CAPITOLO 1
Storia e tecnica della cardiotocografia
Gaia Pasquali, Giuseppe Rizzo
L’utilizzo del monitoraggio elettronico fetale cardiotocografico in gravidanza è oramai diventato la regola più che l’eccezione, soprattutto durante il travaglio di parto.
Fin dalla sua nascita, più di 50 anni fa, questa metodica si pone l’obiettivo di ridurre la mortalità e la morbidità materna e neonatale.
Prima della sua introduzione la sorveglianza fetale veniva eseguita attraverso l’auscultazione intermittente del battito cardiaco fetale. Nel 1818 Mayor pose l’orecchio sull’addome materno ed introdusse questo metodo di monitoraggio fetale, l’auscultazione del battito fetale. Inizia così a svilupparsi un progressivo interesse nei confronti dell’auscultazione della frequenza cardiaca fetale attraverso l’addome materno e di quelle sue variazioni che potessero prevedere e prevenire la morte fetale intrapartum attraverso tempestivi interventi ostetrici. Dal 1821 altri medici, tra cui De Kergaradec, capirono che con uno stetoscopio era possibile seguire l’andamento del battito fetale e suggerirono che questo fosse un ottimo strumento diagnostico se eseguito periodicamente. Il primo libro sull’argomento venne redatto da Kennedy nel 1833 con il titolo Observation on Obstetric Auscultation (Figura 1.1) e nel 1848 arrivarono dall’americano Kilian le prime linee guida che definivano i criteri di normalità di un battito fetale. Risale al 1876 l’introduzione dello stetoscopio modificato di Pinard (Figura 1.2).
Nel tempo gli studi si ampliarono e si iniziarono ad individuare le correlazioni patofisiologiche tra il battito fetale e l’andamento del travaglio o le condizioni materne.
Una volta accettata la teoria secondo la quale un evento ipossico intrapartum può essere causa di lesioni al sistema nervoso centrale che si manifestano con paralisi cerebrale ed altri danni neurologici permanenti e che le modificazioni della frequenza cardiaca fetale sono il prodotto delle modificazioni vascolari a livello del sistema nervoso centrale simpatico e parasimpatico, l’obiettivo è divenuto identificare l’ipossia prima che si manifesti il danno cerebrale.
I fondatori della sorveglianza fetale furono Hon e Caldeyro-Barcia. Il primo nel 1957 riuscì a registrare separatamente, e quindi a distinguere, per via addominale il battito materno da quello fetale; il secondo nel 1958 fu il primo a registrare il battito fetale in combinazione con le contrazioni uterine. Questi possono senz’altro essere definiti i primi passi della moderna cardiotocografia (1, 2, 3, 4).
Bisognerà attendere però almeno 10 anni, con Hammacher, perché la cardiotocografia conquisti un valore clinico e venga inserita nella pratica clinica di routine. Nel 1969 arrivò con Kubli il primo studio che correlava i pattern cardiotocografici con il contemporaneo rilevamento del pH su scalpo fetale e che mostrava come pH più bassi fossero correlati alla presenza di decelerazioni variabili moderate e pH francamente patologici si verificassero in presenza di decelerazioni tardive e decelerazioni variabili severe. La loro acquisizione maggiore fu dimostrare che in presenza di un tracciato normale non vi erano alterazioni di pH (5). L’associazione fra pH dallo scalpo fetale e l’auscultazione intermittente della frequenza cardiaca ha rappresentato per molti anni lo standard care del monitoraggio materno-fetale intraparto.
Sulla base di questi presupposti teorici, il monitoraggio fetale è stato introdotto nell’uso comune nei primi anni ’70. Successivamente, il suo uso intrapartum è aumentato rapidamente: nel 45% delle donne in travaglio nel 1980, nel 62% nel 1988, nel 74% nel 1992 e nell’85% nel 2002.
Per quanto riguarda le tecniche di rilevamento della frequenza cardiaca fetale, queste ebbero una graduale evoluzione durante il ventesimo secolo; negli anni ’20 venne infatti introdotta la fonocardiografia esterna limitata però nella sua efficacia dall’impossibilità di eliminare i complessi materni; successivamente si sperimentò l’elettrodo sul cuoio capelluto del feto (1960) ed infine l’ultrasonografia, con Mosler, sfruttando l’effetto Doppler (1969) (6, 7).
TECNICA DI RILIEVO DEI SEGNALI
La cardiotocografia attuale consiste nella registrazione contemporanea della frequenza cardiaca fetale mediante una sonda ad ultrasuoni (cardiografia) e dell’attività contrattile uterina (tocografia) mediante un trasduttore di pressione.
Nella cardiografia i segnali captati derivano dalla riflessione del movimento del muscolo cardiaco e delle sue valvole di onde ultrasonore emesse dal trasduttore. Questo è un convertitore elettromeccanico a cristalli pizoelettrici, composto da un trasmettitore e da un rilevatore incorporati nel medesimo involucro. Il trasduttore converte il segnale elettrico proveniente da un oscillatore in vibrazioni meccaniche di frequenza ultrasonora che vengono direzionate sul cuore fetale. Parte del segnale è riflesso dalle superfici cardiache in movimento; gli echi di ritorno dal cuore fetale, la cui frequenza, per l’effetto Doppler, varia proporzionalmente alla velocità istantanea del movimento cardiaco stesso, sono raccolti dal rilevatore. I segnali così captati sono convertiti in segnali elettrici e successivamente elaborati. I segnali provenienti dal cuore fetale sono amplificati e quindi filtrati e modulati al fine di ottenere un segnale morfologicamente ben caratterizzato e di elevata qualità. Il segnale così ottenuto viene trattato in modo da evidenziare per ogni singolo complesso cardiaco, un impulso esattamente definito e costante, cioè riconducibile al medesimo evento in ciascun ciclo cardiaco. I segnali sono utilizzati per il calcolo della frequenza cardiaca fetale espressa in battiti per minuto (bpm) e quindi viene rapportato all’unità di tempo (60 sec) (8, 9).
I valori di frequenza cardiaca fetale così ottenuti sono rappresentati su una striscia di carta che scorre a velocità costante; la velocità di scorrimento della carta è generalmente compresa tra 1 e 3 cm/min. Nella maggior parte dei Paesi viene utilizzata una velocità di scorrimento di 1 cm/min in quanto pare sia sufficientemente dettagliata per l’analisi clinica ed al tempo stesso abbia il vantaggio di ridurre la lunghezza delle registrazioni; alcuni esperti però ritengono che i piccoli dettagli siano meglio evidenziati con minori velocità ed infatti ad esempio nei Paesi Bassi è preferita quella a 2 cm/min e in nord America ed in Giappone quella a 3 cm/min (10).
Anche la scala verticale può esser differente e variare tra 20 o 30 bpm/cm ed ha un’espansione di scala da 50 a 210 bpm. L’adozione di differenti velocità di scorrimento o di differenti espansioni verticali della scala della frequenza porta a configurare il medesimo fenomeno con morfologie dissimili e quindi a confusione nell’interpretazione dei dati da parte dei diversi operatori. Ad esempio, a 3 cm/min la variabilità può apparire ridotta ad un operatore abituato alla scala ad 1 cm/min oppure può apparire esagerata nella situazione opposta.
Risulta pertanto fondamentale che vi sia concordanza in ogni Centro in modo da uniformare i criteri di lettura e non creare erronee interpretazioni (10).
Il monitoraggio fetale con trasduttore esterno è il metodo da preferire nonostante presenti dei limiti; risulta infatti più soggetto ad episodi di perdita di segnale, a registrazione di battito materno e ad artefatti, in particolare durante il secondo stadio del travaglio. Inoltre non permette di individuare in maniera accurata la presenza di eventuali aritmie fetali.
Il trasduttore deve essere orientato sul focolaio cardiaco previa esecuzione delle classiche manovre ostetriche atte a valutare presentazione e situazione fetale e riposizionato di frequente, soprattutto durante il secondo stadio (11). I cardiotocografi dispongono di un sistema di segnalazione per evidenziare la qualità del segnale ottenuto.
In caso di tracciati non interpretabili e non accettabili si può pensare alla registrazione intrapartum con elettrodo intrauterino applicato sullo scalpo fetale; questo valuta l’intervallo temporale tra le onde R del complesso QRS di un ECG fetale. Naturalmente si tratta di metodo più costoso che richiede la rottura delle membrane e più delicato in quanto vanno evitate strutture come fontanelle e suture; peraltro risulta controindicato in caso di infezioni materne a possibile trasmissione verticale e nei feti prima della 32a settimana di gestazione (12, 13).
È auspicabile associare la registrazione dei movimenti fetali o tramite il “segna-eventi” azionato dalla madre oppure tramite rilevazione automatica del cardiotocografo che individua ed analizza i segnali Doppler a bassa frequenza o la modificazione dei parametri dei trasduttori di pressione.
Questo segnale è in effetti utile nella corretta identificazione della reattività fetale; in presenza di movimenti attivi fetali si osserveranno infatti una buona variabilità e delle accelerazioni concomitanti.
L’esame dell’attività contrattile uterina viene ormai eseguito solo esternamente attraverso un trasduttore di pressione esterno posto sull’addome materno. Questo consente di valutare la frequenza delle contrazioni uterine; per quanto riguarda le altre variabili della contrazione uterina, come l’ampiezza, la durata ed il tono di base, il dato è solo relativo. Il tocogramma è influenzato infatti dallo spessore della parete addominale, dalla muscolatura addominale, dal corretto o meno posizionamento del trasduttore e dall’intensità di applicazione delle cinghie.
Il trasduttore tocografico va collegato a livello del terzo superiore del corpo dell’utero poiché a questo livello le modificazioni di forma e dimensioni dell’addome materno sono più spiccate. Al procedere del travaglio, con la discesa della parte presentata e la conseguente riduzione del diametro longitudinale dell’utero, il trasduttore deve essere riposizionato a livelli progressivamente inferiori. La calibratura va eseguita quando alla palpazione l’utero risulti in condizioni di riposo.
L’utilizzo di un monitoraggio interno utilizzando un catetere intrauterino, fornirebbe informazioni quantitative su intensità e durata delle contrazioni e sul tono basale ma oltre ad essere più costoso, richiede la presenza di membrane rotte e può avere effetti collaterali come emorragie placentari, perforazione uterina ed infezioni; inoltre non è stato associato nei vari studi ad un miglioramento dell’outcome materno-fetale che ne giustifichi il suo utilizzo routinario (14, 15).
Un accenno merita un altro metodo che negli ultimi anni ha modificato l’approccio alla cardiotocografia in continua rendendola più fruibile ed accettabile soprattutto per le donne, la telemetria a breve distanza, che permette di lasciare libera, senza fili...