Parte 1
Come cominciare?
Capitolo 1
Qual è la ricetta perfetta per scrivere un romanzo storico
Francamente non credo proprio che esista una ricetta perfetta. Certo farebbe comodo avere un specie di bacchetta magica e zac via, ma no… Tanto per cominciare va detto che ci vogliono certe prerogative. Prima di tutto: bisogna saper scrivere e quindi partire da una indispensabile base solida il che significa: disporre di un certo talento, avere uno stile, conoscere già la tecnica e riuscire a padroneggiare il tutto quanto basta. Non vi si chiede di essere già dei professionisti affermati, sennò non verreste a cercare lumi da me, ma che abbiate almeno una buona confidenza con la scrittura che vi permetta di mettere su carta i concetti e le sensazioni che intendete esprimere. Cosa significa questa specie di equazione: talento, stile, tecnica? Il talento è quel quid di abilità naturale, inclinazione, dote di inventiva, ma che ha un immane difetto: purtroppo se non c’è non si può imparare. Comunque, facciamo conto che voi ce l’abbiate. Nonostante questo, il talento da solo non basta a fare un scrittore: perché ci vogliono anche lo stile e la tecnica. Vediamo subito lo stile: in letteratura, è quell’insieme di tratti formali che caratterizza l’espressione del pensiero di uno scrittore. Potremmo quasi definirlo il suo personale linguaggio scritto. Avere stile vuol dire riuscire a scrivere, interpretando a modo proprio, norme e punti di vista generali. La tecnica invece è quell’accessorio indispensabile per mettere insieme talento e stile. Insomma, con la tecnica si impara a migliorare lo stile e a forgiare il talento. Superata l’equazione talento–stile–tecnica, l’altro punto cardine fondamentale è una ferrea regola: è indispensabile saper “narrare”, prima di affrontare il genere storico. Ovverosia non basta saper scrivere. Dimentichiamoci di mirare al ruolo di dotto professore o di saggista, e miriamo a un unico bersaglio: fare l’intrattenitore, riuscire a coinvolgere. Certo che se poi nello scrivere un romanzo storico si riesce anche a incuriosire quel tanto il lettore da spingerlo ad approfondire il periodo storico trattato, tanto meglio! Tuttavia, il nostro vero scopo deve essere interessarlo, divertirlo e spingerlo a immergersi nella trama.
Comunque ogni storia dovrebbe partire sempre e obbligatoriamente da un’idea e da uno o più personaggi. Io cito spesso quello che successe con il mio L’oro dei Medici. Mi piaceva Don Giovanni de’Medici, un personaggio minore della famiglia, che mi permetteva, pur tenendolo agganciato alla realtà, di inventargli fantasie, abitudini e avventure interessanti. Però non avevo ancora scelto in quale momento della sua vita piazzare la mia storia. Sapevo che aveva avuto calorosi rapporti con Venezia, che dopo una lunga e proficua carriera militare, ingegneristica e diplomatica, era stato nominato Governatore generale delle Serenissima e che era morto a Murano. Per questo, trovandomi a Venezia per qualche giorno, decisi di andare a scartabellare nell’Archivio di Stato in campo dei Frari in caccia di notizie. E proprio in una cartella di documenti a lui collegati, pescai una lettera scritta dell’ambasciatore inglese di Marsiglia al suo omologo collega a Venezia in cui si citava la battaglia navale avvenuta nel 1597 nelle acque del Golfo di Marsiglia, davanti al Castello di If, tra due navi della lega cattolica e la flotta Granducale toscana agli ordini di Don Giovanni De’Medici. La notizia era ghiotta, il periodo denso di contrasti e di intrighi mi piaceva e proprio quella battaglia, in realtà poco più che una scaramuccia, mi regalò l’incipit del romanzo che volevo scrivere.
Capitolo 2
Quanta storia e quanta fantasia o meglio invenzione?
Intanto se si vuol scrivere del lontano passato, gli spazi verosimili che ci consentono di giocare con la fantasia sono più ampi. Se invece si scrive di storia vicina e comprovata, la faccenda cambia, e parecchio. I binari diventano più stretti, le deviazioni più complicate. Bisogna attenersi a una qualche versione riportata da testi dell’epoca, vedi il caso che ho citato nel precedente capitolo ma… Ma c’è sempre la scappatoia di quelli che io chiamo i buchi neri. In ogni momento storico ci sono sempre ore, giorni e mesi non documentati e allora abbiamo in mano il trucco, insomma la soluzione per infilarci la nostra avventura. Però poi ricordiamo sempre che qualunque sia la storia che vogliamo scrivere, dovrà necessariamente avere un inizio, uno svolgimento il più coinvolgente possibile, e un finale che a nostro piacere potrà essere chiuso o aperto. Chiuso, se è una logica conclusione della vicenda narrativa che sia buona, cattiva, triste o allegra. Aperto, più frequente di quanto si immagini, se rimanda a un seguito, a una possibile futura avventura. Ma ricordiamo sempre che le ultime righe di un romanzo sono quelle che lasciano il segno. Se ce l’avete fatta a stuzzicare la fantasia del lettore, tornerà a cercarvi nei vostri prossimi libri. Alcuni autori addirittura dicono di scrivere il finale prima di cominciare la stesura del romanzo. Io l’ho fatto solo una volta con il mio L’uomo dagli occhi glauchi, dove la narrazione si conclude con un esplicativo epilogo trent’anni dopo, legato alla creazione del famoso ritratto di Tiziano.
Capitolo 3
Perché si pensa di voler scrivere un romanzo storico
Perché scrivendo di storia si può sognare, lasciando spazio all’immaginazione? Perché ci piace la storia? O perché lanciati sulla falsariga del filone neo storico (vedi Umberto Eco & company) riteniamo la storia un mezzo efficace per confrontarsi con l’attualità? Vediamo. Ci sono tanti generi letterari in circolazione e ciascuno può avere la sua dimensione e collocazione tra il pubblico. E visto che il vero scopo finale di uno scrittore dovrebbe essere quello di farsi leggere (e dunque vendere i propri libri) se crediamo che la storia ci sia congeniale, perché no? Indubbiamente lo scrivere di storia, che in un certo senso può rappresentare un desiderio di fuga verso orizzonti più vasti, permette di fantasticare e magari concedere più spazio alla creatività, ma in realtà noi abbiamo una falsa e troppo idilliaca immagine della storia. La storia non è la mitologia, lo storia è il compendio di una realtà spesso triste o crudele fatta dagli uomini, non è certo un romanzo rosa. Ben pochi sono i momenti storici edificanti e troppo spesso artefatti e falsamente riportati. Nella storia la prevaricazione, la paura e il male fanno da padroni e dominano i drammi e le tragedie. E quindi niente sogni, purtroppo, altrimenti invece di scrivere di storia scriveremmo una favola. Ma visto che ogni storia scaturisce necessariamente da un’idea, ci serve invece senz’altro l’immaginazione, o meglio la creatività, per costruire i personaggi e la trama da inserire nella realtà del contesto. Allora diciamo che vogliamo scrivere un romanzo storico perché ci piace la storia. Be', questo è già un approccio più giusto, ma volendo farlo dobbiamo sapere subito che ci cacciamo mani e piedi in un’impresa non da poco, che chiede tempo, pazienza, perseveranza e rinunce.
Vogliamo scrivere di storia per confrontarci con la realtà? Fattibile senz’altro, perché lo scrivere di storia ci permette di mettere in discussione e magari criticare fatti e avvenimenti dell’oggi tanto simili a quelli avvenuti in altri secoli. E dunque scrivendo la nostra storia potremmo anche far passare un messaggio. Sappiamo che per molti autori rappresenta l’unico e vero scopo. Purtroppo però si può parlare solo di discussione e critica, perché sappiamo bene tutti che gli errori commessi in passato non sono mai serviti come esempio alle successive generazioni.
Altra semifilosofica possibilità: forse il passato, con la sua apparente certezza, può sembrare più rassicurante dell’incertissimo presente e dell’inesistente futuro. A conti fatti teniamo sempre presente che la storia trasmette sempre un altro elemento abbastanza consolatorio: che comunque, alla fine, il mondo sopravvive e va avanti.
Capitolo 4
Quali sono i punti di forza e le criticità di questo particolare genere letterario?
La sua forza sta nel poter allargare quasi all’infinito il numero delle storie possibili. Faccio ponte con il passato e scelgo quello che mi pare e quando mi pare. Il romanzo storico è una specie di macchina del tempo che ci consente di guardarci indietro e di piazzare la nostra trama nel momento e nel punto giusto. La sua unica vera criticità sta nella implicita contraddizione che lo identifica, “romanzo” (e cioè: componimento letterario in prosa di una certa ampiezza che narra una vicenda in tutto o in parte immaginaria) e “storico” (della storia, che appartiene alla storia come indagine e ricostruzione di fatti o, ancora meglio: veramente, realmente esistito, in contrapposizione a immaginario, leggendario). Comunque le si guardi, dovrebbero essere due categorie che fanno a pugni tra loro. Invece, come dichiara a gran voce Giulio Leoni, grande scrittore storico (il suo Dante è un must), in un romanzo storico le mischiamo tranquillamente. Certo che il confine con la fantascienza può anche diventare esilissimo… e Franco Forte, che è uno storico, lo sa talmente bene che, quando lo fa, se la ride per primo. Ma, come dichiara anche il celebre romanziere storico britannico Simon Scarrow (straordinarie le sue saghe sull’antica Roma e la Revolution Saga sul titanico scontro tra Napoleone e il duca di Wellington) sa bene di cosa parla quando si riferisce ai punti di forza e criticità: lavoro enorme e difficile, anche e soprattutto perché bisogna pensare che ogni scritto o spiegazione della storia è soggettiva, legata alla mente dei diversi testimoni che l’hanno narrata e ciascuno vede la storia a modo suo. Poi l’interpretazione dei tempi è sempre soggettiva e cambia secondo la mentalità della gente. Persino le interpretazioni dei nostri nonni o dei nostri genitori su fatti accaduti e persone vissute sono molto diverse dalle nostre. Per riuscire a scrivere una fiction storica, bisogna prendere i fatti documentati, metterli in un ideale frullatore e agitare con forza. Ma dopo, comunque si guardi la cosa, il risultato sarà sempre una ricostruzione dei fatti dal nostro punto di vista, e dunque un espediente letterario, filtrato dalla nostra realtà.
Capitolo 5
Quanta libertà si può usare scrivendo un romanzo storico?
Un mucchio, in realtà, ma dentro dei limiti assolutamente invalicabili. La maggior parte dei romanzi storici hanno come cornice la Grande Storia dell’epoca in cui sono inseriti e la nostra Piccola Storia introdotta nel contesto. Citando l’esempio del mio La congiura di San Domenico, con per protagonista Julius von Hertenstein, un ufficiale della Guardia Svizzera al servizio di Giulio II, la Grande Storia nel 1506 è la riconquista da parte dell’esercito pontificio dei territori della Chiesa, compresa Bologna dopo la “catastrofe del papato Borgia”, mentre la mia Piccola Storia è: riuscirà Julius von Hertenstein a scoprire il perché e inchiodare il colpevole della catena di spaventosi delitti che stanno insanguinando Bologna e sventare il complotto contro il papa? Il trucco, evidentemente, è mettere in primo piano la mia piccola storia, con un plausibile e coinvolgente intreccio infilandoci spie, agguati, intrighi e diverse piste da seguire che naturalmente mi sono inventata, e lasciare la grande (quella reale) sullo sfondo a fare da superba cornice. Ma dobbiamo ricordare sempre che “non abbiamo la libertà” di rimaneggiare la grande storia. Quello che è stato scritto e codificato è incontrovertibile. Per esempio: non possiamo cambiare la data ufficiale della scoperta dell’America. Cristoforo Colombo avvistò l’isola dell’attuale arcipelago delle Bahamas in cui poi sbarcò, battezzandola San Salvador, il 12 ottobre del 1492, e non possiamo certo modificare la sentenza di condanna comminata al Savonarola “a essere bruciato in piazza della Signoria” e farlo invece morire annegato, che so io, magari in Arno, perché non sapeva nuotare. Né far vincere Napoleone a Waterloo… Assolutamente vietato.
Capitolo 6
Un romanzo storico in un certo senso può essere visto come una riscrittura della storia?
In effetti sì, ma come abbiamo appena detto, non abbiamo il diritto di cambiare la storia sennò sconfiniamo nella fantascienza o nella gothic fantasy. Certo può essere molto intrigante e valido anche scrivere dando origine a un nuovo genere letterario che definirei storico–gotico–mitologico, e qui mi pare indispensabile citare lo straordinario esempio dei due romanzi di Franco Forte, Cesare l’Immortale e Cesare il conquistatore, ma è tutta un’altra cosa. Però nello scrivere una fiction storica ci è largamente concesso di abbellirla con l’avventura (vedi per me grandissimi esempi quali gli ottocenteschi I Tre Moschettieri di Alexandre Dumas e La figlia del capitano di Alexander Sergevic Puskin e, un secolo dopo, la saga marinara delle vicende del capitano Hornblower, di C.S. Forester in epoca napoleonica), e di suggerire quelle interpretazioni che invece sono severamente precluse a un vero storico (quando non sono suffragate dalle prove). Ma non possiamo mai dimenticare che siamo comunque legati alla Storia con la S maiuscola e suoi fedeli paladini, e proprio per questo dobbiamo rispettarla. E dunque la nostra sarà sempre un rispettosa riscrittura. Ma anche la storia può presentare tante facce, come già puntualizzato, legate alla diversa interpretazione dei testimoni che ce l’hanno trasmessa.
Capitolo 7
Come si fa per far convivere personaggi storici con personaggi inventati?
Bisogna farlo, e quindi per forza. Tanto per cominciare bisogna far diventare i personaggi inventati veri quanto quelli reali. Ho ben sperimentato questo con gran successo nel mio L’eredità Medicea, dove il miglior complimento che ho ricevuto da un lettore è stato: «Ho cercato il “tal dei tali” dappertutto: enciclopedie, web, eccetera ma non sono riuscita a trovarlo». Non poteva proprio… perché non è mai esistito… Be', francamente ne sono molto fiera. E dunque inventare dei personaggi, renderli quanto più possibile reali, quasi tangibili, provare a pensare con la loro testa, poi immedesimarsi in loro e cominciare a creare il dialogo con gli altri (quelli veri). Niente trucchi da mago, però: non potete attribuir loro un’idea o una iniziativa se non avete già fatto intuire prima al lettore almeno qualcosina. Vediamo di fare qualche esempio: se affibbiat...