Alla prova della contemporaneità
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Intellettuali e politica dall'Ottocento a oggi

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Intellettuali e politica dall'Ottocento a oggi

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Otto secoli di vita di una grande università racchiudono senz'altro tesori umani, culturali e sociali che è opportuno e necessario illuminare, raccontare, lasciar rivivere. Soprattutto se questi secoli scorrono in una città relativamente piccola, creando rapporti speciali e storicamente originali. È la doppia vita dell'Università di Padova e dell'Università in Padova, una storia di compenetrazione, non sempre pacifica o scontata, che ben affiora in questo volume dedicato all'età contemporanea, quando l'Ateneo si configura non solo come un centro propulsore per il progresso della conoscenza umanistica e scientifica, ma anche come fucina di pensiero e azione politici. Se in età liberale l'Università è centro generatore di élites professionali e politiche di rango nazionale, nonché uno dei nuclei dell'irredentismo, a ridosso del primo conflitto mondiale essa è fulcro della mobilitazione interventista. Durante la dittatura diviene roccaforte fascista – segnata dall'espulsione di professori, studenti e tecnici falciati dalle leggi razziali – ma anche sentinella antifascista, incarnata nella figura del rettore Concetto Marchesi. E poi, oltre al coinvolgimento di tanti studenti e professori nella Resistenza, il ruolo decisivo dell'Università nella lotta di liberazione del Veneto. Dalla fine degli anni sessanta fino ai primi anni ottanta lo stragismo di estrema destra e il terrorismo del «partito armato» sconvolgono Padova, e l'Università in particolare, che ne diviene una sorta di laboratorio politico; eccezionale è d'altronde la risposta intellettuale, con il grande contributo dato proprio dall'Ateneo patavino alla «comprensione» del fenomeno terroristico italiano. Negli ultimi trent'anni la dimensione scientifica e «intellettuale» riprende nuovamente vigore, nel quadro di una sequenza di trasformazioni economiche, politiche, tecnologiche e culturali che sollecitano enormemente le strutture tradizionali delle università, sospingendo quella di Padova, in prima fila tra i grandi atenei in Italia sul piano della ricerca e della didattica, sulla via di sempre più marcate sfide internazionali.

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Informazioni

Anno
2021
ISBN
9788855222068
Argomento
Storia

VI. Riaprirsi al mondo. Il dopoguerra (1945-1961)

di Adriano Mansi

1. L’Ateneo riprende vita.

All’indomani della riapertura dell’Ateneo dopo la fine del secondo conflitto mondiale, le principali preoccupazioni delle autorità accademiche riguardano il funzionamento delle strutture didattiche e scientifiche, oltre alla valutazione e alla successiva riparazione dei danni materiali sofferti. Il patrimonio edilizio dell’Università non ha subito danni particolarmente gravi, ma un rilevante numero di piccoli guasti diffusi che complicano la ripresa delle attività: la rottura di molti vetri, lo scardinamento di tanti infissi, le infiltrazioni e il generale degrado di strutture che da anni non ricevono la necessaria manutenzione. Una volta superate queste emergenze contingenti, ci si può dedicare all’incremento dell’offerta didattica, con i corsi di laurea che quasi raddoppiano nel giro di vent’anni (da 17 nel 1956 a 30 nel 1968) e la nascita di svariati corsi di specializzazione e di perfezionamento post lauream. All’interno delle singole facoltà si registra il proliferare di numerosi istituti scientifici legati alle nuove cattedre man mano istituite.
Insomma, lasciatasi alle spalle il difficile periodo della guerra, della Resistenza e delle emergenze postbelliche, l’Università di Padova entra in un periodo di grande fermento scientifico e didattico. Ciò va inscritto nel contesto più ampio di stabilizzazione della situazione nazionale e internazionale, con le elezioni dell’aprile 1948 da un lato e l’adesione dell’Italia all’Alleanza atlantica dall’altro: il paese intero una volta superato l’immediato dopoguerra si avvia in un percorso di sviluppo e crescita economica che alla fine degli anni cinquanta darà vita al cosiddetto «miracolo italiano». L’espansione economica e la stabilità politica favoriscono il progresso delle sedi accademiche.
Si tratta comunque di un’università a tutti gli effetti elitaria, con conseguenze rilevanti sulla sua struttura e la sua organizzazione. Il compito dell’istruzione superiore resta quello di formare la classe dirigente del futuro, oltre ovviamente a contribuire al progresso scientifico; perciò, nonostante i cambiamenti che la società italiana inizia a vivere, gli universitari mantengono le caratteristiche numeriche e sociali che hanno avuto nella prima metà del secolo.
Il rettorato di Egidio Meneghetti, eletto all’indomani della riapertura, dura circa due anni perché nel luglio 1947 il corpo accademico sceglie Aldo Ferrabino, filologo e storico dell’antichità, nato in Piemonte nel 1892, vicino alla Democrazia cristiana. Dopo gli anni di accordo tra i partiti del Cln, pure nella gestione accademica si fa una precisa scelta di campo. Ferrabino è a Padova dal 1923 ed è già stato preside di Lettere, che contribuisce a sviluppare nel corso degli anni trenta. Dopo la morte della prima moglie nel 1945 intraprende un percorso spirituale, si fa battezzare e sposa una delle sorelle di Lanfranco Zancan, Paola. Anche sul piano scientifico si sposta verso la teologia.
Da rettore tenta di rafforzare i rapporti con le componenti economiche regionali per garantirsi una maggiore autonomia con ulteriori fonti di finanziamento per l’Ateneo, nella consapevolezza che lo Stato non è in grado di adempiere sempre ai propri compiti, anche per questioni burocratiche. Non è però possibile esprimere un giudizio sull’operato del filologo piemontese poiché il suo rettorato dura ancora meno di quello di Meneghetti. Ferrabino nel 1948 si candida alle elezioni politiche nelle liste della Dc, risultando eletto in Senato. Ciò porta nel giro di un anno alle sue dimissioni dalla carica di rettore e il suo successivo trasferimento all’Università di Roma.
Così, nel 1949, l’Ateneo padovano si trova nuovamente nella condizione di dover scegliere la propria guida, e il corpo accademico si affida a un ingegnere che tiene le redini dell’Università per il ventennio successivo: Guido Ferro. Nativo di Este, svolge tutta la sua carriera di studente e poi di docente nella Facoltà di Ingegneria padovana, contribuendo alla fondazione dell’Istituto di costruzioni marittime e divenendo preside nel 1947. Alla prima elezione ne seguono altre sei consecutive, per un lungo «regno» che risulta omogeneo a quello di alcuni suoi colleghi nelle facoltà scientifiche: Luigi Bucciante a Medicina (1952-73) e Luigi Musajo a Farmacia (1955-74). Questa compattezza, unita alla contemporanea frammentazione di diverse facoltà umanistiche, è uno degli elementi che contribuiscono alla lunga durata del rettorato Ferro (oltre a influire sulla distribuzione dei fondi e dei posti di professore). Di certo, però, incide pure la capacità del Magnifico di ottenere risultati rilevanti in molti ambiti, successi strettamente legati alla sua grande capacità di intessere una fitta rete di relazioni (spesso informali) sia a livello locale che a livello nazionale, sfruttando il suo ruolo accademico, quello professionale, ma anche – e forse soprattutto – gli incarichi burocratico-amministrativi ricevuti a Roma. Membro della I sezione del Consiglio superiore della Pubblica istruzione e del Consiglio superiore dei Lavori pubblici, l’ingegnere estense diventa nel corso degli anni sessanta (1964-68) uno dei primi presidenti della Conferenza permanente dei rettori delle università italiane (Crui), ruolo fondamentale di collegamento tra il mondo accademico e quello politico.
A Padova Ferro può contare su un rapporto privilegiato lungo tutti gli anni cinquanta con il primo cittadino democristiano (alla guida di una giunta centrista) Cesare Crescente, il cui mandato coincide con quello del rettore (1947-70). Questo canale preferenziale di comunicazione garantisce all’Università la possibilità di realizzare una serie di progetti che in seguito si rivelano via via più difficili. Da non sottovalutare pure le buone relazioni con la curia padovana che, sotto la severa guida di monsignor Girolamo Bortignon (1949-82), esercita una grande influenza sulla vita della città.
Sul piano dell’organizzazione universitaria, all’indomani della fine della guerra, con l’eliminazione di alcune norme introdotte dal fascismo l’amministrazione della vita interna torna pienamente nelle mani del rettore e dei (pochi) presidi di facoltà, eletti rispettivamente dall’insieme dei docenti ordinari di tutta l’università e della singola facoltà. Sebbene l’autonomia universitaria sancita dalla Costituzione repubblicana resti in gran parte una norma programmatica, gli organismi accademici hanno la possibilità di stabilire l’utilizzo dei fondi finanziari ricevuti e – soprattutto – le nomine dei colleghi, compito che da sempre stimola lotte tra le facoltà e le singole scuole al loro interno. Si tratta ancora di una gestione oligarchica del potere accademico, poiché le decisioni sono prese da un piccolo gruppo di persone che appartiene al vertice della gerarchia universitaria. Chiunque non sia professore ordinario è del tutto escluso dalla catena decisionale.
Sul piano normativo la situazione rimane stabile fino all’inizio degli anni sessanta. Una volta scrostata dalle più evidenti influenze fasciste, la legislazione scolastica e universitaria torna fondamentalmente quella impostata da Gentile nel 1923 e poi ritoccata dai suoi successori negli anni seguenti. Gli ordinamenti didattici non subiscono modifiche per tutto il primo quindicennio repubblicano, eccezion fatta per alcuni piccoli aggiustamenti in singoli corsi di laurea. Sono quasi assenti voci critiche di questo assetto sia in ambito accademico che in ambito politico, anche perché l’utenza che frequenta le università in questa fase non è diversa da quella cui ci si è abituati dagli anni immediatamente successivi alla prima guerra mondiale. Perciò anche le occasioni di tensione tra il potere accademico e quello politico si riducono al minimo, esattamente il contrario di quanto accadrà nel periodo successivo.
Il quindicennio dopo la fine della seconda guerra mondiale rappresenta per l’Ateneo patavino una fase di grande fermento sotto tutti i punti di vista, non ultimo quello scientifico. Oltre a nuove facoltà e nuovi istituti, nascono pure nuovi centri di studio in vari settori, che lasciano emergere le principali novità nei diversi ambiti scientifici. Di certo in questo contesto svolgono un ruolo significativo singole figure di grande rilievo nazionale e internazionale che lavorano a Padova. Antonio Rostagni, ordinario di fisica generale, diventa alla fine degli anni cinquanta direttore del servizio di ricerca scientifica dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica. Nel periodo precedente istituisce il Centro di studio degli ioni veloci mediante il quale può occuparsi del decadimento beta e delle proprietà degli elettroni nei metalli, oltre a riprendere gli studi dei raggi cosmici avviati da Bruno Rossi prima della guerra. È tra i promotori dei Laboratori di fisica di Legnaro inaugurati nel 1961, che diventano uno dei poli nazionali dell’Infn. Bruno Zanettin, docente di petrografia ed esperto di geodinamica, è impegnato nella parte scientifica della spedizione che porta alla conquista del K2.
Già alla fine degli anni quaranta sono u...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Presentazione di Rosario Rizzuto e Annalisa Oboe
  6. «Un emporio fornitissimo e celeberrimo delle migliori discipline» alla prova della contemporaneità di Carlo Fumian
  7. I. Un difficile approdo (1866-1873) di Giulia Simone
  8. II. Dopo l’unificazione. Correnti scientifiche e classe dirigente (1873-1900) di Giulia Simone
  9. III. La fertile parabola dell’età liberale (1900-1922) di Giulia Simone
  10. IV. Sotto il tallone del fascismo (1922-1943) di Giulia Simone
  11. V. Alla guida della Resistenza veneta (1943-1945) di Giulia Simone
  12. VI. Riaprirsi al mondo. Il dopoguerra (1945-1961) di Adriano Mansi
  13. VII. Da università d’élite a università di massa (1961-1972) di Adriano Mansi
  14. VIII. Il «magistero della violenza». La stagione del terrorismo (1972-1984) di Adriano Mansi
  15. IX. Tra apertura europea e gestione aziendale (1984-2002) di Adriano Mansi
  16. X. L’Università del nuovo millennio (2002-2020) di Adriano Mansi
  17. Ringraziamenti
  18. Bibliografia ragionata
  19. Elenco delle illustrazioni
  20. Gli autori