1.
Vieni, Emmanuele!
Avvento
«Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore –
nei quali io realizzerò le promesse di bene
che ho fatto alla casa di Israele e alla casa di Giuda.
In quei giorni e in quel tempo
farò germogliare per Davide un germoglio di giustizia:
egli eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra»
(Ger 33,14-15).
La Chiesa, con questa prima domenica d’Avvento, ci fa iniziare l’anno liturgico, ossia quel ciclo di feste che ha distribuito ordinatamente nel corso dell’anno per celebrare i grandi misteri di Nostro Signore: la nascita, la vita pubblica, la Passione, la Risurrezione, l’Ascensione e infine la Pentecoste. Come è normale, questo primo periodo che chiamiamo tempo di Avvento, queste quattro domeniche che precedono il Natale sono un periodo di attesa e di preparazione alle feste natalizie.
Per ben comprendere la liturgia di questo tempo di Avvento, e per entrare bene nel pensiero della Chiesa e di Nostro Signore, occorre collocarsi in qualche modo in un quadro più vasto. È questo un periodo di attesa, un periodo di sospiri, un periodo di speranza in una venuta.
Quale venuta? Il quadro più grande, più vasto, più largo nel quale dovremmo porci è evidentemente l’attesa della venuta del Signore, della venuta di Dio.
Noi veniamo da Dio, lo sappiamo; siamo stati creati da Lui. Dio Padre è il principio di tutto, anche il principio del Verbo, la seconda Persona della Santissima Trinità. È dal Padre e dal Figlio che procede lo Spirito Santo. Anche il mondo trae la sua origine, specialmente quelle creature intelligenti che sono gli angeli e gli uomini, dal Padre onnipotente, dal Padre creatore. Sì, lo sappiamo, tutto questo è stato creato da Dio perché egli è Amore.
Dio è amore, cioè, come ci dice la teologia, «Bene diffusivo». L’amore è la qualità del Bene infinito che è Dio; Egli non può restare in se stesso, deve donarsi. Bonum diffusivum sui: Egli non dona soltanto dei benefici, ma dona se stesso: Egli è in uno stato di fusione, di esplosione. Ciò è nella sua natura, non è un atto particolare di bontà, è qualcosa che procede dal suo stesso essere. La teologia scolastica, con i suoi termini talvolta un po’ strani, ci dice tuttavia grandi verità. Ci dice che operatio sequitur esse, «l’operazione segue l’essere», ossia che è la conseguenza dell’essere delle cose. Il buon Dio è amore, la sua operazione è di donarsi, effondersi. Ecco la grande verità messa in evidenza da tutti i dottori della Chiesa, illustrata meravigliosamente dalla piccola santa Teresa di Gesù Bambino. Ed è questo che lei voleva far conoscere: Dio è amore.
Non è una piccola cosa, no, è una qualità essenziale di Dio. L’essenza di Dio, l’essere di Dio è di essere diffusivo. Egli è come obbligato, non può fare altrimenti che esplodere, donarsi, diffondere incessantemente il suo amore. Dio ha creato per amore. Ha creato il mondo per amore, ci ha creati per amore; un atto d’amore è al principio della nostra esistenza. Ci chiediamo: perché sono al mondo? Perché il buon Dio mi ha creato? Non ci sono dubbi, non occorre andare a cercare questa o quella circostanza, o piccole cause; no, non ce n’è che una, la grande causa: Dio è amore, Dio ci ha amato. Ci ha chiamato per amore, e questo amore con il quale Dio ci ha creato, con il quale ci ha chiamato, è sempre vivo. Quello che Egli ha amato, lo ama per sempre, quello che ci ha donato, ce lo lascerà sempre. Come dice l’apostolo san Paolo, che ha penetrato profondamente l’essere di Dio, «i doni di Dio sono senza pentimento», senza rimpianto. E ciò che ha cominciato in voi, «quod incipit in vobis», Dio lo porterà a compimento, lo condurrà al suo fine. Appartiene alla Sapienza di Dio portare tutto al suo compimento, con forza, dolcezza ed efficacia: Dio farà quello che vuol fare. Realizzerà il suo pensiero su ciascuno di noi, e se esso non si realizza, non sarà per colpa di Dio, ma per colpa nostra, perché Egli per sua natura è come obbligato a continuare quanto ha fatto in noi. Il principio della creazione è l’amore e questo amore è eterno, come cantiamo nel grande Hallel. Dio ci ama talmente che, creandoci, lanciandoci per così dire nello spazio e nell’universo, non può più abbandonarci. Egli resta in noi, ha la sua presenza in noi, una presenza d’amore, una presenza con la quale dice che ci ama. Una madre non può abbandonare il figlio: lo ha generato! Dopo averlo partorito, lo ama ancora più di prima, quando lo portava nel grembo. Così è per Dio: Egli ci ha amato e ci ama sempre; ci guida con la sua presenza in noi, ci sostiene con l’amore continuo con il quale ci circonda.
Ecco delle grandi verità semplicissime. Sono così semplici che non ci pensiamo. Noi viviamo nell’aria, la respiriamo, purifica il nostro sangue, ma non ci pensiamo! Noi pensiamo al sasso della strada, alla pioggia che cade, e non pensiamo all’aria che, ad ogni istante, ci vivifica. Così avviene un po’ per l’amore del buon Dio, del quale viviamo spiritualmente. Dio non può lasciarci, non può abbandonarci, perché ci ama. Ancora di più: è in qualche modo obbligato dalla sua natura, da quello che è, dalla sua essenza, a richiamarci a Lui. Egli non può crearci che per Lui, affinché ritorniamo da Lui.
Noi evidentemente non abbiamo preso coscienza dell’atto creatore di Dio che ci ha fatto quel che siamo; abbiamo appena preso coscienza della sua chiamata: talvolta è solo in un secondo tempo che ci rendiamo conto di questa o quella vocazione. Ma ciò di cui dobbiamo renderci conto è del fatto che Egli ci ha fatto per Lui. Non può lasciarci! Come la pallina del bambino attaccata a un elastico: il bimbo la lancia, lei ritorna. O anche come il pallone che il bambino tiene con un filo: lo lancia in aria, l’aria lo...