Prometeo incatenato
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Prometeo incatenato

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Prometeo incatenato è una tragedia attribuita ad Eschilo. Eschilo è stato un drammaturgo greco antico. Traduzione a cura diEttore Romagnoli
Ettore Romagnoli (Roma, 11 giugno 1871 – Roma, 1º maggio 1938) è stato un grecista e letterato italiano.

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Informazioni

Editore
Passerino
Anno
2017
ISBN
9788893456203
Argomento
Letteratura
Categoria
Classici

Indice

PERSONAGGI:
POTERE (Kratos, personificazione della Potenza)
FORZA (Bia, personificazione della Forza e della Violenza)
EFÈSTO (Dio del fuoco)
PROMÈTEO (titano, figlio di Giapeto e di Climene)
IO (sacerdotessa di Era argiva)
ERMÈTE (Ermes, messaggero degli Dei)
OCEANO (titano, figlio di Urano e di Gea)
CORO DI NINFE OCÈANINE
AMBIENTAZIONE:
Una giogaia d'aspre cime inaccessibili della Scizia.
(Si avanzano Potere e Forza, tenendo stretto Promèteo. Li segue Efèsto. Sostano dinanzi ad una scabra erta rupe)
POTERE:
Agli estremi confini eccoci giunti
già della terra, in un deserto impervio
tramite de la Scizia. Ed ora, Efèsto,
compier tu devi gli ordini che il padre
a te commise: a queste rupi eccelse
entro catene adamantine stringere
quest'empio, in ceppi che non mai si frangano:
ch'esso il tuo fiore, il folgorio del fuoco
padre d'ogni arte, t'involò, lo diede
ai mortali. Ai Celesti ora la pena
paghi di questa frodolenza, e apprenda
a rispettar la signoria di Giove,
a desister dal troppo amor degli uomini.
EFÈSTO:
Forza, Potere, gli ordini di Giove
già compiuti per voi furono; e nulla
piú vi trattiene. Ma legare a forza
su questo abisso procelloso un Nume
ch'è del mio sangue, non mi regge il cuore.
E forza è pure che mi regga. Gli ordini
trasandare del padre, è dura prova.
Oh di Tèmide giusta audace figlio,
malgrado tuo, malgrado mio, con bronzei
ceppi, che niuno a scioglier valga, a queste
cime deserte io ti configgerò,
dove né voce udrai, né forma d'uomo
vedrai: del sole arso a la fiamma rutila,
tramuterai de la tua cute il fiore:
a tuo sollievo asconderà la notte
con lo stellato suo manto la luce,
ed ecco il sole dissipa di nuovo
la mattutina brina. E col suo peso
il mal presente ognor ti crucierà:
ché non ancor chi ti soccorra è nato.
Dell'amor pei mortali è questo il frutto.
Poiché senza temer l'ira dei Numi,
Nume tu stesso, indebiti favori
agli umani largisti. Ora, in compenso,
vegliar dovrai questa dogliosa rupe,
senza mai sonno, in pie', senza mai flettere
le tue ginocchia, e cento ululi e gemiti
invano leverai: ché il cuor di Giove
nessuna prece lo commuove; ed aspro
è ciascun che di fresco ebbe il potere.
POTERE:
Ehi, nel compianto indugi? È vano! Il Nume
infestissimo ai Numi non aborri
che il privilegio tuo concesse agli uomini?
EFÈSTO:
Parentela, amicizia, han gran potere!
POTERE:
Certo. Ma trasgredir del padre gli ordini
si può? Non hai maggior tema di questo?
EFÈSTO:
Spietato sempre e tracotante sei!
POTERE:
Che medela è il compianto? Or vana pena
non ti dare per ciò che nulla giova!
EFÈSTO:
Oh magisterio mio troppo odïoso!
POTERE:
Tu l'odi? E perché mai?... Di queste pene
in verità, nessuna colpa ha l'arte.
EFÈSTO:
Pur, quest'arte l'avesse altri in retaggio!
POTERE:
Gravoso è tutto, tranne aver dei Superi
l'impero; e niuno, tranne Giove, è libero.
EFÈSTO:
Ne ho qui le prove. E nulla ho da ribattere.
POTERE:
Spàcciati, dunque, avvolgilo di ceppi,
ché nell'indugio non ti scorga il padre.
EFÈSTO:
Scorger gli anelli puoi nelle mie mani.
POTERE:
Con vigore con forza ai polsi strettolo,
picchia il martello, ed alla rupe inchiodalo.
EFÈSTO:
Compiuta è l'opra, e non caduta in fallo.
POTERE:
Batti di piú, non allentare, stringi:
anche d'impervie strade il passo ei trova.
EFÈSTO:
Questo braccio è saldato, e niun lo scioglie.
POTERE:
Saldo configgi l'altro, ora: ed apprenda
quanto egli a Giove di scaltrezza cede.
EFÈSTO:
Niuno, tranne costui, potria riprendermi.
POTERE:
Da parte a parte, in sen, di ferreo cuneo
la fiera punta forte ora conficcagli.
EFÈSTO:
Ahimè! Dei mali tuoi gemo, Promèteo!
POTERE:
Indugi ancora? Sui nemici piangi
di Giove? Oh!, che su te non debba piangere!
EFÈSTO:
Guarda, orrendo a mirare uno spettacolo!
POTERE:
Veggo costui patir ciò ch'egli merita.
Gittagli intorno ai fianchi ora i legami.
EFÈSTO:
Lo debbo far. Ma tu non dar troppi ordini!
POTERE:
Ordinerò, t'incalzerò per giunta:
scendi giú, forte ora le gambe accerchiagli.
EFÈSTO:
Fatto è ancor questo. E fu travaglio breve.
POTERE:
Dei ceppi i chiodi saldo ora ribatti:
severo è quegli che la pena infligge.
EFÈSTO:
Simile al viso tuo suona la voce.
POTERE:
Sii pur tenero, tu. Ma la protervia,
l'ira, l'asprezza mia, non rampognarmi.
EFÈSTO:
Andiam: ché tutto di catene è cinto.
POTERE:
(Si volge a Promèteo)
Superbisci ora qui. Trafuga ai Numi
i loro doni, ed offrili agli efimeri.
Allevïare in che ti posson gli uomini
or dalle pene? I Dèmoni, Promèteo
ti chiamarono a torto: hai bisogno
d'un preveggente a uscir da questo intrico.
(Efèsto, Potere e Forza si allontanano)
PROMÈTEO:
O divo ètere, o snelle ali dei venti,
fonti dei fiumi, e dei marini flutti
infinito sorriso, e te, che madre
sei d'ogni cosa, o Terra, invoco, e te,
che tutto miri, orbe del Sol! Vedete
ciò ch'io, Celeste, dai Celesti sof...

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