Definizione di disturbo neuropsichiatrico
Questo libro tratta delle neuroscienze cliniche del comportamento, in particolare dei disturbi neuropsichiatrici in senso stretto, indicando tale termine quei disturbi del comportamento umano direttamente correlati a patologie del sistema nervoso centrale. La semplicità di questa definizione non deve però indurre a interpretare in modo semplicistico, lineare e riduzionista il rapporto tra alterazioni delle strutture cerebrali e alterazioni delle funzioni cerebrali, in quanto, come sarà esposto nel secondo paragrafo di questo capitolo, nella determinazione dei disturbi del comportamento, di qualsiasi natura essi siano, intervengono, sempre, fattori di natura biopsicosociale.
I disturbi neuropsichiatrici dipendono soprattutto da lesioni e disfunzioni delle strutture filogeneticamente più antiche quali il tronco encefalico, il paleoencefalo, i gangli della base, le regioni limbiche e della corteccia frontale paralimbica ed eteromodale, nonché da lesioni di complessi circuiti che collegano le strutture sottocorticali con le aree neocorticali. Questi diversi distretti cerebrali, come verrà esposto nel Capitolo 2, costituiscono il substrato neurobiologico di differenti sistemi motivazionali e funzioni cognitivo-emozionali e danno luogo, in caso di alterazioni, a modificazioni dell'umore, dei comportamenti motivati, a manifestazioni di ansia, rabbia o aggressività e a deficit della percezione e del pensiero. Questi disturbi sono causati da lesioni cerebrali focali o diffuse di diversa eziologia (traumatica, vascolare, neoplastica ecc.) oppure da malattie neurologiche come l'epilessia, le demenze, le malattie extrapiramidali e altre ancora. Ai sintomi neuropsichiatrici si possono associare, secondo la sede e l'estensione della lesione cerebrale, alterazioni delle funzioni sensomotorie e di specifiche funzioni cognitive (linguaggio, memoria, abilità visuospaziali ecc.) che a loro volta potranno influire sulla sfera psicologica e psicosociale del paziente complicando ulteriormente i suoi problemi emozionali e comportamentali.
Data questa iniziale definizione, la complessità di natura concettuale insita nel termine neuropsichiatria, cui si è fatto cenno a inizio paragrafo, è ben evidenziata, come ora vedremo, dalle molteplici accezioni date al termine stesso nel corso del tempo.
I disturbi neuropsichiatrici sono anche definiti disturbi psichiatrici associati a patologie neurologiche. Questa definizione implica che i sintomi psicopatologici secondari a lesioni cerebrali siano sovrapponibili a quelli osservati nei disturbi psichiatrici idiopatici. Tra disturbi neuropsichiatrici e disturbi psichiatrici esistono tuttavia non solo somiglianze ma anche differenze, come verrà esposto nel Capitolo 3, per cui l'esclusiva sovrapposizione fenomenica tra le due classi di disturbi può risultare riduttiva e fuorviante.
I disturbi neuropsichiatrici sono l'oggetto di studio della neuropsichiatria, disciplina di antiche origini storiche (cfr. paragrafo successivo), che a partire dagli anni Ottanta del Novecento, sotto l'influenza straordinaria delle neuroscienze, ha subito una profonda trasformazione, ridefinendo la sua organizzazione concettuale e i suoi campi di ricerca e di applicazione clinica (per i fondamenti teorici e clinici dei disturbi neuropsichiatrici cfr. Cummings, 1999; Cummings e Hegarty, 1994; Taber et al, 2010).
Negli ultimi due decenni, studi di neuroimaging hanno messo in evidenza alterazioni anatomofunzionali in comune tra sintomi psicopatologici associati a lesioni cerebrali e sintomi presenti in diverse malattie psichiatriche. Il confronto dei profili psicopatologici e dei substrati neurobiologici condivisi tra disturbi neuropsichiatrici e disturbi psichiatrici ha permesso di comprendere meglio le relazioni tra questi due tipi di disturbi e di porre le basi per una moderna epistemologia neuropsichiatrica (Cummings, 1999).
La moderna neuropsichiatria è una disciplina ibrida che si è arricchita dei contributi di altre discipline, come la neuropsichiatria cognitiva che tenta di spiegare i disturbi psichiatrici in termini di deficit dei “normali” meccanismi cognitivi, integrando gli studi di anatomia funzionale con i modelli della neuropsicologia cognitiva (Halligan e David, 2001; Hohwy e Rosemberg, 2005).
Il termine neuropsichiatria viene spesso utilizzato come sinonimo di psichiatria organica e viceversa. La psichiatria organica tuttavia, secondo la definizione di Lishman (David et al, 2009), si occupa dei disturbi mentali secondari a patologie endocrine, tossiche e metaboliche e pertanto, rispetto alla neuropsichiatria, sarebbe una disciplina più vicina alla medicina generale che non alla neurologia. Altri autori riconducono la neuropsichiatria al campo della psichiatria biologica(Trimble e George, 2010), anche se questo termine, in senso stretto, è usato più per indicare un approccio allo studio dei disturbi psichiatrici basato su un indirizzo neurobiologico che non una disciplina clinica a sé stante. Un'altra disciplina che studia i disturbi cognitivi e comportamentali secondari a lesioni cerebrali è la behavioral neurology (in italiano si utilizza il termine neurologia cognitivo-comportamentale). Come sarà specificato nel paragrafo successivo, il nome di questa disciplina è legato a quello di Norman Geschwind. Rispetto agli interessi originari della behavioral neurology, prevalentemente rivolti allo studio delle “sindromi negative” come l'afasia, l'agnosia, l'amnesia e altri deficit cognitivi, la neuropsichiatria contemporanea estende il suo campo di indagine alle “sindromi positive” come i disturbi dell'umore, i disturbi ossessivo-compulsivi, le psicosi e altri disturbi del comportamento. Oggi, comunque, neuropsichiatria e behavioral neurology sono considerate due discipline molto affini e, al riguardo, già diversi anni fa, Cummings scriveva che i confini tra queste due discipline erano «artificiali, senza una giustificazione storica e inapplicabili all'attuale ricerca e pratica» (Cummings e Hegarty, 1994; Price et al, 2000).
Al di là delle diverse definizioni, spesso solo di tipo semantico, senza significative differenze concettuali, neuropsichiatria è divenuto un termine molto diffuso nell'ambito delle neuroscienze cliniche, soprattutto nei Paesi di lingua anglosassone, dal momento che il suo stesso nome fa riferimento sia al versante neurologico sia a quello psichiatrico dei disturbi del comportamento umano.
Se le accezioni date al termine neuropsichiatria sono spesso sovrapponibili e scarsamente delimitate sul piano concettuale, i confini di questa disciplina rispetto alla neurologia e alla psichiatria, anche se spesso sfumati, possono tuttavia essere tracciati. In sintonia con il processo culturale di progressiva specializzazione del sapere medico che ha caratterizzato il Novecento, la definizione di disturbo neuropsichiatrico sopra riportata permette di apprezzare la (relativa) autonomia della
neuropsichiatria (che classicamente si occupa dei disturbi neuropsichiatrici) rispetto alla
neurologia da un lato (che classicamente si occupa dei disturbi somatici direttamente correlati a lesioni del sistema nervoso) e alla
psichiatria dall'altro (che classicamente si occupa dei disturbi mentali non direttamente collegati a evidenti lesioni cerebrali ma connessi a fattori psicodinamici, sociali e ad alterazioni dei sistemi recettoriali neurotrasmettitoriali). In questo percorso di progressiva differenziazione conoscitiva dei disturbi del comportamento umano, è possibile considerare la neuropsichiatria come “territorio di confine” tra la neurologia e la psichiatria, condividendo con queste discipline metodi di indagine sperimentale e di osservazione clinica. La neuropsichiatria è, quindi, dal punto di vista storico-culturale, la disciplina che, rispetto alla neurologia e alla psichiatria, è maggiormente impegnata nella definizione del complesso rapporto tra il versante neurale e quello psichico del comportamento umano. In quest'ottica, i tentativi di definizione del rapporto tra questi due versanti del comportamento offerti dalla neuropsichiatria, caratterizzano l'
identità della neuropsichiatria stessa. Riflessioni tanto in ambito clinico quanto in quello teorico e culturale inducono a ritenere che l'identità della neuropsichiatria abbia una precisa connotazione, le cui caratteristiche possono essere sintetizzate come segue.
■ In ambito clinico, la neuropsichiatria afferma la specificità fenomenica dei disturbi neuropsichiatrici, che sono, quindi, dotati di una (relativa) autonomia rispetto ai “disturbi psichiatrici”. La specificità clinica, come verrà discusso nel Capitolo 3, è la risultante della combinazione, sul piano psicopatologico, di elementi di somiglianza con elementi di diversità tra i fenomeni neuropsichiatrici e quelli psichiatrici.
■ In ambito teorico, la neuropsichiatria definisce una concettualizzazione neuropsicologica dei disturbi delle emozioni e del comportamento, intesi come disturbi delle funzioni mentali dipendenti da alterazioni delle strutture cerebrali. Tali disturbi sono l'espressione della lesione o della disfunzione di specifiche strutture e circuiti neurali e il loro studio si avvale, oltre che dei contributi della neurologia e della psicologia, anche di quelli offerti dalle neuroimmagini, dalle scienze cognitive, dalla neuropsicologia e da altre branche delle neuroscienze.
■ In ambito culturale, la neuropsichiatria ambisce a definire un'unitaria scenografia di senso del comportamento umano, fondata sul riferimento a un comune modello interpretativo fisiopatologico tanto per i disturbi neuropsichiatrici quanto per quelli psichiatrici, pur esistendo tra queste due categorie di disturbi una (relativa) autonomia clinica. In quest'ottica, come sottolineano Cummings e Hegarty (1994), il termine neuropsichiatria dovrebbe indicare quella disciplina «che tenta di integrare i meccanismi anatomofunzionali e neuropsicologici del comportamento con quelli relativi alla storia dell'individuo e del suo ambiente», e che quindi, potremmo dire, tenta di integrare la conoscenza biologica con la conoscenza psicosociale. Questo ambito culturale della neuropsichiatria costituirà il punto di riferimento per la costruzione (esposta nel Capitolo 3) di un possibile modello fisiopatologico unitario dei processi mentali.
Origini e sviluppo della neuropsichiatria contemporanea
Il termine neuropsichiatria non è certo recente e, anzi, le sue origini vengono fatte risalire lontano nel tempo, addirittura a Ippocrate (Trimble, 1993). È tuttavia intorno alla fine del XVIII secolo che cominciarono a porsi le basi di una teoria scientifica sul funzionamento del cervello e sulle cause delle malattie mentali. In quest'epoca, mentre la psichiatria era ancora estranea alla medicina (l'interpretazione dei disturbi mentali era allora basata solo su speculazioni di carattere filosofico e metapsichico), gli studi sull'anatomia e sulla fisiologia del sistema nervoso erano già iniziati e in rapido sviluppo. Per tale ragione, i primi tentativi di costruire una teoria scientifica delle malattie mentali originarono da ricerche neurologiche e la “psichiatria” non poté quindi svilupparsi se non come “neuropsichiatria”. Franz Joseph Gall (1758-1828), il fondatore della frenologia, ai suoi tempi acquistò una grande popolarità in quanto propose una dottrina neuropsichiatrica basata sulla localizzazione delle funzioni mentali in aree definite del cervello. A lui si deve, per esempio, l'intuizione dell'esistenza di un centro del linguaggio, concetto ripreso alcuni anni più tardi da Broca.
Le teorie localizzazioniste di Gall continuarono a svilupparsi nella prima parte del XIX secolo ma la sua dottrina, sostenuta insieme all'allievo Johann Caspar Spurzheim (1776-1832), sulla possibilità, attraverso l'ispezione tattile del cranio, di individuare le «disposizioni morali e intellettuali» di un individuo, non trovando una conferma scientifica, venne abbandonata. Tra la seconda e la quinta decade dell'Ottocento si diffuse quindi la convinzione che l'attività mentale non fosse sezionabile in diverse funzioni, a loro v...