PARTE TERZA
DEFINIRE E APPLICARE LA VISION
IL PRIMO PASSO:
IDENTIFICARE I VALORI
Il primo requisito perché una vision sia efficace è... che ci sia una vision.
Il nostro punto di partenza, perciò, sarà quello di creare – o, come vedremo, di far emergere – una visione significativa, e cioè capace di riassumere in sé, rappresentandoli, i valori che si desidera vengano perseguiti e realizzati nell’impresa.
Il modo più semplice di procedere, dunque, sarà quello di partire da questi valori per tradurli in un disegno complessivo e trarne un progetto globale.
Ed ecco già qui la prima questione da risolvere.
Valori?
È il momento in cui – si stia affrontando il problema in aula o in azienda – cala fra i presenti un silenzio imbarazzato.
Valori?
I primi a farsi avanti, tra esitazione e ostentazione, quasi vergognandosi un poco della loro prosaicità e per questo facendone una bandiera, sono quelli economici: il profitto, la posizione sul mercato, la leadership nel settore, il rafforzamento del brand eccetera.
In sé accettabili come qualsiasi altro, sennonché – come abbiamo già visto – non servono allo scopo in quanto “beni di transizione” e perciò privi di qualunque valore intrinseco.
Poi tocca a quelli commerciali, unti dal crisma del Total Quality Management: “mettere il cliente al centro”, “raggiungere la sua piena e totale soddisfazione”, “l’eccellenza nel servizio” (qualcuno che si è fatto prendere un po’ la mano parla addirittura di “passione per il cliente”...)
Benché del tutto leciti, e anzi massimamente auspicabili se assunti come guida strategica, è evidente che anche questi non possono però aspirare a qualificarsi come valori assoluti, se non attraverso una dose di ipocrisia talmente massiccia da renderli ridicoli prima ancora che incredibili.
Lo capite bene: un conto è dire che ci sta a cuore la soddisfazione del cliente come base per la sua fidelizzazione, e cioè, in definitiva, come fattore di stabilità e prosperità aziendale, e un conto è sostenere che quello di soddisfare i clienti è il movente più vero, sincero e profondo di un’impresa!
È poi la volta dei fattori inerenti la politica di gestione e di sviluppo aziendale, come la dinamicità, la propensione all’innovazione, la ricerca e la formazione continua, la valorizzazione delle professionalità, la comunicazione e il confronto, la promozione della qualità, l’innalzamento degli standard e altri.
Ma di nuovo questi sono mezzi – benché importanti – e non finalità.
Un valore è qualcosa che muove, non un mezzo per muoversi.
La valorizzazione delle professionalità ha indubbiamente un grande valore, in quanto consente di rendere disponibili talenti preziosi.
Ecco, appunto: ha un valore. Però non è un valore.
La differenza è sottile ma determinante.
Il dialogo all’interno di una relazione affettiva ha un grande valore, in quanto contribuisce alla realizzazione degli scopi della relazione stessa. Ma non è di per sé un valore, a meno che due persone intreccino un rapporto solo per avere qualcuno con cui dialogare.
La bellezza può avere un valore quando spiana la strada a un’attrice o a una fotomodella, mentre può essere un valore per un artista o un esteta.
E quello che a noi serve – l’abbiamo ben visto – è qualcosa che possa costituire un fine ultimo, grande o piccolo che sia. Più o meno importante, però un fine, e non un mezzo per raggiungere un fine.
Deve poter muovere energia, e non richiederne.
Una modella investe energia per mantenere ed esaltare la propria bellezza. L’artista che la ritrae, al contrario, dalla sua bellezza riceve ispirazione.
E noi abbiamo bisogno di qualcosa che ispiri, e non di qualcosa che, al contrario, richieda ispirazione!
Un’ultima considerazione per questo gettonatissimo gruppo di “aspiranti valori”, è il fatto che, quand’anche costituissero dei valori finali – e non dei mezzi – lo sarebbero per l’azienda.
Ma un’azienda non ha energia da muovere. Sono le persone che ce l’hanno!
E affermare che la promozione della qualità è un valore essenziale per l’azienda, non equivale ad affermare che lo sia anche per le persone che ne fanno parte.
Prova ne è che se alla qualità non viene associato un qualche beneficio, questa non è in grado di muovere alcuna reale forma di entusiasmo.
È a questo punto che – esaurite le più rassicuranti possibilità “ufficiali” – si fa avanti, ora con il mento alto della presunzione, ora con l’incedere un po’ esitante di chi teme di essere capitato nel posto sbagliato, qualche istanza di tipo etico e sociale.
Ecco allora spuntare parole grosse e decisamente impegnative, come “rispetto”, “passione”, “libertà”, “onestà”, “equità”, “trasparenza”, “fiducia”, “crescita umana”, “responsabilità”, “integrità” e altre ancora, in una parata di nobili sentimenti il cui unico limite è rappresentato dal pudore di chi ne stila i contenuti.
Ora: per tutto quanto fin qui esposto, non si può certo negare che questi siano, a tutti gli effetti, dei possibili, plausibilissimi, reali valori. Di quelli a denominazione d’origine controllata e protetta.
Il problema semmai è un altro, e si riassume in un’unica, spietata domanda: sono veri?
E non è una domanda da liquidare con una generica rassicurazione, o col fare bellicoso di chi vede messe in dubbio le proprie doti morali.
Perché il nostro scopo – giova ricordarlo – non è quello di metterci in vetrina per essere giudicati.
Non serve a nulla esporre una fotografia ritoccata!
Con i valori non si può barare. O sono veri, e allora saranno anche efficaci nel muovere energia, o non lo sono, e in questo caso verranno inevitabilmente schiacciati nel confronto con altri fattori dotati di una maggiore carica motivazionale.
Non ci sono scuse. E il teatro della verifica non è un congresso, un’intervista, la pagina di una brochure o il discorso alla cena di Natale.
Non è in ciò che si dice, ma in ciò che emerge dai fatti. Ogni giorno, negli uffici e nei reparti. Nei rapporti verticali e in quelli orizzontali, nella definizione dei piani e delle priorità, nei comportamenti e nelle decisioni.
E se i valori dichiarati sono solo una bella facciata, allora si trasformeranno in un boomerang. Con quanta più forza verranno dichiarati, con tanta più violenza torneranno indietro, per ritorcersi contro il dichiarante nel momento in cui ne sarà evidente l’inconsistenza.
Oppure, nella migliore delle ipotesi, semplicemente verranno ignorati o classificati come le tante cose che “si dicono” perché “sono giuste”, senza però nessuna aspettativa di una reale incidenza concreta nella vita.
Un triste destino che oscilla fra il danno e l’inutilità.
Il primo passo per la creazione di una vision efficace, dunque, è cercare i valori veri.
Non ci interesserà perciò che siano alti, puri, prestigiosi o nobili, ma anzitutto e soprattutto che siano reali.
Solo in questo caso, infatti, saranno anche forti ed efficaci.
E qui le strade sono due: partire dalle persone o partire dai fatti.
PARTIRE DALLE PERSONE
Poiché un’azienda è fatta di persone, è evidente che il modo più diretto e più sicuro per identificare i valori aziendali è quello di estrarre e confrontare i valori delle persone che ne fanno parte.
Di tutte le persone. Dal titolare all’ultimo assunto, dal dirigente all’operaio generico.
Non è egualitarismo demagogico ma pura questione di funzionalità.
La visione è energia motivazionale – ricordiamolo sempre – e allora la domanda è: chi ha bisogno di motivazione e di energia in azienda?
L’ovvia risposta – “Tutti!” – ci permetterà di comprendere perché la ricerca dei valori debba prescindere da ogni criterio di ruolo e di rilevanza funzionale.
Un altro punto che è importante chiarire in via preliminare, allo scopo di non compromettere la ricerca, è quello che riguarda il tipo di valori che andremo a cercare.
L’abbiamo visto all’inizio e giova ricordarlo: un valore è ciò che per ciascuno è importante. Ciò che sta a cuore, che val la pena.
Ciò che dà un senso alla vita e la rende degna di essere vissuta.
Il denominatore comune di ogni esistenza individuale, la ratio che sta dietro alle scelte della vita: a quelle grandi, che la sconvolgono, come a quelle piccole che ne scandiscono la quotidianità.
La radice dei sogni, dei desideri e delle speranze.
Ciò che porta a spendere tempo, denaro e fatica senza rimpiangerli. Oppure a discutere, a esporsi, a combattere.
Questo significa che, nella ricerca, sarà necessario abbandonare qualsiasi forma di preconcetto su cosa sia o non sia un valore. Focalizzarsi sui “Valori con la V maiuscola”, corrisponde spesso a un ottimo metodo per collezionare ipocrisie, menzogne e dichiarazioni di facciata.
Le pagine internet e le brochure aziendali sono piene di visioni tanto nobili quanto inutili. Buone tutt’al più per stimolare lo scetticismo dei lettori e il sarcasmo dei dipendenti.
Al contrario, ha assunto rilevanza nazionale il caso di un’azienda del nord-est, protagonista qualche anno fa di uno straordinario e riuscitissimo esperimento di gestione organizzativa, la cui visione – pienamente condivisa ed entusiasticamente attuata – poteva essere riassunta come “Creare un luogo dove sia possibile divertirsi mentre si lavora”!
E chi ha detto che il divertimento non può essere un valore? Basta considerare quanto tempo, denaro, pensieri e aspettative vengono spesi per assicurarselo, e avremo un’idea del potenziale energetico che è in grado di muovere.
Certo, forse non sarà il valore centrale della vita – o almeno non per tutti – però indubbiamente rappresenta il motore e la meta di una buona parte dell’esistenza quotidiana.
Così come non v’è dubbio sul suo potenziale apporto in termini di coinvolgimento e di miglioramento del clima organizzativo!
“Creare un luogo dove sia possibile divertirsi mentre si ...