La vita su Marte
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La vita su Marte

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Pubblicati nel 1893, 1895 e 1909 sulla rivista «Natura e Arte», i tre saggi che compongono questo libro rappresentano l'apice degli studi sul "pianeta rosso" del celebre astronomo italiano Giovanni Virginio Schiaparelli, lo scopritore degli ancora oggi dibattuti "canali di Marte". Scritto con raro e coinvolgente afflato narrativo e corredato da molte suggestive immagini, il testo è stato prudentemente attualizzato nella terminologia.

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Informazioni

IL PIANETA MARTE

Estratto dai fascicoli n° 5 e n° 6, Anno II - Febbraio 1893 della Rivista «Natura e Arte»

I.
Nelle belle sere dell’autunno passato una grande stella rossa fu veduta per più mesi brillare sull’orizzonte meridionale del cielo; era il pianeta Marte, che si accostava per qualche tempo alla Terra in una delle sue apparizioni, solite a ripetersi a intervalli di 780 giorni. Nella schiera degli otto pianeti principali Marte occupa, per volume, il penultimo luogo; il solo Mercurio è più piccolo di lui. Ma in certe posizioni, in cui egli ritorna a intervalli di sedici anni, Marte può avvicinarsi alla Terra più dell’usato, brillando più di ogni altro pianeta, Venere sola eccettuata; e in tali contingenze tanto arde di luce rossa, da meritare il nome, che i Greci gli diedero, di Pyrois (infuocato). Nei tempi ormai per sempre passati, quando si pretendeva di leggere in cielo l’avvenire degli umani eventi, queste grandi apparizioni di Marte erano lo spavento dei popoli, e davano molto da fare agli astrologi, ai quali incombeva il compito, non sempre facile, di studiare l’influsso del pianeta sulle vicende guerresche e sulle costellazioni politiche del momento. Anche ora la grande apparizione appena avvenuta di Marte ha destato il pubblico interesse; ma per una ragione ben diversa. Oggi è nata presso alcuni la speranza, che da osservazioni diligenti fatte sulla sua superficie con giganteschi telescopi, si possa ottenere quando che sia la soluzione di un gran problema cosmologico; arrivare cioè a sapere, se i corpi celesti possano dirsi sede di esseri intelligenti, o, almeno, di esseri organizzati.
L’idea di popolare gli astri e le sfere celesti d’intelligenze pure o corporee, di animali e di piante, non è nuova; e una curiosa rassegna sarebbe a farsi di tutti gli scrittori antichi e moderni che si esercitarono su questo tema, incominciando dal Sogno di Scipione di Cicerone, e dalla Storia vera di Luciano di Samosata, e venendo già per Dante, Giordano Bruno, Ugenio e Kircher a quegli eleganti novellatori francesi Cyrano de Bergerac, Fontenelle, Voltaire, i quali posero negli spazi celesti il teatro delle loro argute o satiriche descrizioni, per arrivare in ultimo al celebre Hans Pfaal d’Amsterdam, ben noto ai lettori di Edgar Allan Poe. La maggior parte di questi scritti però o professano di essere pure immaginazioni poetiche, o sono scherzi di ingegno dei quali il vero pregio deve cercarsi in tutt’altra parte che in una seria discussione dell’argomento di cui stiamo discorrendo. Ma nel presente secolo diversi scrittori tentarono di elevare la pluralità dei mondi abitati alla dignità di questione filosofica. Lasciando da parte le sedicenti rivelazioni degli spiritisti, che ai nostri tempi hanno rinnovato e anzi superato le visioni di Swedenborg, basterà nominare Giovanni Reynaud ( Terre et Ciel) e Davide Brewster ( More Worlds than one) i quali collocarono negli astri le speranze della nostra vita futura e seppero trovare, non dirò dimostrazioni (che in questa materia non ve n’è) ma pensieri e aspirazioni che ebbero e sempre avranno eco vivissima nel sentimento di molti. Metafisica per metafisica, preferiamo questa ai dogmi brutali e scoraggianti del materialismo. Quanto ai teologi cristiani, essi, seguendo l’esempio di San Tommaso, quasi tutti osteggiarono l’idea che possano esistere altri mondi simili al mondo terrestre. Dico, quasi tutti, perché noi leggiamo in uno di loro, a cui certamente nessuno ha potuto far rimprovero d’empietà, le parole seguenti [1]
«Il creato, che contempla l’astronomo, non è un semplice ammasso di materia luminosa; è un prodigioso organismo, in cui, dove cessa l’incandescenza della materia, incomincia la vita. Benché questa non sia penetrabile ai suoi telescopi, tuttavia, dall’analogia del nostro globo, possiamo argomentarne la generale esistenza negli altri. La costituzione atmosferica degli altri pianeti, che in alcuno è cotanto simile alla nostra, e la struttura e la composizione delle stelle simile a quella del nostro sole, ci persuadono che essi, o sono in uno stadio simile al presente del nostro sistema, o percorrono taluno di quei periodi, che esso già percorse, o è destinato a percorrere. Dall’immensa varietà delle creature che furono già e che sono sul nostro globo, possiamo argomentare le diversità di quelle che possono esistere in altri. Se da noi l’aria, l’acqua e la terra sono popolate da tante varietà di esse, che si cambiarono le tante volte al mutare delle semplici circostanze di clima e di mezzo; quante più se ne devono trovare in quegli sterminati sistemi, ove gli astri secondari son rischiarati talora non da uno, ma da più Soli alternativamente, e dove le vicende climateriche succedentisi del caldo e del freddo devono essere estreme per le eccentricità delle orbite, e per le varie intensità assolute delle loro radiazioni, da cui neppure il nostro Sole è esente!
«Sarebbe però ben angusta veduta quella di voler modellato l’Universo tutto sul tipo del nostro piccolo globo, mentre il nostro stesso relativamente microscopico sistema ci presenta tante varietà; né è filosofico il pretendere che ogni astro debba essere abitato come il nostro, e che in ogni sistema la vita sia limitata ai satelliti oscuri. È vero, che essa da noi non può esistere che entro confini di temperatura assai limitati, cioè tra 0° e 40°-45° gradi centesimali, ma chi può sapere se questi non sono limiti solo pei nostri organismi? Tuttavia, anche con questi limiti, se essa non potrebbe esistere negli astri infiammati, questi astri maggiori avrebbero sempre nella creazione il grande ufficio di sostenerla, regolando il corso dei corpi secondari mediante l’attrazione delle loro masse, e di avvivarle con la luce e con il calore. E qual sorpresa sarebbe, se fra tanti milioni, anche molti e molti di questi sistemi fossero deserti? Non vediamo noi che sul nostro globo regioni, in proporzioni assai estese, sono incapaci di vita? L’immensità della fabbrica, non verrebbe perciò meno alla sua dignità, né allo scopo inteso dell’Architetto.
«La vita empie l’universo, e con la vita va associata l’intelligenza; e come abbondano gli esseri a noi inferiori, così possono in altre condizioni esisterne di quelli immensamente più capaci di noi. Fra il debole lume di questo raggio divino, che rifulge nel nostro fragile composto, mercé del quale potemmo pur conoscere tante meraviglie, e la sapienza dell’autore di tutte le cose è una infinita distanza, che può essere intercalata da gradi infiniti delle sue creature, per le quali i teoremi, che per noi son frutto di ardui studi potrebbero essere semplici intuizioni».
Mi son permesso di trascrivere questo passo del Secchi, perché è difficile dir più e meglio in sì poche parole. Ai nostri tempi la dottrina della pluralità dei mondi abitati da esseri viventi e intelligenti ha trovato un ardente apostolo in Camille Flammarion. Questo dotto e immaginoso scrittore, nel quale la scienza copiosa e ordinata dei fatti d’osservazione non impedisce l’esercizio di una fantasia potente e della più seducente eloquenza, già da trent’anni va svolgendo la questione sotto i suoi vari aspetti in diverse opere, le quali e da chi consente, e da chi dubita si fanno leggere assai volentieri [2]. Egli si è proposto di sottrarre questo tema alla fantasia dei poeti e all’arbitrio dei novellieri, e di circondare l’ipotesi della pluralità dei mondi abitati con tutto l’apparato scientifico, che oggi è possibile chiamare in suo soccorso; di darle così tutto quel grado di logica consistenza e di probabilità empirica di cui è capare. «Faire converger toutes les lumières de la science vers ce grand point, la Vie universelle; l’éclairer dans son aspect réel; établir ses rayonnements immenses et montrer qu’ il est le but mystérieux autour du quel gravite la création toute entière; agrandir ainsi jusque par de là les bornes du visible le domaine de l’existence vitale, si longtemps confiné à l’atome terrestre; déchirer les voiles qui nous cachaient le règne de l’existence à la surface des mondes; et sur la vie à l’infini répandue permettre à la pensée de planer dans son auréole glorieuse; c’est là, selon nous, un problème, dont la solution importe à notre temps». Questo è lo splendido programma al quale il cosmologo francese ha consacrato il suo ingegno e la sua varia coltura. Leggendo le sue pagine animate da calda eloquenza e ardenti del desiderio dell’ignoto, si è tratti ad esclamare con l’Ettore virgiliano:
Si Pergama dextra
Defendi possent, certe hoc defensa fuissent
Se fosse stato possibile dimostrare la esistenza della vita e dell’intelligenza nei globi celesti con altri argomenti, che con quelli della diretta osservazione, nessuno più di Flammarion avrebbe meritato di farlo. Ma pur troppo è da confessare che, quanto a risultati di osservazione, finora abbiamo poche speranze e nessun fatto. La Luna, che di tutti gli astri è senza paragone il più prossimo a noi, e nella quale oggetti di 400 e 500 metri di diametro sono visibili senza troppa difficoltà nei potenti telescopi del tempo moderno, la Luna non ha dato fatti, e non dà neppure speranze. Più la si esamina, e più si ha ragione di credere, che sia un deserto di aride rupi, privo d’ogni elemento necessario alla vita organica. Né fatti, né speranze si possono avere dallo studio della superficie di Venere, che fra tutti i pianeti è quello che può avvicinarsi maggiormente alla Terra. La sua atmosfera è perpetuamente ingombra di dense nuvole, le quali finora hanno impedito, e impediranno probabilmente ancora per lunghi secoli (se non per sempre) di conoscere i particolari del suo corpo solido, e quanto su di esso avviene. Per ragioni non dissimili (a cui si aggiunge la grande lontananza) nulla avremo a sperare in quest’ordine di idee dallo studio dei grandi pianeti superiori, Giove, Saturno, Urano, e Nettuno. Quanto a Mercurio, le sue osservazioni sono di una estrema difficoltà, avviluppato com’egli è di continuo nella luce del Sole; tanto, che solamente negli ultimi anni è stato possibile discernervi entro qualche macchia con sufficiente frequenza e determinare il vero periodo della sua rotazione. Non parliamo né del Sole, né delle stelle, né delle comete, né delle nebule; tutti corpi, dei quali la costituzione fisica non sembra propria alla produzione e alla conservazione della vita, almeno nelle forme con cui noi l’intendiamo.
Tutte le nostre speranze si sono quindi poco a poco concentrate su Marte il solo astro che possa giustificarle sino a un certo punto, siccome or ora si vedrà. Tali speranze si sono accresciute e hanno raggiunto anzi presso alcuni un grado di esaltazione quasi febbrile, dopo che un esame accurato di quel pianeta ha fatto scoprire in esso alcuni cambiamenti, e un sistema di misteriose configurazioni, in cui con un po’ di buona volontà si potrebbe congetturare piuttosto il lavoro di esseri intelligenti, anzi che la semplice opera delle forze naturali inorganiche. L’ultima grande apparizione di Marte ha dato origine ad espressioni entusiastiche di tali speranze, specialmente presso i Nordamericani; i quali, possedendo nel loro Osservatorio di California il più gran cannocchiale che mai sia stato costrutto, avrebbero tutto il diritto al vanto di aver scoperto non solo un nuovo mondo, ma anche una nuova umanità. Ma in Francia l’agitazione delle menti ispirata da Flammarion ha prodotto effetti anche più straordinari: ivi con tutta serietà sono proposte ingenti somme come premio a chi sarà primo a dimostrare, per mezzo della diretta osservazione, che esistono in alcuno degli astri indizî certi di esseri intelligenti. In America poi e in Francia si sta macchinando la costruzione di nuovi telescopi d’inusata potenza, il costo dei quali si conterà per milioni. Fra tanti segni dei tempi questo almeno ci dà diritto a sperar bene dell’avvenire. L’ansietà con cui molti guardano alle tenebre del futuro non mi sembra in ogni parte giustificata. Non è vero che l’età presente, più delle passate, manchi di elevati principi e di aspirazioni ideali. Il secolo decimonono può considerare con orgoglio quello che ha fatto; il suo posto negli annali del progresso umano non sarà senza gloria. A costo d’incredibili fatiche e di eroici sacrifici esso ha compiuto ormai l’esplorazione di tutta la superficie terrestre, sulle cui carte non restano che poche lacune. Penetrando nelle viscere del nostro pianeta, ha mostrato la storia delle trasformazioni a cui fu soggetto, e ha rievocato dal loro sepolcro le infinite generazioni che lo popolarono per milioni di anni. Con l’investigazione archeologica, con lo studio dell’etnografia e della filologia ha ritrovato i veri titoli di nobiltà del genere umano, e fatto risorgere alla luce del giorno i primi prodotti delle sue civiltà. Con estese associazioni di pazienti e di instancabili osservatori ha iniziato lo studio dell’atmosfera, e delle sue leggi, che sarà uno dei grandi problemi del secolo XX. Ma tutto questo non gli è bastato; e dopo aver proseguito energicamente nello studio dei cieli, della materia, e delle forze naturali l’opera dei secoli anteriori e fondata la chimica degli astri, di cui prima pareva follia parlare; ora aspira a più alta meta, e ansiosamente comincia a spiare, se qualche voce di simpatia e di fratellanza non ci possa venir dalle profondità cosmiche; e per ottenerne indizio è pronto a spendere per un solo telescopio più somme, di quante ne abbiano spese in favore della scienza pura tutti i secoli precedenti insieme considerati. Ecco uno, un solo dei tanti aspetti nobili, moralmente grandiosi, poetici, sotto cui si presenterà alla posterità imparziale quel secolo, che allo spettatore unilaterale sembra essere per eccellenza il secolo della prosa, dell’egoismo, della meccanica brutale, dei godimenti materiali. Noi siamo migliori di quello che crediamo esser...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. LA VITA SU MARTE
  3. Indice
  4. Intro
  5. IL PIANETA MARTE
  6. LA VITA SUL PIANETA MARTE
  7. IL PIANETA MARTE
  8. Ringraziamenti