mi ha detto che Hitler, messo a conoscenza delle linee generali del programma, ha manifestato la sua intera approvazione. In via riservata ha aggiunto che potrebbe darsi che il Führer, terminata la permanenza ufficiale, volesse trattenersi ancora privatamente alcuni giorni in Italia in una località marina o montana. Di tale eventuale decisione saremmo informati per tempo, per facilitare il soggiorno, del quale, per ora, il Führer non ha fatto parola con nessuno ed il cui progetto prega di mantenere ancora assolutamente riservato.
Col Principe d’Assia abbiamo parlato anche della situazione che si è prodotta dopo i recenti avvenimenti in Austria. Dato che il Principe d’Assia avrà l’opportunità di vedere domani sera (19 febbraio) il Ministro von Ribbentrop, ho creduto di precisargli in via personale ed amichevole tre punti.
1. La reazione ufficiale italiana nei confronti dell’incontro Schuschnigg-Hitler e relative conseguenze è nota al Governo tedesco che certo vi avrà riconosciuto una cordiale e concreta prova di amicizia.
Il Principe d’Assia ha detto che in realtà il nostro atteggiamento aveva determinato un’approvazione entusiastica negli ambienti tedeschi.
2. Ciò premesso, dovevo però francamente fargli rilevare che il modo in cui si erano svolte le cose non poteva riuscirci del tutto gradito. Dati gli stretti legami che corrono fra i due Paesi dell’Asse, tenuta presente la esemplare dirittura della nostra politica nei confronti della Germania, considerati gli accordi verbali esistenti in merito all’Austria che contenevano l’impegno di non fare niente senza reciproca consultazione, noi avevamo tutte le buone ragioni per pensare che il Führer, prima di procedere ad un incontro dalle così importanti conseguenze, ci avrebbe opportunamente informati e richiesti di far conoscere il nostro avviso. Naturalmente era opportuno che questa mia osservazione fosse tenuta presente per il futuro dal Governo tedesco. Tenevo a far rilevare che noi non avevamo mai mancato di informare anche nei più piccoli particolari il Governo del Reich di questioni che erano ben lungi dall’avere per i tedeschi una importanza così grande come quella che il problema austriaco ha per l’Italia.
3. L’impressione degli avvenimenti recenti era stata indubbiamente profonda in tutto il mondo. Però, ai fini del bilancio generale, aveva ancora grandissima importanza il modo coi quale il Führer si sarebbe espresso in merito nel suo prossimo discorso. Mi auguravo che in questo discorso venisse parlato esplicitamente della indipendenza dell’Austria. Siamo tutti d’accordo nel riconoscere che la Germania ha fatto un passo innanzi molto notevole nell’accrescimento della sua influenza in Austria, ciò nonostante è bene che venga dichiarato che l’Austria continua ad esistere come Stato indipendente, poiché la minaccia di un assorbimento definitivo dell’Austria determinerebbe, nell’opinione pubblica mondiale, reazioni che oggi non è facile prevedere né prudente far sorgere.
Il Principe d’Assia, che ha manifestato opinioni molto moderate nei confronti del problema austriaco, ha detto che non mancherà di esprimersi in modo opportuno con Ribbentrop. Personalmente, dopo aver anche parlato con Göring, il quale non era ancora completamente al corrente dell’accaduto, e che ha dichiarato essere stato il Führer il promotore e il realizzatore dell’incontro di Berchtesgaden, il Principe d’Assia ritiene che il Reich sosterà sulle posizioni raggiunte senza, almeno per un certo tempo, sferrare nuove offensive contro l’indipendenza, ormai assai limitata, dell’Austria. Teme però che la situazione interna dell’Austria sia suscettibile di nuovi e gravi sviluppi.

Rapporto dell’Ambasciatore a Londra Grandi al Ministero degli Esteri
Londra, 13 febbraio 1938-XVI
N. 1023/466
Mio incontro con Chamberlain
A seguito del mio telegramma cifra N. 127 di ieri sera, invio stamane ulteriori dettagli sul mio incontro di ieri col Primo Ministro.
Per comprendere esattamente i motivi che hanno determinato questo incontro, e il modo con cui esso si è svolto, occorre tenere anzitutto presenti gli avvenimenti di politica interna e internazionale di queste due ultime settimane e precisamente:
L’acutizzarsi dei dissensi fra le due correnti del Gabinetto britannico, l’una favorevole ad un accordo con l’Italia (Chamberlain), la seconda contraria ad un accordo con l’Italia (Eden).
La ripercussione suscitata in Inghilterra dagli avvenimenti austriaci di questi giorni.
È in questo clima politico che va collocato il mio incontro di ieri con Chamberlain, e di questo clima politico occorre tener presente per valutare di questo incontro il contenuto, le conclusioni e le ripercussioni nella politica interna britannica.
Come ho informato nel mio telegramma N. 122 di avant’ierisera, mercoledì 16 corrente, e di nuovo giovedì 17 corr., Eden ha sollecitato una mia visita al Foreign Office dicendo che aveva necessità di parlarmi. Ho risposto che non potevo, ed ho aggiunto essere comunque preferibile attendere per il nostro colloquio nuove istruzioni da Roma che mi risultavano essere già in viaggio per Londra. Giovedì 17 corrente Eden ha telefonato di nuovo insistendo per vedermi e parlarmi nella mattinata stessa. Mi sono di nuovo schermito allegando addirittura come pretesto che ero impegnato ad una partita di golf (io odio il golf ma fingo di giocarlo quando occorre). Desideravo infatti che Eden capisse chiaramente che io non volevo recarmi al Foreign Office e conferire con lui in queste giornate, durante le quali la politica internazionale sembra dominata dalle notizie degli avvenimenti austriaci ed una mia visita ad Eden nelle giornate di mercoledì e giovedì, sarebbe stata facilmente sfruttata, direttamente o indirettamente, dal Foreign Office per costruire in margine ad essa il facile e desiderato canard di «consultazioni» italo-inglesi in conseguenza degli avvenimenti austriaci. Ciò avrebbe facilitato Eden a uscire dalla posizione di palese imbarazzo in cui egli si trova da tre giorni ai Comuni, ed avrebbe gettato un’ombra sull’asse Roma-Berlino. L’una e l’altra cosa costituivano l’evidente obiettivo di Eden. Ed io, in considerazione appunto di ciò, ho ritenuto opportuno reagire alla sua manovra.
Ho anche informato V. E. che dopo essermi rifiutato, col pretesto di cui sopra, di recarmi al Foreign Office è venuto a trovarmi nel pomeriggio di giovedì Sir Joseph Ball, segretario generale del Partito Conservatore, uomo di fiducia di Chamberlain e che dal mese di ottobre u. s. funziona da collegamento diretto e “segreto” fra me e Chamberlain. Sir Joseph Ball col quale dal 15 gennaio sono in contatto si può dire quasi giornaliero mi ha detto di essere incaricato da Chamberlain di farmi presente l’opportunità di non sottrarmi al colloquio sollecitato da Eden, in quanto che «era assai probabile» (queste sono le testuali parole di Ball) che lo stesso Primo Ministro Chamberlain intervenisse al colloquio. Ho illustrato a Ball le ragioni per cui ritenevo da parte mia di dover evitare in questi giorni un incontro con Eden. Io non potevo assolutamente prestarmi, ho detto, a nulla che potesse essere eventualmente sfruttato in Inghilterra e fuori d’Inghilterra come manovra contro l’asse Roma-Berlino e contro quella che è la solidità dei rapporti fra l’Italia fascista e la Germania nazista. Se il Primo Ministro riteneva opportuno avere un personale contatto con me, io ero sempre pronto a recarmi a Downing Street in qualsiasi momento. Ball ha riferito subito a Chamberlain, e più tardi nella serata, alle ore 20, è giunto all’Ambasciata direttamente dagli Uffici di Downing Street l’invito telefonico di Chamberlain di recarmi all’indomani alle 11.30 per un colloquio col Primo Ministro.
Ho ritenuto opportuno premettere questi precedenti di fatto necessari per inquadrare il colloquio.
Chamberlain mi ha accolto assai cordialmente ed ha incominciato col dirmi che egli aveva ritenuto opportuno che anche il Ministro degli Esteri Eden assistesse a questo incontro.
Ho risposto naturalmente che io ero lieto di ciò.
Dopo le solite premesse di carattere generale introduttivo che gli inglesi sono soliti fare sempre, esattamente come i cinesi e come i turchi quando hanno qualcosa da dire che a loro preme particolarmente, Chamberlain ha puntato direttamente con queste parole nella sostanza delle cose: «La situazione dell’Europa e sopratutto le notizie degli avvenimenti in Austria durante questi ultimi giorni, sono molto disturbing, non vi pare?».
Ho risposto a Chamberlain, molto tranquillamente, che non da pochi giorni bensì da molto tempo la situazione dell’Europa è disturbing. E non ho aggiunto altro.
Chamberlain è rimasto per un po’ silenzioso come aspettando che io dicessi di più. Poi egli stesso, visto che io continuavo a rimanere silenzioso, ha affrontato l’argomento spinoso, e cioè l’Austria. Egli ha detto che gli avvenimenti austriaci, e cioè le notizie pervenute a Londra circa la improvvisa azione tedesca di violenta nazificazione dello Stato austriaco, avevano avuto in Inghilterra la più seria e sgradevole ripercussione. «L’azione tedesca contro l’Austria» Chamberlain ha continuato «è evidentemente destinata a produrre mutamenti nell’equilibrio europeo e vi è da domandarsi che cosa rimane oggi e sopratutto cosa rimarrà domani, fra poco, dell’indipendenza austriaca. Questa esiste ancora formalmente, ma è chiaro che se la Germania procederà, come sembra determinata a farlo, sulla strada iniziata affrettando i tempi della nazificazione dell’Austria, l’indipendenza austriaca sarà tra non molto compromessa in un modo definitivo e per sempre».
Chamberlain ha continuato dicendo che l’attitudine italiana di fronte agli avvenimenti austriaci era in questi giorni oggetto di particolare attenzione e anche di illazioni e interpretazioni le più diverse e contraddittorie: «Io stesso», ha detto Chamberlain «pure rendendomi conto di molte cose, non riesco a comprendere questo atteggiamento “passivo” dell’Italia. Vi sarei sinceramente grato se voi poteste spiegarmelo e illuminarmi».
Ho risposto a Chamberlain che la posizione dell’Italia era semplice, chiara e rettilinea, nella questione austriaca come in tutto il resto, e che pertanto ritenevo superfluo procedere a tale richiesta illustrazione. «D’altra parte» ho continuato «io non ho su questo punto istruzioni dal mio Governo, né mi sento autorizzato a parlare di questo argomento che non ha nulla a che vedere con le progettate conversazioni italo-britanniche e sul quale io non desidero, comunque, entrare in discussione di sorta».
Chamberlain ha allora detto di avere ricevuto un telegramma di Lord Perth da Roma, nel quale questi informava di una breve conversazione avuta col Ministro Ciano, durante la quale il Ministro Ciano aveva accennato ad una lettera di istruzioni inviata a Londra all’Ambasciatore Grandi. Lord Perth aggiungeva di avere desunto dalle parole del Ministro degli Esteri italiano che in tale lettera si parlava dei recenti avvenimenti austriaci. Chamberlain mi ha domandato se effettivamente io avevo ricevuto delle istruzioni e se potevo comunicare il loro contenuto.
Ho risposto a Chamberlain che avevo, precisamente pochi momenti prima di recarmi a Downing Street, ricevuto una lettera di istruzioni del mio Ministro, ma che nessuna comunicazione formale io ritenevo di dover fare al Governo britannico e, comunque, mi rifiutavo di discutere il problema dell’Austria.
A questo punto è intervenuto Eden osservando che dopo tutto l’Italia non ha mai denunciato gli impegni di Stresa nei quali era prevista una consultazione fra Italia, Francia e Inghilterra sul problema austriaco.
Ho replicato seccamente a Eden che fra Stresa e gli avvenimenti austriaci di oggi erano intercorsi esattamente tre anni, durante i quali si erano verificati alcuni avvenimenti di una sufficiente importanza internazionale che davano da se stessi, con chiara evidenza, le ragioni della differenza tra l’attitudine italiana nel...

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