Vogliamo ora dedicare un capitolo sul come il Cristianesimo vede nella persona e nell'opera di Gesù Cristo, la possibilità di entrare in una condizione permanente di salvezza dal male, inteso come profonda negazione delle potenzialità insite nella creatura umana, plasmata “a immagine” del Dio creatore. Dal quadro storico che si può delineare a partire dalle narrazioni evangeliche, emerge un dato, inequivocabile e indiscutibile: Gesù è un ebreo. La sua storia è radicata nella storia del popolo di Israele e si svolge all'interno di esso, pertanto può essere letta correttamente solo alla luce dell’Antico Testamento (di cui si presenta come il compimento) e delle categorie culturali ebraiche. Gesù ha svolto una missione primariamente verso il popolo d’Israele, per conto del Dio dell’Antica Alleanza; ha annunciato l'istaurarsi del Regno di Dio (Mt 3,2; 4,17; Lc 10,11) con autorità e determinazione: «si recò nella Galilea predicando il vangelo di Dio e diceva: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo”… Ed erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava loro come uno che ha autorità» (Mc 1,14-15.22). L’azione di Gesù si pone sia in continuità con la storia di Israele e con le attese del popolo ebraico, che attendeva il messia liberatore e instauratore del regno di Dio, sia in discontinuità con tutto ciò che è accaduto al suo popolo. Egli non si presenta come un dottore della legge o un rabbi ebreo e, pur conoscendo la Torah, i Profeti e il Salterio non spiega la Scrittura, non la cita di regola, bensì utilizza immagini, espressioni, frasi e pensieri veterotestamentari. Non scredita la Torah, ma cerca di spiegarla e viverla riconducendola alle sue intenzioni originarie; non di rado, supera le interpretazioni tradizionali della legge (es. le prescrizioni relative al sabato e alla purezza), spingendosi al di là dei comandamenti fino a fare riscoprire la volontà originaria di Dio espressa in Gn 1-2 (Mc 2,27; 7,9-15; 10,1-9; Mt 5,44). Il ricorso all'ordine della creazione di Dio gli permette di abbattere i muri divisori eretti dagli uomini; inoltre, cerca di far comprendere a tutto il popolo d’Israele che la buona e santa volontà di Dio ha sempre per fine la salvezza degli uomini e non la loro oppressione. Così facendo il Nazareno mostra la pretesa di conoscere la volontà di Dio meglio di Mosè, e di essere il rivelatore definitivo di Dio. Gesù agisce presentandosi non tanto come un profeta (Mc 6,15; 8,27s.; Mt 12,41) e non propriamente con lo stile della profezia tradizionale, infatti non parla usando la formula del messaggero «Così dice il Signore… » (Gr 22,1; Ez 16,36; Am 1,3), bensì per propria autorità, usando espressioni forti e solenni come «Amen» e «Ma io vi dico» (si pensi alle sei antitesi del discorso alla montagna in Mt 5,21-48). L’uso dell’io enfatico è un elemento pre-pasquale che mostra la consapevolezza che Gesù aveva maturato di sé e del suo destino: pronunciando queste parole egli si mostra non solo come l’interprete autentico della Legge, ma anche come chi si mette in contrasto con essa. Gesù coltiva la pretesa di dire la parola definitiva di Dio e su Dio. L’uso dell’amen, che nella tradizione biblica era esclusivamente utilizzato per approvare le parole di un altro, è da egli utilizzato per confermare le proprie parole e per di più congiunto alla formula «io vi (ti) dico», costruisce un’espressione analoga a quella usata dai Profeti per indicare l’origine divina del loro messaggio, ciò mostra che Gesù ha coscienza che la sua autorità è più che umana. Le sue parole sono accompagnate da azioni carismatiche, particolarmente in favore degli ultimi (guarigioni, perdono dei peccati, esorcismi), segni che sono propri dell’azione di Dio. Conseguenza del suo agire è l’accusa di scacciare i demoni in nome di Beelzebul, mossa dai dottori della legge nei suoi confronti (Mc 3,22; Lc 11,15); i suoi stessi parenti lo considerano fuori di senno (Mc 3,21); Erode Antipa, governatore della Galilea lo etichetta come pazzo (Lc 23, 6-12); i sadducei lo denunciano a Pilato come un sovversivo, come un pretendente messia zelota (Mc 15,1-3.26). Gesù di fatto non fece parte di nessun gruppo politico-religioso del suo popolo (sadducei, farisei, zeloti, esseni di Qumran, apocalittici) anche se molti vedevano in lui un possibile capo religioso-rivoluzionario contro il potere di Roma, instauratore di un nuovo e potente regno di Israele. Dalla delusione che la gente ha avuto delle proprie aspettative nascerà l’abbandono che il Nazareno ha subito nelle ore del processo, della passione e della morte. L’annuncio di Gesù non è un programma politico finalizzato a scardinare e rovesciare il potere temporale, ma ha come oggetto la sovranità di Dio e la possibilità di vedere realizzata una salvezza definitiva, offerta per mezzo delle sue parole e azioni e che invita alla conversione dei cuori, prima ancora delle strutture sociali. Il messaggio del Nazareno si può sintetizzare nella frase dell’evangelista Matteo: «convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino» (Mt 4,17). Egli si presenta come colui, nel quale il Regno di Dio viene; per mezzo della sua persona, pone l’uomo a faccia a faccia con il mistero di Dio. Nella prospettiva della fede cristiana, in lui si dà l’offerta di salvezza, la vittoria definitiva sul male, che a differenza dei maestri e profeti del passato non è limitata ad indicare un cammino spirituale da percorrere o una serie di norme da rispettare, bensì si concretizza con l’adesione alla sua persona, per mezzo della quale la salvezza è entrata nella storia, facendosi sensibilmente sperimentabile: «Io sono la via, la vita, la verità» (Gv 14,6). La pretesa del Cristo corrisponde all'annuncio del Regno nel suo legame con la sua persona e le sue opere e in relazione alla decisione dell’uomo a cui è gratuitamente offerta, anticipa in modo immediato e irrompente la conferma salvifica, che sarà data da Dio nell'evento imprevedibile e sconvolgente della sua resurrezione. Il suo annuncio è carico di tensione tra promesse e compimento, tra il già e il non ancora del Regno dei Cieli, di cui non offre spiegazioni attraverso discorsi filosofici ben articolati e supportati secondo la logica della metafisica ellenistica, ma usando semplicemente quelle che sono le categorie culturali ebraiche, cariche di dinamismo e profondo valore per il tempo lineare della storia che si realizza gradualmente. L’immagine biblica ricorrente del seme e del frutto (Mc 4,1-9.13-20; 4,26-29; 4,30-32) è significativa e indica che le speranze innescate dalla promessa di Dio è attiva nella storia e nelle vicende di Gesù, il quale si rivela come immagine visibile del Dio invisibile, in cui l’inavvicinabile si fa percepibile, prossimo, vicino all'uomo e in particolare agli ultimi della cosiddetta scala sociale. La signoria di Dio, nel suo senso escat...