La Penultima Guerra
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Il concetto di katéchon nella Dottrina dell'Ordine Politico di Carl Schmitt

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Il concetto di katéchon nella Dottrina dell'Ordine Politico di Carl Schmitt

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Il male nella storia è presente in forme spesso così agghiaccianti da rendere difficile gettarvi lo sguardo. Tuttavia, sembra che qualcosa (o qualcuno) ne trattenga il dilagare. L'esperienza universale di un freno al «mistero dell'iniquità» è magistralmente condensata in due versetti della seconda lettera paolina ai Tessalonicesi nei quali si allude ad un misterioso katéchon (ciò, colui che trattiene) che impedisce alle forze dell'Avversario di trionfare. Nella storia dell'esegesi il concetto di katéchon ha ricevuto molteplici e diversissime interpretazioni. Carl Schmitt legge questa categoria biblica a partire da un'antica anche se controversa tradizione patristica che identifica il soggetto portatore della «forza che trattiene» nell'impero romano. L'impero è assunto a metafora dell'ordine, quell'ordine la cui fonte è per Paolo lo stesso Dio (1 Cor 14, 33) e in cui è possibile vedere l'antidoto alla dissoluzione politica e morale della modernità. Su tali basi, il katéchon è sì principio d'ordine e di civiltà, ma d'un ordine che sa della sua fine, che lotta con la sempre risorgente anomia, con un caos compresso ma sempre in procinto di esplodere. Insomma, un ordine in costante agonia, nel duplice senso di conflitto e sofferenza, che solo l'intervento del Dio trascendente alla fine della storia potrà definitivamente risolvere. Questo libro suggerisce che Schmitt abbia via via sovrapposto il concetto di katéchon alla propria dottrina dell'ordine politico, confermandone così tonalità ed esiti teologico-escatologici. Se considerato sotto tale angolo visuale, il suo pensiero rivela quell'unità d'ispirazione e d'intenti che egli ha sempre rivendicato, pur nella varietà degli interessi e nella straordinaria estensione della sua carriera di studioso.

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Informazioni

Anno
2021
ISBN
9788855130264

Parte Prima

L’ORDINE POLITICO

… Le cose tutte quante / hanno ordine tra loro, e questo è forma / che l’universo a Dio fa simigliante.
(Paradiso, I, 103-105)

I

ECCEZIONE, DECISIONE, NORMA: LA COSTRUZIONE DELL’ORDINE

Se non fosse una locuzione un po’ démodée si potrebbe dire che, in sede di sintesi, il pensiero politico schmittiano è tutto rivolto «alla ricerca dell’ordine». Ci si potrebbe domandare donde venga questa esigenza, e se l’autore non avesse sotto gli occhi, oltre all’esempio di un ordine molto instabile e inefficace come la repubblica di Weimar 1, anche altre e migliori immagini di entità politiche stabili, forti, potenti. Ma il problema pare assumere in lui un punto di vista più vasto rispetto alla mera considerazione del suo presente politico: Schmitt non vuole mai perdere di vista il fenomeno 2, ma la sua ermeneutica tende sempre ad una visione storica che, assieme a quella teologica, dona al suo pensiero la profondità di una ‘terza dimensione’ che gli conferisce una capacità di vedere più ampia e una prospettiva epocale assai affascinante. È grazie a tale profondità che egli intuisce il processo del progressivo determinarsi di un ordine puramente funzionale dato nell’elemento tecnico. Una dinamica, questa, sottilmente nichilista, per cui il presente viene «consegnato al nulla» 3 di un elemento che, lungi dall’imprimere una forma al mondo, ne istituzionalizza l’immediatezza brutalmente empirica, nell’illusione che «le cose possano governarsi da sé». È l’utopia tecnocratica che pensa una «terra elettrificata» 4 affidata alla «forza delle cose» cioè ad un’orizzontalità profondamente disumanizzante e priva di senso, sulla quale avrò motivo di tornare nel corso del presente lavoro. È questo il motivo per il quale l’esigenza di ordine è da Schmitt percepita in maniera estremamente acuta: egli tanto più vi insiste quanto più vede la sua contemporaneità come culmine di uno sviluppo che esibisce in maniera sempre più marcata il prevalere di una tale manifestazione mistificatoria dell’ordine.
Queste brevi considerazioni introducono al tentativo di un’esposizione sistematica di alcuni capisaldi del pensiero schmittiano 5, necessari per comprendere il ruolo che in esso ha il concetto di katéchon a partire da un’ipotesi di fondo: il disordine, che costituisce il problema dei problemi per Schmitt e rispetto al quale viene denunciata l’ingannevole soluzione tecnocratica, è dato dalla pura fatticità del politico.

1.DUALISMO ‘ONTOLOGICO’, STATO DI NATURA E CONCETTO DI POLITICO

«Pura fatticità del politico»: l’espressione vuole indicare il fatto puramente esistenziale, empirico, brutale che Schmitt rileva nella realtà dei rapporti umani e che funge da criterio del politico. Tale factum è l’ostilità. In Il concetto di politico, opera del 1927 ristampata nel 1932, Schmitt elabora la famosa teoria per cui il criterio del politico non è lo Stato, elemento che fino a quel momento aveva rappresentato il presupposto di ogni considerazione scientifica e categoriale della politica, bensì la coppia concettuale amico-nemico:
La specifica distinzione politica alla quale è possibile ricondurre le azioni e i motivi politici è la distinzione amico-nemico. […] Il [suo] significato […] è di indicare l’estremo grado di intensità di un’unione o di una separazione, di un’associazione o di una dissociazione. 6
Lo Stato poggia su un factum più originario, cioè sulla tendenza degli uomini a radunarsi (amico) e a schierarsi gli uni contro gli altri (nemico). Su questa base lo Stato si afferma come ‘unità politica decisiva’, ossia come quel raggruppamento istituzionale che, avocando a sé il monopolio della decisione circa la distinzione amico-nemico, crea pace al suo interno ed espelle i conflitti, limitandoli al rapporto con entità esterne.
Ma ciò che più conta, almeno per ora, è che Schmitt, in maniera dialettica, punta l’attenzione su uno dei due aspetti che compongono la coppia concettuale suaccennata, quello del «nemico». Infatti qui si sta parlando di concetti giuridici e
la costruzione di un concetto giuridico procede sempre, per necessità dialettica, dalla sua negazione. Un processo, in quanto controversia giuridica, è pensabile solo se viene negato un diritto. La pena e il diritto penale presuppongono non un fatto ma un non-fatto. 7
Dunque ciò da cui deve partire la sua considerazione deve essere ciò che veramente, da un punto di vista logico oltre che giuridico, fa problema, vale a dire appunto la negazione dell’amicizia, l’ostilità, l’inimicizia. Ebbene, questa va concepita fuori da ogni dimensione o elaborazione morale, estetica, economica ecc.:
Il nemico è semplicemente l’altro, lo straniero, e basta alla sua essenza che egli sia esistenzialmente, in senso particolarmente intensivo, qualcosa d’altro, di straniero, per modo che, nel caso estremo siano possibili con lui conflitti. 8
Il nemico inoltre ha da essere pubblico (sono escluse le forme di inimicizia private, che attengono solo alla coscienza individuale), non c’è bisogno che sia cattivo o brutto o che sia comunque connotato negativamente, l’importante è che metta in discussione in maniera seria il complesso della nostra vita. Ciò deve avvenire ovviamente non solo in senso metaforico, ma in senso concretamente fisico.
In base all’esistenza del nemico – un’esistenza, come si vede, puramente fattuale e non ulteriormente fondata – si generano pure le associazioni politiche, che sono tali in quanto contemplano, per lo meno in termini di possibilità, il dato estremo del conflitto per la sopravvivenza.
In sostanza vi è politica laddove le relazioni tra gli uomini e le loro comunità esibiscono una dimensione di conflittualità latente, sempre in grado di degenerare e di condurre ad una situazione che per gli attori umani comporta la necessità dell’uccisione reciproca.
Il criterio del politico qui in discussione non ha finalità fondative ma esclusivamente ermeneutiche e nondimeno esso identifica efficacemente tutti i fenomeni che noi solitamente chiamiamo politici e offre un saldo mezzo per distinguerli dagli altri. In un’epoca in cui emerge in tutta la sua portata la fine della statualità, credo che la riflessione schmittiana in tale ambito sia rimasta insuperata.
Tuttavia, a me preme evidenziare ancora un altro punto, cioè il senso della individuazione di questo criterio nella complessiva produzione del nostro giurista. Se ho cercato di determinare preliminarmente il filo conduttore di questa produzione nella ricerca dell’ordine, mi pare di poter dire che il politico come pura, concreta, fattuale ed esistenziale conflittualità costituisca l’orizzonte di datità originaria sulla quale costruire l’edificio dell’ordine. A sostegno della mia ipotesi valgono due considerazioni.
La prima è relativa al dualismo ‘ontologico’ che caratterizza la posizione schmittiana soprattutto nella fase giovanile della sua ricerca e alla quale Michele Nicoletti nel suo fondamentale Trascendenza e potere ha dato il giusto risalto: per Schmitt l’idea «entra sempre nel mondo come un ospite straniero» 9. Questa concezione prende forma a partire dalla sua tesi di laurea Über Schuld und Schuldarten fino a Der Wert des Staates und die Bedeutung des Einzelnen e allo scritto sul Nordlicht di Theodor Daubler. Vi è un dualismo originario – forse non tanto nella realtà in quanto tale, bensì in ciò che concerne la sua dimensione umana e antropologica – per cui in qualche modo il mondo è refrattario ad un ordine ideale, identificato nel diritto. Vi è «l’impossibilità di ricondurre sotto un unico concetto il visibile e l’invisibile, il temporale e l’eterno» 10 così come è da rifiutare ogni confusione tra l’idealità ordinata del diritto («Il diritto come norma pura valida indipendentemente da ogni giustificazione fattuale») e la tendenziale entropia della realtà empirica.
Il diritto è qui considerato (neokantianamente) il mondo della forma pura, dell’ideale e dell’universale che non può essere definito dai fatti; contrapposto a questo, sta il mondo delle individualità empiriche dominate dal relativo. 11
In Der Wert des Staates und die Bedeutung des Einzelnen Schmitt pensa lo Stato quale mediazione tra i due ambiti: lo Stato ha il compito di realizzare il diritto che, altrimenti, confinato nel suo empireo ideale, rimarrebbe lettera morta. Di là da quest’ultima osservazione, che pure è importante poiché il ponte richiesto tra i due mondi è la principale esigenza che ispira e muove alla costruzione di ordinamenti politici, rimane imprescindibile la consapevolezza di una dualità di dimensioni in cui quella orizzontale dell’empiria pare attraversata da un intrinseco disordine, laddove proprio si contraddistingue come opposto dialettico dell’ordine, razionalità, purezza e normatività dell’ideale 12.
Dato questo dualismo, come interpretare l’esistenziale fatticità del politico, connotata da disordinata conflittualità e immediatezza informe, se non come l’aspetto empirico della realtà, proprio nei termini che Schmitt ha inteso significare nelle sue opere giovanili?
La seconda argomentazione prende le mosse dalla lettura acuta e profonda che compie Leo Strauss nelle sue Note sul «concetto di politico» in Carl Schmitt 13. Strauss riflette sulla critica schmittiana alla concezione liberale della politica, che rifiuta le suddivisioni e autonomizzazioni liberali, le quali stabiliscono, tra l’altro, l’autonomia della cultura in generale e della politica in particolare. Quest’ultima, inserita all’interno del genus cultura, non viene colta nel suo legame profondo con l’esistenza dell’uomo, legame naturale che nessuna ‘cultura’, così come è intesa dai liberali, può tralasciare. Per tale motivo, avendo evidenziato il nesso politica-natura contra la politica-cultura liberale, egli può interpretare il politico schmittiano come status naturalis, ovvero come «la modalità in cui l’uomo si rapporta agli altri uomini prima di ogni cultura» 14. Ne risulta ben definita la qualità fattuale del politico, come appunto primigenia datità naturale.
In seguito Strauss si sofferma sul senso della «possibilità reale del conflitto» che, dice giustamente, ne costituisce l’autentico criterio, poiché è da Schmitt stesso precisato che, per connotare il senso politico di un fenomeno umano, non è evidentemente richiesta una lotta attuale, che l...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. SOMMARIO
  5. Introduzione
  6. PARTE PRIMA: L’ordine politico
  7. PARTE SECONDA: Il «katéchon»
  8. Respondeo: Dall’«eikòn» al «katéchon», il senso della teologia politica di Schmitt
  9. Riferimenti bibliografici