Ucraina. Golpe Guerra Resistenza
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Territorio strategico sullo scacchiere del nuovo ordine mondiale, l'Ucraina è anche il luogo dove la disinformazione ha prodotto un pauroso vuoto di critica e di analisi, pericolose semplificazioni incapaci di raccontare cosa sta davvero succedendo nel paese. Dedicato alla resistenza delle nuove repubbliche popolari, questo libro raccoglie contributi di prima mano sul conflitto in corso. Per afferrare che cosa si stia davvero giocando in Ucraina, si dà spazio anche alle testimonianze raccolte sul campo dai compagni che hanno partecipato alla Carovana Antifascista promossa dalla Banda Bassotti. Un viaggio alla scoperta della resistenza degli insorti del Donbass e della resistenza interna alla stessa Ucraina, vale a dire le naturali alleate degli sfruttati contro i diktat delle oligarchie europee e la guerra su tutti i fronti perpetrata dagli USA.

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788867180912
Argomento
Storia

NOTE SUL DONBASS E LA RESISTENZA ANTIMPERIALISTA27
– Rete Nazionale Noi Saremo Tutto

A DUE MESI DALLA CAROVANA ANTIFASCISTA IN DONBASS: intervista a due militanti che vi hanno preso parte, sulla guerra in Ucraina, la resistenza della Repubbliche popolari, il ruolo delle potenze imperialiste occidentali e della Russia di Putin nel conflitto, sull’impegno internazionalista e la militanza antimperialista dentro l’acuirsi dello scontro tra potenze e le accelerazioni della tendenza alla guerra a livello globale.
Tu hai partecipato in prima persona alla Carovana Antifascista organizzata dalla gruppo musicale Banda Bassotti in Novorossija. Qual era il suo obiettivo e come si è svolta la visita?
Anzitutto va detto che la Carovana non è iniziata con la partenza per Mosca, ma è cominciata ben cinque mesi prima, quando la Banda Bassotti e altri compagni, la maggior parte dei quali romani, hanno cominciato a organizzare serate benefit che potessero servire sia ad ammortizzare il costo del viaggio sia a contribuire praticamente alla Resistenza del Donbass con un aiuto economico e di beni. Concerti, iniziative e quant’altro. I compagni della Banda hanno, infatti, tenuto a ribadire alle Milizie stesse, che tutto era stato finanziato con soldi raccolti con grande fatica da proletari per altri proletari. L’obiettivo della Carovana era molto semplice: rompere il silenzio in cui in Occidente è precipitata la «questione ucraina» dopo mesi e mesi di menzogne e mistificazioni. Obiettivo condiviso anche da compagni greci, spagnoli e baschi, cosa che ha permesso che la Carovana fosse realmente un’esperienza internazionalista.
Ma ovviamente non c’era solo questo: prendere contatti, rendersi conto coi propri occhi, riportare informazioni di prima mano in occidente, capire insieme alle milizie come e perché costruire la solidarietà intorno alla Novorossiya. Come annunciato il tutto doveva concludersi con un concerto a Lugansk, ma purtroppo questo non è stato possibile (rimando al punto sugli accordi di Minsk) a causa della situazione internazionale venutasi a creare. Siamo partiti da Mosca in pullman facendo sosta svariate volte nel corso del lunghissimo viaggio (circa 15 ore) da Mosca a Donetsk russa al seguito di un convoglio di aiuti umanitari organizzato dal Partito comunista della federazione russa. A ogni sosta siamo stati accolti da piccole delegazioni di abitanti e membri dei partiti comunisti, di fronte i quali la Banda ha improvvisato piccoli concerti. Il resto purtroppo è più noto: nonostante le continue pressioni dei governi di Lugansk e Donetsk, nonostante tutti i nostri tentativi non c’è stato modo di garantire l’accesso della carovana, quindi il concerto a Lugansk è stato annullato. Accettare di non poter entrare in Novorossiya, dopo tutti gli sforzi fatti per giungervi così vicini, è diventato ancor più difficile una volta saputo dai miliziani, incontrati l’ultima sera trascorsa dalla Carovana a Donetsk russa, che il palco era già stato allestito, e cibo e bevande già preparate. Tutto questo nel mezzo di un conflitto armato. In parte, comunque, l’obiettivo è stato raggiunto: la televisione satellitare russa, Russia Today, e quella latinoamericana dell’Alba, Telesur, hanno fornito una costante copertura alla Carovana. In Occidente le cose sono andate in modo diverso. Il silenzio dei media main stream (che invece furono ben prodighi di articoli quando arrivarono in Novorossiya i rossobruni di Millennium) e di una parte stessa del movimento antagonista è stato pressoché totale. Qui l’informazione sulle vicissitudini della Carovana si è affidata unicamente a canali militanti come radio e siti di movimento e social network.
Gli accordi di Minsk hanno cambiato qualcosa della situazione sul campo?
Gli accordi di Minsk sono stati firmati il 7 settembre nella capitale bielorussa da rappresentanti del governo di Kiev e di Mosca sotto la supervisione dell’Ocse (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa). Tra i 12 punti dell’accordo28, quelli che hanno avuto maggiori conseguenze concrete sono stati il punto 1 con cui si dichiarava il cessate il fuoco tra le due parti e il punto 4 con cui si ristabiliva un controllo effettivo dei confini nazionali tra Russia e Ucraina sotto la supervisione di osservatori dell’Ocse. Gli accordi sono stati firmati nel bel bezzo della controffensiva lanciata a fine agosto dalle milizie delle Repubbliche popolari che ha costretto a una rapida ritirata le truppe di Kiev presenti nel Donbass. I rappresentanti delle Repubbliche hanno perciò accettato di sedersi al tavolo delle trattative a denti stretti, nonostante lo stessero facendo da una posizione di forza rispetto al governo di Kiev. La loro presenza a Minsk è stata, dunque, più il frutto degli sforzi della Russia di giungere a una soluzione diplomatica del conflitto, che una chiara volontà delle repubbliche di interrompere una controffensiva fin lì dimostratasi sorprendentemente vittoriosa. Questo equilibrio delle forze in campo si è poi cristallizzato almeno formalmente nel testo degli accordi riconoscendo, per esempio, una forte autonomia del Donbass dal governo di Kiev (punto 3). Se per Poroshenko, dunque, gli accordi hanno rappresentato una grossa concessione alle Repubbliche (provocando in questo modo grossi malumori tra i battaglioni di volontari nazisti attivi nel fronte di guerra), nel Donbass gli accordi sono stati visti fin da subito come una sorta di vittoria mutilata, in quanto non traducevano in termini diplomatici i reali equilibri militari conquistati dai miliziani armi in pugno. Per questa ragione, gran parte dei punti degli accordi sono rimasti carta straccia, non producendo nessun effetto reale. A ben vedere, l’unico che ha veramente voluto gli accordi e ha cantato vittoria dopo la loro firma, è stato il governo di Putin, il cui interesse – è bene ricordarlo – è quello di tornare presto a una situazione di stabilità che possa far ripartire i traffici commerciali con l’Europa (e magari alzare il prezzo internazionale del gas, oggi artificiosamente tenuto basso anche per danneggiare l’economia russa) e allo stesso tempo garantirsi una sfera d’influenza in un’Ucraina uscita indebolita dal conflitto (cosa che gli sarebbe garantita da una soluzione simile a quella a cui si è giunti tra Ossezia e Georgia dopo il conflitto del 2008, ovvero la trasformazione del Donbass in uno stato non-stato che possa godere di una forte autonomia all’interno del territorio ucraino e su cui i russi possano esercitare la loro influenza grazie alla loro posizione strategica sia in ambito economico che diplomatico).
Data questa situazione, la Russia aveva tutto l’interesse a provare a far funzionare gli accordi e, dunque, almeno nelle prime settimane ha fatto pressione perché i punti degli accordi fossero rispettati. Non stupisce, dunque, se in un primo momento gli unici punti effettivamente implementati (almeno da parte delle repubbliche) siano stati quelli su cui la Russia poteva esercitare le pressioni più forti, quindi il cessato il fuoco, e il controllo dei confini tra Russia e Repubbliche popolari.
La carovana ha avuto la sfortuna di giungere a Donetsk russa proprio nei giorni in cui la Russia stava verificando se ci potessero essere le condizioni per giungere a una più definitiva stabilizzazione della situazione sulla base degli accordi di Minsk. È, soprattutto ma non unicamente, per questo motivo che le frontiere con il Donbass sono rimaste chiuse per la carovana e a nulla sono servite le forti pressioni che giungevano dai governi di Donetsk e Lugansk in favore alla nostra visita in Donbass. La Russia in quei giorni era impegnata a mostrarsi una controparte affidabile e la possibilità che cinquanta internazionalisti provenienti dal sud Europa passassero indisturbati il confine russo consegnando aiuti umanitari, materiale logistico e denaro alle milizie delle repubbliche era una eventualità che non poteva e voleva rendere concreta.
Nonostante ciò, nei giorni stessi in cui ci trovavamo a Donetsk russa in attesa che la situazione si sbloccasse, diventava sempre più chiaro che il cessate il fuoco non sarebbe potuto durare a lungo. Fin dai giorni immediatamente successivi alla firma del cessato il fuoco, la reazione delle milizie impegnate nella controffensiva fu molto negativa. Il modo in cui il cessate il fuoco fu imposto e i suoi termini, provocarono un’aperta protesta da parte delle brigate che più erano impegnate sul fronte, fino al punto che diversi comandanti dichiararono apertamente che non avrebbero rispettato i termini degli accordi di Minsk. L’imposizione degli accordi di Minsk fu vista, da una parte come la volontà delle potenze internazionali, Russia inclusa, di fermare l’avanzata delle milizie popolari nella loro controffensiva, dall’altra come la capitolazione dei vertici delle repubbliche alla volontà straniera. Nei fatti, i combattimenti e le operazioni militari non sono mai cessate. L’esercito ucraino e i battaglioni nazisti hanno utilizzato le settimane di relativa calma per riorganizzarsi, armarsi e addestrarsi, e oggi sono schierati lungo tutto il fronte in un numero di gran lunga maggiore di quello presente alcune settimane fa e sicuramente meglio armati, pronti per un’operazione in grande scala contro le Repubbliche. Contemporaneamente sono continuati i bombardamenti dei quartieri residenziali di Donetsk e di altre aree lungo il fronte da parte dell’esercito ucraino. Secondo le Nazioni Unite, dall’inizio del cessate il fuoco fino all’8 ottobre, i morti a causa di operazioni militari di Kiev nel Donbass erano stati 331. L’esercito popolare, da parte sua, ha continuato le operazioni per riconquistare l’area strategica dell’aeroporto di Donetsk riuscendo a concluderle con successo. Mentre scrivo (metà novembre), il cessate il fuoco è ormai un lontano ricordo. I combattimenti sono ripresi lungo tutta la linea del fronte. Scambi di mortaio continuano interrottamente a Luhansk. Combattimenti sono in corso a Mariupol e nei quartieri a nord di Donetsk.
Una delle accuse rivolte più frequentemente agli organizzatori della carovana riguarda la sua natura «antifascista». Data la complessità della situazione e degli interessi in gioco, con personalità di destra e gruppi fascisti schieratisi da ambo i lati e una condizione oggettiva di scontri tra blocchi sullo sfondo, non è fuorviante e semplicistico riproporre uno schema analitico «fascismo vs antifascismo»?
Per rispondere a questa domanda è necessario distinguere e trattare individualmente da una parte il variegato spettro di forze politiche che appoggiano la Resistenza del Donbass, e dall’altro, la composizione stessa di questo movimento di resistenza. Con il riferimento al primo contesto, è vero i fascisti europei si sono spaccati in due filoni di pensiero (e di alleanze) rispetto alla questione Ucraina. Un filone anti-atlantista, quindi pro-Novorossiya, e un filone anti-russo, quindi pro-Kiev. In Italia, Casapound ha assunto una posizione pro-Kiev (anche se si dichiara anti-Ue in patria), e Forza Nuova insieme al piccolo microcosmo delle realtà rossobrune a favore di Putin. Molte sono state le polemiche riguardo al convegno organizzato in Crimea dalla Russia sulla situazione in Ucraina a cui ha partecipato «il meglio» del fronte fascista europeo anti-atlantista: polemiche che hanno colpito la Russia e la Novorossiya. Io ho condiviso in parte la critica che puntava il dito verso quelle componenti nazionaliste e conservatrici della Resistenza nel Donbass che parteciparono a quel convegno. Putin ha necessità di trovare alleati anti-Usa e anti-Ue per legittimare all’interno dei blocchi imperialisti a cui è contrapposto la sua politica di influenza nell’area e penso che sia ormai chiaro a tutti che ha scelto di stringere i rapporti con la parte (del resto minoritaria) della galassia fascista russa schierata apertamente a favore della Novorossiya e dei suoi alleati europei. Questo dovrebbe essere un chiaro monito tra chi nel movimento antimperialista e contro la guerra vede nel governo di Putin un alleato, e allo stesso tempo manda un chiaro monito su quanto la richiesta di cambiamento sociale nelle Repubbliche popolari (anti oligarchi, anti-Ue e anti-Usa, per la nazionalizzazione di settori strategici, per una maggiore giustizia sociale, per la proprietà statale delle risorse, riduzione e controllo della proprietà privata) non riscontri il favore del governo russo.
In tutto questo che c’entrano le Repubbliche popolari? Assolutamente nulla. Ormai troppi nel movimento antimperialista e contro la guerra, a partire da chi si schiera nel fronte non posizionista, pensano alla Novorossiya come appendice della Russia. Ebbene penso che questo sia uno sbaglio: come dimostrano gli accordi di Minsk, come dimostra la Costituzione (provvisoria) stessa della Novorossiya, le spinte neoliberiste di Putin e i suoi amici oligarchi non hanno nulla a che vedere con la volontà popolare della Novorossiya. Allora penso che, a prescindere da chi si è schierato a favore della resistenza in Donbass, l’unico spazio di giudizio per analizzare la questione antifascista riguardo alla Novorossiya sia quello che si delimita entro i confini delle Repubbliche popolari. Pavel Gubarev è stato uno dei dirigenti delle milizie, autoproclamatosi Governatore del popolo, e su di lui si sa apertamente che ha simpatie fasciste (anzi più dettagliatamente è un seguace di Dugin, che potremmo definire uno degli alfieri del pensiero rossobruno russo). Ebbene Gubarev è stato allontanato dalla sua carica e non ha più ricoperto incarichi ufficiali per la Novorossiya. Il suo partito è stato perfino escluso dalla corsa nelle ultime elezioni, apparentemente per irregolarità procedurali. Altri invece sono nazionalisti. Ma qui si apre una questione specifica riguardo a cosa si può intendere per nazionalismo. Proveniamo da una cultura politica in cui il nazionalismo è diventato sempre più sinonimo di fascismo (a riguardo si veda l’ultimo articolo di Samir Amin in «Monthly Review»). Negli stati dell’Ex Urss tutti potrebbero dichiararsi «nazionalisti»: non esiste nessuna differenza tra nazionalismo e patriottismo. In Novorossiya il nazionalismo rimanda a un forte attaccamento alle tradizioni, ma anche ad una specie di «socialismo di pancia» che parla di giustizia sociale e di solidarietà tra i popoli. Non voglio descrivere la situazione in Novorossiya come un momento pre-rivoluzionario: sarebbe sbagliato e mistificatorio. Come tutte le situazioni in cui si esplicano più contraddizioni, anche gli schieramenti interni sono contraddittori e di varia natura: non potremmo aspettarci, in nessuna situazione, prerivoluzionaria o rivoluzionaria, una composizione univoca e unicamente progressista. Alcuni dei vertici delle Repubbliche sono nazionalisti e hanno una provenienza tendenzialmente di destra. Però non si può nemmeno ignorare il gran valore che la popolazione dà all’antifascismo praticato oggi, visto in continuità con la lotta contro il fascismo nella seconda guerra mondiale e contro l’ennesimo tentativo di ingerenza occidentale. Nella memoria di tutti, anche dei più giovani, vive il ricordo della Grande guerra patriottica contro il nazifascismo e non è un caso che il simbolo della solidarietà con la Novorossiya sia il nastro arancio-nero di San Giorgio, un’antica onorificenza militare con cui molti (dei pochi) sopravvissuti alla guerra contro il nazifascismo furono premiati per il proprio servizio sotto le armi. Dal 2005 è ufficialmente, in Russia, il simbolo della vittoria contro il nazifascismo. Alle milizie è venuto gioco facile usare il nastro di San Giorgio come simbolo, perché si sono trovati a combattere contro battaglioni come l’Aidar, l’Azov e altri che si richiamano apertamente alla tradizione banderista e nazista. Quindi penso che non ci sia nessun dubbio rispetto alla definizione «antifascista» della Carovana: la Novorossiya è antifascista, isola i fascisti interni e combatte armi in pugno quelli ben più pericolosi (perché ben armati e finanziati dalle forze imperialiste occidentali) che vengono da Kiev. Concludo con una informazione interessante: la stragrande maggioranza dei fascisti russi sono schierati a fianco di Kiev.
La bandiera della repubblica della Novorossiya è molto simile a quella dei confederati statunitensi durante la guerra di secessione...
Una bandiera ufficiale della Novorossiya non è ancora stata adottata, anche se tutte le principali in uso sono state riconosciute dai governi delle repubbliche. La più diffusa è quella appunto che ricorda quella dei confederati statunitensi, anche se l’affinità tra le due bandiere non va oltre l’estetica. È risaputo che la funzione principale di una bandiera è quella di rappresentare valori e ideali che accomunano il territorio su cui sventola e gli uomini e le donne che la stringono nelle loro mani. La Novorossia si sta costruendo attorno ai valori di libertà e lavoro, che in quella bandiera sono rappresentati dallo sfondo rosso che ricorda la bandiera sovietica e dalla croce di Sant’Andrea, blu su sfondo bianco, che ricorda la bandiera della marina russa che nel XVIII secolo liberò i territori del Donbass dalla presenza ottomana. Niente da spartire, quindi, con quella dei confederati spesso associata al passato schiavista e al razzismo imperante negli stati del sud degli Stati Uniti.
Un timore diffuso fra i simpatizzanti delle Repubbliche popolari è che le parti più progressiste di queste possano essere usate come «carne da macello» da parte del governo russo. Cosa farà...

Indice dei contenuti

  1. Frontespizio
  2. Colophon
  3. Prefazione
  4. Introduzione
  5. A proposito di rivolte tossiche...
  6. Odessa grida vendetta!
  7. Equilibrismi ucraini
  8. Musica d’avanguardia
  9. A fianco dell’ucraina antifascista, no pasaran!
  10. Ucraina, un salto di qualità nell’attuale tendenza alla guerra
  11. Il caso Margerie. Chi ha paura della Russia?
  12. La valenza politica epocale di ciò che avviene in ucraina
  13. Le parole della carovana: intervista a un compagno di ritorno dal donbass
  14. Note sul Donbass e la resistenza antimperialista
  15. Glossario
  16. Bufale di guerra
  17. Cronologia
  18. Indice
  19. Red star e-book