Tre croci
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La storia di tre fratelli, librai sulla via del dissolvimento economico e ormai incapaci di agire al tramonto della loro fortuna commerciale, viene mirabilmente descritta da Tozzi e l'eterno problema del bene e del male, così vivo nei romanzi russi e in particolare in Dostoevskij, è recepito dallo scrittore con uno stile aderente alla realtà e una lingua schietta e 'regionale' quale emerge dalla forza dei dialoghi. I tre fratelli Gambi vengono presentati come uomini in frantumi, che manifestano il medesimo sentimento della vita e la stessa situazione psichica: quella dell'uomo «a cui è stata asportata la potenza di mordere nel pieno della realtà». In questo modo, Tozzi racconta la presa di coscienza del fallimento di quelle certezze su cui potevano reggersi le cose e i valori nei secoli passati, trasponendo nel tipo letterario dell'inetto la crisi dell'individuo in rapporto a se stesso e agli altri, accogliendo le influenze dei modelli rappresentati da Kafka, Svevo e Dostoevskij. La cifra che ci rende contemporaneo questo romanzo, «compagno di strada in un crepuscolo di apocalisse», è rappresentato dall'assenza dell'amore che diviene «cartina di tornasole» della solitudine dell'uomo, il quale «ha subito l'amputazione delle sfere di responsabilità sentimentale e sociale e compie le sue azioni di adulto a livello di bambino». In questo senso, Tre croci parla anche all'Italia di oggi, in un'epoca dove gli scandali e la disonestà dettata dagli interessi individuali, dietro un falso perbenismo, sono all'ordine del giorno. Così che, al di là dell'apparente nudità dei fatti, il lettore è sollecitato a interrogarsi sul problema del male come «non risarcibile mistero doloroso» in rapporto alle sue estreme conseguenze e in una prospettiva non solamente terrena. Scoprendo il volto più angosciante dell'uomo quando, per dirla con Pirandello, «il vuoto interno si allarga».

Domande frequenti

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Informazioni

CAPITOLO XV

Enrico, come della cambiale, seppe alla bettola che Niccolò era morto prima dell'alba. Era, ormai, stralinco; con le mani e le gambe gonfie; con la bocca livida; da cui non esciva più nessuna parola che non facesse sentire una cattiveria quasi repugnante. Stava seduto, con un bicchiere di vino davanti. Si grattò i capelli sul collo, pieni di lendini, e disse:
- Comincio a credere che ci sia Dio! È morto prima di me, razza di un cane! Ha fatto di tutto per straziarmi; ma, questa volta, è partito prima lui! Ohè! Avete sentito quel che m'è stato detto? È morto quel farabutto di mio fratello! Ora voglio vedere stesa la sua moglie, quel pezzaccio di carnaccia e di grasso! E io non seguo quello scimunito di Giulio che, appeso al soffitto, scalciava per dare la benedizione con i piedi!
I suoi amici, da un bugigattolo buio e puzzolente, risero; e risposero, rifacendogli la voce un poco strascicata:
- Quando morirai tu, si piglia tutti la sbornia! Quel giorno, il nostro oste non ci metterà l'acqua. Credi di averci molto da campare?
- Che m'importa a me? Se fossi un signore come prima!
- Un signore non sei stato mai.
- Del resto, una volta, mi portavate tutti rispetto.
Allora, uno gli andò a versare una bottiglia d'acqua dentro il collo, mentre non se l'aspettava; perché sollevava con una mano la tendina rossa della porta e teneva gli occhi ai vetri. Sbalzò dallo sgabello, scuotendosi:
- O non lo sapete che mi potete far morire da vero, con la gotta come ho io? E non sono mica guarito dell'uremia nervosa e viscerale!
- Che ce ne importa a noi? Dici sempre la stessa tiritera!
- Io dico quel che ho, e non invento niente!
Ma, visto ch'era inutile arrabbiarsi o protestare, anche perché non ci avrebbe ricavato nulla, si ributtò a sedere; e, voltando le spalle a quelli, si mise a discorrere con l'oste che stava con una mano appoggiata allo spigolo dell'uscio e la fronte sopra.
- Stamani il conte, quello che ha più corna che quattrini, non s'è vergognato di mettermi in mano mezza lira sola! Gli ho tenuto dietro per tutta Siena, e gli ho detto che non avevo né meno da mangiare! Se fossi un signore io, vorrei insegnare a quanti sono. Mi voglio mettere a vendere le corna dei signori, per arricchire anch'io.
L'oste gli rispose:
- Sarebbe il mestiere più adatto per te!
Prima l'oste gli dava del lei, poi aveva fatto come tutti gli altri; ed Enrico aveva detto:
- Sì, sì; a farmi dare del tu mi piace.
Enrico, allora, gli fece una lunga spiegazione:
- Il carretto, come fanno tanti che vanno a prendere le valige alla stazione, io non lo tirerò mai; perché non l'ho mai tirato. Mi dovrei mettere a fare il fabbro? E la forza dove l'ho? È inutile: quando si nasce con l'animo di signore, non si perde mai. Ci vuole altro!
- E a dormire dove vai?
- In una panchina della Lizza, sotto agli abeti. Ma comincio a starci male, perché è freddo. Con la malattia che ho, reumatismo e gotta, mi scricchiolano le ossa e mi vengono certe nevralgie che mi fanno perdere i sensi. Mi dolgono tutte le ossa, e mi chiappa un malessere indefinibile che non mi lascia addormentare. Non posso stare in nessun modo; e, anche se avessi una coperta, non potrei adoprarla, perché addosso non sopporterei nulla. Basta anche toccarmi con un dito, per farmi saltare dallo spasimo. Perciò, scendo giù dalla panchina e mi metto a passeggiare; anche perché il freddo mi faccia meno male e non mi sbatta i denti. Passeggio fin quasi a giorno; e, allora, potrei quasi addormentarmi; ma ci sono i giardinieri che mi destano; e così non riposo mai.
- Ma non hai trovato né meno un buco, una spelonca, che so io? dove ficcarti, per essere più riparato? O quando piove?
- Ho dormito, per quasi una settimana, in quelle grotte che sono giù per la strada di Pescaia. Ma ci venivano a fare all'amore; e, poi, la notte, due o tre giovinastri, vagabondi, che la insozzavano da non respirarci più dal puzzo. La mattina, a digiuno, mi sentivo quasi svenire. Alla Lizza, invece, sarebbe un luogo più sicuro e più pulito! Però, vorrei sapere perché ti diverti a sentirmi squadernare queste delizie!
- Hai sempre la stessa boria: non c'è verso di fartela passare. Ora, vattene! Bada se raccapezzi qualche altro soldo! Vattene: se no, il passeggio dei signori finisce.
Enrico si alzò e chiese a quelli dentro il bugigattolo:
- Volete niente da me?
Quelli non risposero. Allora, egli ci si avvicinò.
- Vi ho chiesto se volete niente da me.
Uno gli disse:
- Tieni: piglia questa cicca. Se tu ne avessi...

Indice dei contenuti

  1. Titolo pagina
  2. Il moderno vólto del male. Tre croci di Federigo Tozzi
  3. TRE CROCI
  4. CAPITOLO I
  5. CAPITOLO II
  6. CAPITOLO III
  7. CAPITOLO IV
  8. CAPITOLO V
  9. CAPITOLO VI
  10. CAPITOLO VII
  11. CAPITOLO VIII
  12. CAPITOLO IX
  13. CAPITOLO X
  14. CAPITOLO XI
  15. CAPITOLO XII
  16. CAPITOLO XIII
  17. CAPITOLO XIV
  18. CAPITOLO XV