CAPITOLO LXX
La predica tenuta dal parroco di Bonnal il giorno in cui dovette presentare Hummel alla comunità
Uomini cari!
L’infelice uomo, che oggi vi sta dinnanzi, nacque nel 1729 e il 28 Luglio di tale anno fu battezzato qui in questa chiesa, a codesto fonte battesimale. Furono testimoni del battesimo un giurato Kienholz e una signora Eichenbcrger. Ma egli non ricorda d’aver udito nè dall’uno nè dall’altra una sola parola d’ammaestramento cristiano, o di ammonimento, o di incoraggia mento ad alcunché di bene o di utile. Anzi, ogni volta che si recava da Kienholz, questi gli faceva raccontare tutte le discolaggini e mariolerie che i ragazzi usano compiere a casa e nei campi. I suoi genitori, Cristoforo Hummel e Margherita Kienholz, non si davano il minimo pensiero o la minima cura, nè di se stessi nè di quest’unico figliuolo. Suo padre, sfaccendato egli stesso, non lo fece applicare ad alcun lavoro; inetto egli stesso tanto nelle sue faccende quanto nell’amministrazione domestica, non poteva dare al fanciullo ciò che non possedeva. Spensierato e leggiero egli stesso, non potè allevarlo riflessivo e attento. E la madre era come il padre: insufficiente dentro e Inori. Era così disordinata, che dovnnque andava, e perfino in chiesa, faceva rider la gente; ma assai peggio della sua cuffia messa di traverso e dei suoi abiti sudici era il suo orgoglio e il suo cuore invidioso. Aveva l’abitudine, quando sentiva dir bene di qualcuno, di voltare il capo da un’altra parte o di mettersi a guardare dalla finestra. Perfino quando le si faceva qualche beneficio, per lei mai niente andava bene, ed era capace di snocciolare per delle ore nella sua stanza e in presenza del figlio ogni sorta di malignità sul conto di persone, delle quali aveva i regali sul tavolo. Pensava sempre, che era troppo poco, e che ognuno doveva fare di più per lei.
E così nel cuore del figlio l’esempio del padre inoculò l’oziosità, la leggerezza, la crapula, quello della madre la durezza, l’ingratitudine, la presunzione. E il fanciullo già a quattro o cinque anni vi sapeva fare un tal verso con la bocca, e dare uno sguardo tale, che un buon padre e una buona madre si sarebbero fatti il segno della croce, se avessero visto un bimbo di quell’età fare una faccia simile. Era capace, a quell’età, di tenere il broncio e star muto per delle ore intiere, se non gli si dava sul momento ciò che voleva; e uno poteva pur essergli caro quanto voleva, che il ragazzino, quando gli saltava il ticchio, lo batteva malignamente, come se lo avesse sempre odiato. Dava risposte e diceva cose che tra la gente per bene non possono uscir dalla bocca d’un fanciullo. I disgraziati genitori ride vano alle sue risposte più impertinenti, e le tenevano per segni d’intelligenza, senza pensare che l’improntitudine e la spudoratezza guastano ad un uomo l’intelligenza precisamente dove egli ne avrebbe maggiore bisogno. Permettevano che egli ficcasse il naso dappertutto e in tutto ciò che voleva, e a mano a mano che gli si sviluppavano l’intelligenza e l’uso delle mani, il ragazzo diventava sempre più sfacciato di lingua. Egli fin dal principio si mostrava molto focoso. Invece di spegnere e coprire questo fuoco, quando esso tendeva a scoppiare in male, con la condiscendenza lo si attizzava e alimentava maggiormente. Non aveva di molto passato i sette anni, e i genitori cominciarono ad accorgersi quale bel tomo s’erano tirati su. La scioperataggine e la disobbedienza erano ormai radicate in lui, e quando gli si parlava di cattive conseguenze, di lavoro, di operare rettamente, tutto questo gli entrava da un orecchio e gli usciva dall’altro. Neanche con le percosse ormai poterono più venir a capo dì lui, anzi era come se, volendo scacciare da lui un diavolo, gliene mettessero in corpo altri sette. Uomini cari! A questo punto debbo fermarmi, e dire ai padri e alle madri della comunità la grande dottrina dell’educazione. Prima che i vostri figlioli sappiano che cosa c’è a destra o a sinistra, piegateli dalla parte dove debbono esser piegati! E vi saranno grati anche nella tomba, se li avrete educati al bene e piegati al giogo di questa misera vita, prima ancora che sappiano il perchè. — Quando suo padre o sua madre gli volevano mostrare qualche cosa, il ragazzo rispondeva ogni momento: — ma se non lo sai neppure tu! — e li canzonava: — ah, sì? — ma guarda, guarda! — proprio così, dunque? — e così via. Ecco le sue risposte, quando gli dicevano qualche cosa seriamente. Aveva un’eccellente memoria., e imparava tutto facilmente; ma ciò non faceva che renderlo altezzoso, e spingerlo a beffarsi degli altri meno dotati di lui, e niente gli faceva più piacere, che il poterli mettere in ridicolo. Avendo una volta il parroco domandato chi aveva calpestato il serpente, il nostro discolo suggerì a un suo compagno: il diavolo. Il parroco rimproverò terribilmente il malcapitato ragazzo per questa risposta, e ripetè poi la domanda a Hummel. Il maligno rispose prontamente: il calpestatore del serpente è il nostro amato Signore e Salvatore e Beatificatore Gesù Cristo. — Amareggiava a più non posso con parole e fatti il Maestro di scuola. Il povero vecchio, dopo un incendio scoppiato molti anni prima nel tuo vicinato, aveva un sacro terrore del fuoco. Quando Hummel era annoiato della lezione, gettava sul fuoco cose che mandavano odore di bruciaticcio, per fare spaventare il maestro e farlo correre per la casa a vedere dov’era il fuoco. Spesso si accendeva perfino dei fiammiferi in tasca, senza preoccuparsi dei grossi buchi che vi faceva, pur di spaventare il maestro. Il vecchio non ci sentiva più bene, e il ragazzino parlava sempre o cosi piano che l’altro non ne capiva una parola, o così forte, che la gente si fermava per la strada a vedere che cos’era quel baccano nella scuola, il che affliggeva ancor più il maestro. Una volta stette due settimane senza portare l’onorario e siccome il maestro glielo chiedeva, rispose: se non puoi aspettare, corro a casa e te lo porto in un carretto.
A tredici anni scappò di casa e andò a fare il pastore nel bosco di Rutibauer, il quale si curava di lui meno di un capo di bestiame, purché la sera riconducesse regolarmente il gregge.
La vita dei boscaiuoli, quale essa è attualmente, è orribilmente corrotta. Nei boschi di montagna si dànno spesso ritrovo dozzine di accattoni e di vagabondi, e con loro i ragazzi pastori, a farne di ogni colore.
In questa vita Hummel si trovò come nel suo elemento. Andava dappertutto scotendo le frutta dagli alberi, prima che fossero mature, e poi le gettava a cesti intieri al bestiame, oppure nelle paludi e nei fossi. Acchiappava nel bosco e sugli alberi tutti i nidi e martorizzava i poveri uccelletti prima di ucciderli. Sempre che gli riusciva, faceva scaricare i torrenti di montagna nei campi per danneggiare i seminati. Apriva brecce in tutte le siepi perchè le bestie potessero uscirne e sperdersi. Gridava cose scandalose a tutti i passanti. Tiranneggiava un altro ragazzino, che si trovava come lui sul monte, e lo obbligava a custodire anche il suo gregge, per potersene andare a dormire sotto gli alberi, o a dar la caccia agli uccelli nel bosco, o a divertirsi e arrostir patate rubate coi pastori più grandi. Quando il piccino si rifiutava, lo pungeva col pungolo.
Non oso parlare delle altre cose scandalose e immorali, che si verificano in questi pascoli. Questo certo non avveniva al tempo dei nostri vecchi, che non prendevano al loro servizio gentaglia estranea, e non permettevano che i loro pastori corressero così l’un dietro all’altro. E avevano cura tanto del corpo quanto dell’anima di quelli, che così tenevano loro compagnia in casa. Volevano che i loro ragazzi pastori rimanessero accanto al gregge, e oltre alla vigilanza del bestiame davano loro anche un lavoro giornaliero: alle ragazze lana da filare, ai ragazzi sterpi secchi da raccogliere e farne fascine. Allora la vita pastorale era ancora una buona vita. Si vedeva la mattina e la sera il buon pastore pregare in ginocchio e legger la Bibbia all’ombra degli alberi, sotto i quali aveva radunato il gregge.
Ancora ai tempi di Hummel i vecchi avevano l’abitudine ogni sera di domandar conto ai pastori di ciò che avevano fatto nella giornata; ma siccome non tutti lo facevano, quelli che lo facevano non concludevano nulla. Quelli che non lavoravano davano noia a quegli altri che si portavano un lavoro, cacciavano il loro bestiame e lo disperdevano lontano, strappavano il filo e rovinavano loro il lavoro, sicché nessun garzone pastore volle più portarsi niente da fare sul monte; e anche questo antico buon costume scomparve.
Nell’inverno successivo Hummel sarebbe dovuto andare a filare nel bosco di Rüti: invece scappò via e ritornò a casa. I genitori certamente avevano per lui poche cure: ma dal padrone era stato molto peggio. Ritornò pieno d’insetti e selvatico come un animale di rapina. I genitori mostrarono al ragazzaccio d’esser contenti del suo ritorno: ed egli abusò tanto della loro debolezza e della loro bontà, che per tutto l’inverno non fece loro neppure un centesimo di lavoro, e tuttavia li indusse, con la speranza che poi avrebbe lavorato, a vestirlo tutto a nuovo, con grandi sacrifizi. In quell’inverno e nel successivo si accostò alla mensa del Signore, e seppe affascinare il vecchio parroco con la sua capacità d’imparare a memoria, nonostante tutte le mariolerie che gli perpetrava in casa. Non andava mai alle lezioni senza i dadi e le carte. Rubava in giardino pesche e prugne, e poi metteva i noccioli sulla finestra della signora del parroco; e quando questa veniva a vedere chi era stato, non c’era più nessuno. Tuffava palle di neve nell’acqua fredda e ve le faceva gelare come pietre, e poi le scagliava contro i polli e un cagnolino del parroco, tutto contento quando colpiva qualcuna delle povere bestie in modo da paralizzarla. I compagni gli dicevano spesso: non far così altrimenti il parroco non ti lascerà accostare alla mensa del Signore; ma egli rispondeva, che se anche il parroco avesse avuto sette occhi, gliene voleva bucare quattordici. Nella stessa settimana santa, in cui doveva far la comunione, si ubriacò come un maiale nell’osteria, e disse ad alcuni ingaggiatori di soldati che vi si trovavano: — Fra otto giorni potrete presentarvi anche da me. — Lo stesso giorno della solennità della comunione provò più di dieci volte come doveva tenere il cappello sotto il braccio, in modo che il nastro dondolasse bene, e come doveva fare il complimento al parroco, quando si sarebbe accostato al fonte battesimale. Prima d’entrare in chiesa si mise d’accordo con quelli che portavano abiti nuovi per entrare essi prima degli altri, e siccome fra costoro egli era il più anziano, volle entrare prima di tutti.
In questa età Dio ha dato all’uomo molta forza e animo vivace, e i nostri più vecchi concedevano ai cari giovani moltissimi piaceri, che rafforzavano questo buon animo e lo guardavano dal cadere nell’intemperanza. I giovani si vedevano gli uni con gli altri di giorno e di notte, ma le ragazze stavano riunite tutte insieme, e così pure i giovanotti; e questo star riuniti i due sessi ciascuno per parte sua faceva sì che ciascun giovinetto e ciascuna ragazza conservassero meglio e più a lungo l’innocenza. I ritrovi non erano ancor diventati scandalosi, come ora. I giovani si ritrovavano bensì insieme anche dopo cena, ma sempre alla presenza dei genitori, dei parenti, di uomini e di donne pii ed onorati, che partecipavano anch’essi all’allegria; e quando un giovanotto era mezzo fidanzato e poteva recarsi da solo a casa della sua innamorata, vi trovava sempre accanto a lei, fino al giorno delle nozze, o la madre, o una sorella, o un fratello. E in generale allora i giovanotti mostravano in ogni circostanza di tenere all’onore, e spesso trovavano piacere a far cose, che mostravano il buon cuore, e attiravano loro l’amore dei giovani e dei vecchi e la benevolenza delle persone più tranquille e pie. Così, per esempio, a memoria d’uomo era loro usanza che se una vedova aveva delle figlie, cui essi volevano far onore, andavano una notte di luna piena a mietere il campo più vasto, che quella possedeva. Quindi la mattina, quando la madre e le figlie si recavano su quel campo con la falce e lo trovavano mietuto, i giovanotti nascosti dietro le siepi stavano a sentire chi esse avrebbero pensato che avesse loro mietuto il campo, e quindi facevano baldoria, se quelle indovinavano. Ma dai tempi di Hummel in poi i giovanotti non fecero più che malignità scandalose, danneggiando ovunque mettevano i piedi, e guastando le gioie innocenti di quelli che rimanevano fedeli ai costumi antichi. Adesso, qua...