Dei doveri dell'uomo
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Pubblicato nel 1860, Mazzini ha inteso fornire una sua teoria speculare a quella dei diritti dell'uomo, con una matrice classista (il libro si rivolge alle masse operaie oppresse) ma anche nazionalista (nel senso mazziniano del termine) e profondamente cristiana. Giuseppe Mazzini (Genova, 22 giugno 1805 – Pisa, 10 marzo 1872) è stato un patriota, politico, filosofo e giornalista italiano.

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Informazioni

Editore
Passerino
Anno
2017
ISBN
9788893456395

QUESTIONE ECONOMICA

Molti, troppi fra voi, sono poveri. Per i tre quarti almeno degli uomini che appartengono alla classe operaia, agricola o industriale, la vita è una lotta d'ogni giorno per conquistarsi i mezzi indispensabili all'esistenza. Essi lavorano con le loro braccia dieci, dodici, talvolta quattordici ore della giornata, e da questo assiduo, monotono, penoso lavoro, ritraggono appena il necessario alla vita fisica. Insegnare ad essi il dovere di progredire, parlar loro di vita intellettuale e morale, di diritti politici, di educazione, è, nell'ordine sociale attuale, una vera ironia. Essi non hanno tempo né mezzi per progredire. Spossati, affranti, pressoché istupiditi da una vita spesa in un cerchio di poche operazioni meccaniche, essi v' imparano un muto, impotente, spesso ingiusto rancore contro la classe degli uomini, che li impiegano; cercano l'oblio dei dolori presenti e dell' incertezza del domani negli stimoli delle forti bevande, e si coricano in luoghi ai quali è meglio adatto il nome di ovile che non quello di stanza, per ridestarsi allo stesso esercizio delle forze fisiche.
È tristissima condizione e bisogna mutarla. Voi siete uomini, e come tali avete facoltà, non solamente fisiche, ma intellettuali e morali che è vostro dovere di sviluppare; dovete essere cittadini, e come tali, dovete esercitare, per il bene di tutti, diritti i quali richiedono un certo grado di educazione, una certa somma di tempo. E' chiaro che voi dovete lavorar meno e guadagnare più che oggi non fate. Figli tutti di Dio e fratelli in Lui e tra noi, noi siamo chiamati a formare una sola grande famiglia. In questa famiglia possono esistere disuguaglianze generate dalle diverse attitudini, dalle diverse capacità, dal diverso desiderio di lavoro ; ma un principio deve signoreggiarla: "chiunque è disposto a dare, per il bene di tutti, ciò ch'egli può di lavoro, deve ottenerne compenso tale che lo renda capace di sviluppare, più o meno, la propria vita sotto tutti gli aspetti che la definiscono". E' questo l' "ideale" al quale dobbiamo tutti studiar modo d'avvicinarci più sempre di secolo in secolo. Ogni mutamento, ogni rivoluzione che non vi s'accosti di un passo, che non faccia corrispondere al progresso "politico" un progresso sociale, che non promuova di un grado il miglioramento materiale delle classi più povere, viola il disegno di Dio, si riduce a una guerra di fazioni contro fazioni in cerca di una dominazione illegittima, è una menzogna ed un male. Ma "fino a qual punto" possiamo raggiungere oggi lo scopo ? E "come", per quali vie possiamo raggiungerlo ? Alcuni fra i vostri più timidi amici hanno cercato il rimedio nella "moralità" dell'operaio. Fondando casse di risparmio o altre simili istituzioni, hanno detto agli operai: "recate qui il vostro soldo; economizzate; astenetevi da ogni eccesso nelle bevande o in altro; emancipatevi dalla miseria con le privazioni". E sono ottimi consigli perché mirano alla moralizzazione dell'operaio, senza la quale tutte le riforme riescono inutili. Ma né sciolgono la questione di miseria intorno alla quale io vi parlo, né tengono conto alcuno del dovere "sociale". Pochissimi tra voi "possono" economizzare quel soldo. E quei pochissimi possono, accumulando lentamente, provvedere in parte agli anni della vecchiaia, mentre la questione economica deve mirare a provvedere agli anni virili, allo sviluppo, all'espansione possibile della vita quando è attiva e potente e può giovare efficacemente al progresso della Patria e dell'Umanità. Per ciò che riguarda i beni materiali, la questione sta nel come "accrescere" la ricchezza, la produzione; e quei consigli neppure vi accennano. Inoltre, la Società che vive del lavoro e chiede, ogniqualvolta è minacciata, tributo di sangue ai figli del popolo, ha debiti sacri verso di loro. Altri, non nemici, ma poco curanti del popolo e del grido di dolore che sorge dalle viscere degli uomini del lavoro, paurosi d'ogni innovazione potente, e legati a una scuola detta degli "economisti" che combattè con merito e con vantaggio in tutte le battaglie della libertà dell'industria, ma senza por mente alla necessità di "progresso" e di "associazione" inseparabili anch'esse dalla natura umana, sostennero e sostengono, come i "filantropi" dei quali or ora parlai, che ciascuno può, anche nella condizione di cose attuale, edificare colla propria attività la propria indipendenza; che ogni mutamento nella costituzione del lavoro riuscirebbe superfluo o dannoso; e che la formula "ciascuno per sé, libertà per tutti" è sufficiente a creare a poco a poco un equilibrio approssimativo di agi e conforti fra le classi che costituiscono la Società. Libertà di traffichi interni, libertà di commercio fra le nazioni, abbassamento progressivo delle tariffe daziarie specialmente sulle materie prime, incoraggiamenti dati generalmente alle grandi imprese industriali, alla moltiplicazione delle vie di comunicazione, alle macchine che rendono più attiva la produzione: questo è quanto, secondo gli "economisti", può farsi dalla Società: ogni suo intervento al di là, per essi, sorgente di male. Se ciò fosse vero, la piaga della miseria sarebbe insanabile; e Dio tolga, o fratelli miei, che io possa mai gettare, convinto, come risposta ai vostri patimenti e alle vostre aspirazioni, questa risposta disperata, atea, immorale. Dio ha statuito per voi un migliore avvenire che non è quello contenuto nei rimedi degli economisti. Quei rimedi non mirano infatti che ad accrescere possibilmente e per un certo tempo la "produzione" della ricchezza, non a farne più equa la "distribuzione". Mentre i "filantropi" contemplano unicamente l'"uomo" e si affannano a renderlo più morale senza farsi carico di accrescere, per dargli campo a migliorarsi, la ricchezza comune, gli "economisti" non guardano che a fecondare le sorgenti della "produzione" senza occuparsi dell'"uomo". Sotto il regime esclusivo di libertà ch'essi predicano e che ha più o meno regolato il mondo economico nei tempi a noi più vicini, i documenti più innegabili ci mostrano aumento d'attività produttrice e di capitali, non di prosperità universalmente diffusa: la miseria delle classi operaie è la stessa di prima. La libertà di concorrere per chi nulla possiede, per chi, non potendo risparmiare sulla giornata, non ha di che iniziare la concorrenza, è menzogna, com'è menzogna la libertà politica per chi mancando di educazione, d'istruzione, di mezzi e di tempo, non può esercitarne i diritti. L'accrescimento delle facilità dei traffici, i progressi nei modi di comunicazione emanciperebbero a poco a poco il lavoro dalla tirannide del commercio, dalla classe intermedia fra la produzione e i consumatori; ma non giovano a emanciparlo dalla tirannide del capitale, non danno i mezzi del lavoro a chi non li ha. E per difetto di un'equa distribuzione della ricchezza, d' un più giusto riparto dei prodotti, d'un aumento progressivo della cifra dei consumatori, il capitale stesso si svia dal suo vero scopo economico, s'immobilizza in parte nelle mani dei pochi invece di spandersi tutto nella circolazione, si dirige verso la produzione d'oggetti superflui, di lusso, di bisogni fittizi, invece di concentrarsi sulla produzione degli oggetti di prima necessità per la vita, o si avventura in pericolose e spesso immorali speculazioni. Oggi il "capitale" - e questa è la piaga della Società economica attuale - è despota del lavoro. Delle tre classi che oggi formano, economicamente, la Società – "capitalisti", cioè detentori dei mezzi o strumenti del lavoro, terre fattorie, numerario, materie prime - imprenditori, capi-lavoro, commercianti, che rappresentano o dovrebbero rappresentare l'intelletto - e operai che rappresentano il lavoro manuale - la prima, sola, è padrona del campo, padrona di promuovere, indugiare, accelerare, dirigere verso certi fini di lavoro. E la sua parte negli utili del lavoro, nel valore della produzione, è comparativamente determinata : la locazione degli strumenti del lavoro non varia se non tra limiti noti e ristretti; e il tempo, fino a un certo segno almeno, è suo, non in balìa dell'assoluto bisogno. La parte dei secondi è incerta, dipendente dal loro intelletto, dalla loro attività, ma segnatamente dalle circostanze, dallo sviluppo maggiore o minore della concorrenza e dal rifluire o ritirarsi, in conseguenza d'eventi non calcolabili, dei capitali. La parte degli ultimi, degli "operai", è il "salario", determinato "anteriormente" al lavoro e senza riguardo agli utili maggiori o minori che usciranno dall' impresa; e i limiti fra i quali il salario s'i aggira, sono determinati dalla relazione che esiste fra il lavoro offerto e il lavoro richiesto, in altri termini, tra la "popolazione" degli operai ed il "capitale". Ora la prima tendendo all'aumento e ad un aumento che supera generalmente, non fosse che di poco, l'aumento del secondo, il salario tende, dove altre cause non si interpongano, a scendere. E il tempo non è nelle mani dell'operaio: le crisi finanziarie o politiche, la subìta applicazione di nuove macchine ai rami diversi dell'attività industriale, le irregolarità nella produzione e il suo frequente soverchio accumularsi in un'unica direzione inseparabile da una poco illuminata concorrenza, il riparto ineguale del popolo dei lavoranti su certi punti o su certi rami d'attività, e dieci altre cause interrompendo il lavoro, non lasciano all'operaio la libera scelta delle sue condizioni. Da un lato sta per lui l'assoluta miseria, dall'altro l'accettazione d'ogni patto che gli venga proposto. Condizione siffatta di cose ha, ripeto, il germe in sé di una piaga che bisogna curare. I rimedi preposti dagli economisti sono inefficaci per questo. E nondimeno, vi è progresso nella condizione della classe alla quale voi appartenete : progresso storico, continuo, che ha superato ben altre difficoltà. Voi foste schiavi, voi foste servi, voi siete in oggi "assalariati". Vi emancipaste dalla schiavitù, dal servaggio; perché non vi emancipereste dal giogo del salario per diventare produttori liberi, padroni della totalità del valore della produzione ch'esce da voi? Perchè tra l'opera vostra e l'opera della Società che ha doveri sacri verso i suoi membri, non si compirebbe pacificamente la più grande, la più bella rivoluzione che possa idearsi, quella che, dando come base economica al consorzio umano, il lavoro, come base alla proprietà i frutti del lavoro, raccoglierebbe, sotto una sola legge d'equilibrio tra la produzione e il consumo, senza distinzione di classi, senza predominio tirannico d'uno degli elementi del lavoro sull'altro, tutti i figli della stessa madre, la PATRIA? *** Il senso del dovere sociale verso gli uomini del lavoro, al quale ho accennato finora, andava, grazie soprattutto la predicazione repubblicana, crescendo negli animi e assicurando l'avvenire popolare delle rivoluzioni, quando sorsero negli ultimi trent'anni, in Francia segnatamente, alcune scuole di uomini buoni generalmente e amici del popolo, ma trascinati da soverchio amore di sistema e da vanità individuale, che sotto nome di SOCIALISMO proposero dottrine esclusive, esagerate, avverse spesso alla ricchezza già conquistata dall'altre classi ed economicamente impossibili, e spaventando la moltitudine dei piccoli borghesi e suscitando diffidenza fra ordine ed ordine di cittadini, fecero retrocedere la questione e divisero in due il campo repubblicano. In Francia, il primo effetto di quella diffidenza e di quel terrore fu il più facile trionfo del colpo di Stato. Io non posso esaminare ora con voi ad uno ad uno quei diversi sistemi, che furono chiamati San simonismo, Fourierismo, Comunismo, o con altro nome. Fondati quasi tutti sopra idee buone in sé e accettate da quanti appartengono alla Fede del Progresso, le guastavano o le cancellavano con i mezzi di applicazione che proponevano falsi o tirannici. Ed è necessario ch' io v'accenni brevemente in che cosa peccavano, perché le promesse affacciate al popolo da quei sistemi sono così splendide che potrebbero facilmente sedurvi e voi correreste rischio, abbracciandole, di ritardare un avvenire d'emancipazione infallibile e non lontano. Vero è - e questo dovrebbe bastare a svegliare un dubbio potente nell'anime vostre - che quando le circostanze chiamarono al potere taluni fra quegli uomini, essi neppure tentarono l’applicazione pratica delle loro dottrine: giganti d'audacia nelle loro pagine, retrocessero davanti alla realtà delle cose. Se esaminando un giorno attentamente quei sistemi, ricorderete le idee fondamentali ch' io sono andato finora indicandovi e i caratteri inseparabili dalla natura umana, voi troverete ch'essi violano tutti la Legge del Progresso, il modo con cui questo si compie nell'umanità, e o l'una o l'altra delle facoltà che costituiscono l’Uomo. Il Progresso si compie per legge che nessuna potenza umana può rompere, grado a grado, con lo sviluppo, con la modificazione perpetua degli elementi che manifestano l'attività della vita. Gli uomini hanno spesso, in certe epoche, in certi paesi, e sotto l’influenza di certi pregiudizi e di certi errori, dato il nome di elementi, di condizioni della vita sociale, a cose che non hanno radice nella natura, ma solamente nelle abitudini convenzionali d'una società traviata, e che dopo quell'epoca o al di là dei limiti di quei paesi, spariscono. Ma voi potete scoprire quali veramente siano gli elementi inseparabili dall'umana natura, interrogando, come altrove vi dissi, gli istinti dell'anime vostre e verificando nella tradizione di tutti i tempi, di tutti i paesi, se quei vostri istinti siano stati sempre gli istinti dell' Umanità. E quelli che una voce congenita in voi (e la grande voce dell' Umanità) vi additano come elementi costitutivi della vita, devono essere modificati, sviluppati sempre d'epoca in epoca, ma non possono essere aboliti mai. Tra questi elementi della vita umana, oltre la Religione, la Libertà, l'Associazione ed altri accennati nel corso di questo lavoro, è pure la Proprietà. Il principio, l'origine della Proprietà, sta nella natura umana e rappresenta la necessità della vita materiale dell' individuo ch'egli ha dovere di mantenere. Come, per mezzo della religione, della scienza, della libertà, l'individuo è chiamato a trasformare, a migliorare, a padroneggiare il mondo morale ed intellettuale, egli è pure chiamato a trasformare, a migliorare, a padroneggiare, per mezzo del lavoro materiale, il mondo fisico. E la proprietà è il segno, la rappresentazione del compimento di quella missione, della quantità di lavoro con il quale l' individuo, ha trasformato, sviluppato, accresciuto le forze produttrici della natura. La proprietà è dunque eterna nel suo principio, e voi la trovate esistente e protetta attraverso tutta quanta l'esistenza dell' Umanità. Ma i modi coi quali la proprietà si governa sono mutabili, destinati a subire, come tutte l'altre manifestazioni della vita umana, la legge del Progresso. Quelli che, trovando la proprietà costituita in un certo modo, dichiarano quel modo inviolabile e combattono quanti intendono trasformarlo, negano dunque il Progresso: basta aprire due volumi di storia appartenente a due epoche diverse per trovarvi un cambiamento nella costituzione della Proprietà. E quelli che trovandola, in una certa epoca, mal costituita, dichiarano che bisogna abolirla, cancellarla dalla società, negano un elemento dell'umana natura, e se potessero mai riuscire, ritarderebbero il Progresso, mutilando la Vita: la proprietà riapparirebbe inevitabilmente poco tempo dopo, e probabilmente sotto la forma che aveva al tempo della sua abolizione. La proprietà è in oggi mal costituita, perché l'origine del riparto attuale sta generalmente nella conquista, nella violenza con la quale, in tempi lontani da noi, certi popoli e certe classi invadenti s'impossessarono delle terre e dei frutti di un lavoro non compiuto da essi. La proprietà è mal costituita, perché le basi del riparto dei frutti d'un lavoro compiuto dal proprietario e dall'operaio, non sono fondate sopra una giusta eguaglianza proporzionata al lavoro stesso. La proprietà è mal costituita, perché conferendo a chi l’ha diritti politici e legislativi che mancano all'operaio, tende ad esser monopolio di pochi e inaccessibile ai più. La proprietà è mal costituita, perché il sistema delle tasse è mal costituito, e tende a mantenere un privilegio di ricchezza nel proprietario, aggravando le classi povere e togliendo loro ogni possibilità di risparmio. Ma se, invece di correggere vizi e modificare lentamente la costituzione della Proprietà, voi voleste abolirla, sopprimereste una sorgente di ricchezza, di emulazione, di attività, e somigliereste al selvaggio che per cogliere il frutto troncava l'albero. Non bisogna abolire la proprietà perché oggi è di "pochi"; bisogna aprire la via perché i "molti" possano acquistarla. Bisogna richiamarla al principio che la renda legittima, facendo sì che il lavoro solo possa produrla. Bisogna avviare la società verso basi più eque di rimunerazione tra il proprietario o capitalista e l'operaio. Bisogna mutare il sistema delle tasse, tanto che non colpiscano la somma necessaria alla vita e lascino al popolano facoltà di economie produttive a poco a poco di proprietà. E perché ciò avvenga, bisogna sopprimere i privilegi politici concessi alla proprietà, e far sì che tutti contribuiscano all'opera legislativa. Ora tutte queste cose sono possibili e giuste. Educandovi, ordinandovi a chiederle con insistenza, poi a volerle, potreste ottenerle; mentre cercando l'abolizione della proprietà, cerchereste una impossibilità, fareste un' ingiustizia verso chi l' ha conquistata con il proprio lavoro, e diminuireste la produzione invece di accrescerla. *** L'abolizione della proprietà individuale nondimeno è il rimedio proposto da parecchi tra i sistemi socialisti dei quali vi parlo, e segnatamente del comunismo. Altri vanno oltre; e trovando il concetto religioso, il concetto governativo, il concetto di patria falsati dagli errori religiosi, dagli uomini del privilegio e dall'egoismo delle dinastie, chiedono l'abolizione d'ogni religione, d'ogni governo, d'ogni nazionalità. Questo è procedere di fanciulli o di barbari. Perché, in nome delle malattie generate da un'aria corrotta, non tenterebbero la soppressione d'ogni gas respirabile ? L' idea di chi vorrebbe, in nome della libertà, fondare l'anarchia e cancellare la società per non lasciare che l’individuo con i suoi diritti, non ha bisogno, con voi, di confutazioni da me; tutto il mio lavoro combatte quel sogno colpevole che rinnega progresso, doveri, fratellanza umana, solidarietà di nazioni, ogni cosa che voi ed io veneriamo. Ma il disegno di quei che, limitandosi alla questione economica, chiedono l'abolizione della proprietà individuale e l'ordinamento del comunismo, tocca l'estremo opposto, nega l’individuo, nega la libertà, chiude la via al progresso e "impietra", per così dire, la società. La formula generale del comunismo è la seguente: la proprietà d'ogni cosa che produce, terre, capitali, mobili, strumenti di lavoro, sia concentrata nello Stato; lo Stato assegni la sua parte di lavoro a ciascuno; lo Stato assegni a ciascuno una retribuzione, secondo alcuni, con assoluta eguaglianza, secondo altri, a seconda dei suoi bisogni. Questa, se mai fosse possibile, sarebbe vita di castori, non di uomini. La libertà, la dignità, la coscienza dell' individuo spariscono in un ordinamento di macchine produttrici. La vita fisica può esservi soddisfatta: la vita morale, la vita intellettuale sono cancellate, e con esse l'emulazione, la libera scelta del lavoro, la libera associazione, gli stimoli a produrre, le gioie della proprietà, che sono tutte ragioni che inducono a progredire. La famiglia umana è, in quel sistema, un armento al quale basta essere condotto ad una sufficiente pastura. Chi tra voi vorrebbe rassegnarsi a programma siffatto? L'eguaglianza è conquistata, dicono. Quale ? L'eguaglianza nella distribuzione del lavoro? E' impossibile. I lavori sono di natura diversa, non calcolabili sulla durata o sulla natura di lavoro compiuto in un'ora, ma sulla difficoltà, sulla minore o maggiore sgradevolezza del lavoro, per il dispendio di vitalità che trascina con sé, sull'utile conferito da esso alla società. Come calcolare l'eguaglianza di un'ora di lavoro passata in una miniera, o nel purificare l'acqua corrotta di una palude con un'ora passata in un filatoio? La impossibilità di siffatto calcolo è tale che ha suggerito a taluno tra i fondatori di sistemi l’idea di far che ciascuno debba compiere un certo ammontare di lavoro in ogni ramo di utile attività: rimedio assurdo che renderebbe impossibile la bontà dei prodotti senza giungere a sopprimere l' ineguaglianza tra il debole ed il robusto, tra il capace e il lento, nell' intelletto, tra l'uomo di temperamento linfatico e l'uomo di temperamento nervoso. Il lavoro può essere facile e gradito all'uno è grave e difficile all'altro. L'eguaglianza nel riparto dei prodotti ? È impossibile. O l'eguaglianza sarebbe assoluta e costituirebbe una immensa ingiustizia, non distinguendo tra i bisogni diversi, risultato dell'organismo, né tra le forze e le capacità acquistate per un senso di dovere e le forze e le capacità ricevute, senza merito alcuno, dalla natura. O la eguaglianza sarebbe relativa e calcolata sui bisogni diversi; e non tenendo conto della produzione individuale, violerebbe i diritti di proprietà che il lavorante deve avere per i frutti del suo lavoro. Poi, chi sarebbe arbitro di decidere intorno ai bisogni d'ogni individuo? Lo Stato? Operai, fratelli miei, siete voi disposti ad accettare una gerarchia di capi padroni della proprietà comune, padroni dello spirito per mezzo di una educazione esclusiva, padroni dei corpi per mezzo della determinazione dell'opera, delle capacità, dei bisogni? Non è questo il rinnovamento dell'antica schiavitù ? Non sarebbero quei capi trascinati dalla teoria d'interesse che rappresenterebbero, e sedotti dall'immenso potere concentrato nelle loro mani, fondatori della dittatura ereditaria delle antiche caste ? No; il Comunismo non conquista l'eguaglianza fra gli uomini del lavoro: non aumenta la produzione - che è la grande necessità dell'oggi - perché fatta sicura la vita, la natura umana, come s'incontra nei più, è soddisfatta, e l’incentivo a un accrescimento di produzione da diffondersi su tutti i membri della società diventa sì piccolo che non basta a scuotere la facoltà; non migliora i prodotti; non conforta al progresso nelle invenzioni, non sarà mai aiutata dalla incerta, ignara direzione collettiva dell'ordinamento. Ai mali che affaticano i figli del popolo, il Comunismo non ha che un rimedio per proteggerli dalla fame. Ora non può farsi questo, non può as...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Dei doveri dell'uomo
  3. Indice
  4. PREFAZIONE
  5. Agli operai italiani
  6. DIO
  7. LA LEGGE
  8. DOVERI VERSO L'UMANITA'
  9. DOVERI VERSO LA PATRIA
  10. DOVERI VERSO LA FAMIGLIA
  11. DOVERI VERSO SE STESSI
  12. LA LIBERTA'
  13. L'EDUCAZIONE
  14. ASSOCIAZIONE E PROGRESSO
  15. QUESTIONE ECONOMICA
  16. CONCLUSIONE