Lo specchio, come definirlo? Come inserirlo nella trama narrativa e simbolica che riguarda le azioni formative?
Quante proprietà co–esistono nel concetto di specularità?
I due dipinti 1 ci suggeriscono l’esistenza di proprietà inconciliabili o, viceversa, suggeriscono due modalità parallele per conoscere se stessi?
Lo specchio, oggetto in apparenza banale e conosciuto nasconde suggestioni, studi e idee dello stesso diverse e spesso per noi insolite.
Cos’è lo specchio? Un oggetto che riflette, è la prima risposta che sorge in modo spontaneo. Ma da dove viene questa sua proprietà? E soprattutto, quali sono le caratteristiche che lo rendono oggetto affascinante ed in bilico tra ordinarietà e straordinarietà?
“Qualunque sia la sua forma o la sua destinazione, lo specchio è sempre un prodigio dove realtà ed illusione si sfiorano e si confondono. Il suo primo effetto fu di rivelare all’uomo la propria immagine. Rivelazione fisica e morale, che affascinò i filosofi. Socrate e Seneca raccomandavano lo specchio come strumento per conoscere se stessi. Una sola parola esprime la ‘riflessione’ che avviene nel pensiero e nello specchio.
Immagine di un’immagine, simulacro staccato dal corpo e reso visibile su uno schermo, alter ego, fantasma, ‘doppio’ del soggetto che ne condivide il destino, il riflesso e il suo oggetto sarebbero indissolubilmente uniti da legami mistici, e da sempre la loro assoluta identità è sembrata dipendere da un miracolo che nessun artista è mai riuscito ad eguagliare”. 2
Le “proprietà” simboliche dello specchio si aprono anche ad alcune riflessioni di carattere semiotico: “lo specchio dà all’uomo la possibilità unica di vedersi, di vedere il proprio volto, i propri occhi, fornendo, al medesimo tempo, il pretesto per un dialogo con se stesso. Da ciò derivano molte importanti potenzialità semiotiche: emerge il tema del doppio, incredibilmente ricco di potenzialità intrinseche; la riflessione come fenomeno fisico si ricollega alla riflessione – azione del pensiero, dell’autocoscienza. Nasce anche l’indagine riferita alla problematica dell’opposizione tra unicità dell’io e l’‘io’ che risulta simile a ‘un altro’”. 3
Lo specchio può essere studiato ed analizzato partendo da svariati punti di vista; ne è esempio la catottrica: non solo scienza delle riproduzioni esatte della realtà ma anche scienza di un surrealismo visionario. 4
Ma è interessante, ora, approfondire lo studio dello specchio dal punto di vista della relazione, ovvero partendo dal presupposto che, attraverso lo specchio, l’individuo entra in relazione con se stesso.
Pragmatica dello specchio
Gli specchi sono per noi oggetti famigliari che sappiamo usare e gestire nella quotidianità. Non possiamo dunque negare che il nostro rapporto con lo specchio sia in qualche modo vincolato da regole ed assunti più o meno impliciti che rendono possibile l’interazione catottrica.
La prima cosa da ricordare per usare bene lo specchio è il “sapere che abbiamo di fronte uno specchio”, (lo specchio non è illusione e nemmeno presenza soprannaturale). 5
Il secondo principio fondamentale è quello secondo cui “lo specchio dice la verità (…) Esso non traduce. Registra ciò che lo colpisce, così come lo colpisce; esso dice la verità in un modo disumano, come sa chi, allo specchio, perde ogni illusione sulla propria freschezza.” 6
Esso dice la verità in modo spudorato, è in uno specchio, dono di Lord Henry, che Dorian Gray si accorge di conservare lo splendore della bellezza e della giovinezza mentre il suo ritratto invecchia.
Lo specchio dice la verità, lo sapeva anche la matrigna cattiva di Biancaneve e i sette nani, quando interrogando il suo specchio magico non accetta il secondo posto tra le belle del reame.
Sotto la guida di due presupposti teorici di rilievo possiamo tracciare una panoramica sulla relazione – comunicazione speculare, con l’obiettivo di individuare una sorta di pragmatica dello specchio sulla falsa riga della pragmatica svelata da P. Watzlawick.
Anzitutto, pur non negando la singolarità della relazione speculare, letta come relazione con se stessi, non risulta comunque inesatto parlare di comunicazione in quanto “non si può dire che la comunicazione ha luogo soltanto quando è intenzionale, conscia, o efficace”. 7
In secondo luogo, come suggerisce U. Eco, “valgono per gli specchi, certe regole che, per convenzioni sociali, valgono per le interazioni conversazionali, salvo che in queste si mette in conto la menzogna come infrazione. Non è così per gli specchi.” 8
La pragmatica della comunicazione umana ci può fornire alcune regole: assiomi di interazione che non perdono assolutamente né di efficacia né di senso se applicati all’interazione che si viene a creare tra il soggetto e il riflesso che egli produce attraverso lo specchio.
Trovarsi di fronte allo specchio significa produrre un riflesso, una sorta di seconda immagine dell’io; e dal momento che non esiste uno specchio che non riflette l’individuo, attraverso lo specchio entra inevitabilmente in relazione con se stesso, comunica con se stesso.
Pur non negando l’esistenza della problematica riferita alla dimensione della profondità relazionale nella comunicazione interpersonale, tale dimensione è ancora più reale e complessa nella comunicazione speculare.
Dal momento che l’individuo è solo di fronte a sé, l’intero esistere della comunicazione è totalmente affidato al singolo; non esiste nessun altra spinta o motivazione che non sia il sé o l’immagine di sé.
Non possiamo pensare che lo specchio ci dica come siamo dal punto di vista interiore né che crei con noi una relazione.
Lo specchio ci dà, però, un’opportunità unica, ovvero quella di essere di fronte a noi stessi, di vederci; in tal modo ci fornisce l’input per creare una relazione, per dare un senso e costruire una vera introspezione.
Non possiamo parlare, nell’ambito della comunicazione speculare, di una vera e propria relazione, parleremo invece di autoriflessione o autocoscienza, traduzioni di una relazione con se stessi.
Da tutto ciò nasce un interrogativo di grande importanza che consiste nel chiedersi chi sono i due comunicanti nella comunicazione speculare che stiamo analizzando.
L’individuo e la sua immagine sono i soggetti della comunicazione.
Ma sorge allora un dubbio: ci sono, in tale situazione, le condizioni per parlare di punteggiatura della comunicazione?
Possiamo ipotizzare una risposta positiva. La soluzione sta nel vedere la punteggiatura partendo da un’angolazione diversa da quella tramandataci dalla pragmatica della comunicazione.
Punteggiatura nel senso di modalità d’approccio più che nel senso di assunzione di ruolo o modelli di scambio.
Ecco dunque che, in questa nuova prospettiva, l’individuo nel comunicare con se stesso sceglie come e cosa vedere di sé; ha una precisa modalità, anche se inconscia, di leggere la propria realtà e dunque di leggere se stesso.
Sembra superfluo, quindi, concludere che tale punteggiatura svela necessariamente la natura, e dunque il tipo di relazione, che il singolo decide di costruire.
Le ultime due caratteristiche comunicative da prendere in considerazione sono i moduli della comunicazione e la tipologia dello scambio.
Nella pragmatica della comunicazione sono stati studiati due moduli relazionali che permettono di riassumere in modo efficace le varie tipologie di rapporto intersoggettivo.
Senza dubbio la comunicazione speculare utilizza un modulo prevalentemente di tipo analogico; anche se non possiamo del tutto eliminare il modulo numerico, in quanto attraverso la riflessione interiore l’individuo parla con se stesso, e non possiamo negare che il parlare con se stessi talvolta è tanto reale e coinvolgente da diventare un ‘parlare da soli’.
Per quanto riguarda, infine, la tipologia dello scambio, P.Watzlawick parla di simmetria e complementarietà.
Lo scambio comunicativo con se stessi è senza dubbio basato sulla simmetria ovvero sull’uguaglianza. Tale uguaglianza è garantita in modo unico dall’immagine riflessa che è l’esatta copia dell’individuo.
Ci chiediamo, quindi, se sia possibile creare una comunicazione con se stessi basata sulla complementarità. Personalmente crediamo di no, a meno che non si analizzino le caratteristiche comunicative di persone affette da particolari patologie di personalità.
Se per un momento però, decidiamo di uscire dalla tematica della comunicazione e ci spostiamo ad una valutazione di senso rispetto all’immagine riflessa, le cose cambiano, e non di poco.
Ne è esempio il pensiero di sant’Agostino che, nei Soliloquia e nel De Trinitate, distingue in modo chiaro e preciso i concetti di rassomiglianza con peggioramento e di rassomiglianza con parità. Ed è proprio della rassomiglianza con peggioramento che noi facciamo più frequentemente esperienza e che in q...