L'uso della metafora in psicologia: la fiaba
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L'uso della metafora in psicologia: la fiaba

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L'uso della metafora in psicologia: la fiaba

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Per parlare a un bambino è necessario sintonizzarsi col suo linguaggio. L'uso della metafora in psicologia: la fiaba è un manuale rivolto achi si occupa di relazione di aiuto e in cui la fiaba diventa strumento che permette di abbattere la barriera comunicativa con l’adulto, riconoscendo al bambino modalità di espressione più profonde e più immediate.

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Informazioni

Anno
2021
ISBN
9788833468020
Argomento
Psychology
Categoria
Psychotherapy
CAPITOLO 1
La psicoterapia infantile
1.1 Considerazioni preliminari
La psicoterapia è:
«il processo interpersonale, consapevole e pianificato, volto a influenzare disturbi del comportamento e situazioni di sofferenza con mezzi prettamente psicologici, per lo più verbali, ma anche non verbali, in vista di un fine elaborato in comune, che può essere la riduzione dei sintomi o la modificazione della struttura della personalità, per mezzo di tecniche che differiscono per il diverso orientamento teorico a cui si rifanno»1.
Barker dirà che la psicoterapia può essere paragonata a:
«un viaggio attraverso la giungla, nel quale è talvolta impossibile vedere l’obiettivo finale e nel quale non si può controllare, dal punto di partenza, quale strada sia la più breve e facile. […] Un buon modo di procedere è quello di salire su un albero, verificare la strada fino al punto successivo – magari un altro grande albero – e poi ripetere la procedura tante volte quanto è necessario fino a raggiungere l’obiettivo»2.
Se poi, volessimo definire la psicoterapia infantile, Shirk (1988), dice che ci sono almeno tre dimensioni da considerare:
  1. la struttura, cioè il grado in cui l’attività è diretta dal terapeuta o dal bambino;
  2. il mezzo, un continuum di scambi tra bambino e terapeuta che vanno dalla conversazione al gioco;
  3. le funzioni comunicative, un continuum di comunicazioni del terapeuta che variano dalle interpretazioni che analizzano il significato di un comportamento del bambino a comunicazioni che forniscono un’esperienza emotiva correttiva in un ambiente di sostegno3.
Ma, di quale tipo di comunicazione parliamo? Come va inteso il desiderio di aiutare gli altri? Che cosa si fa esattamente quando si pratica psicoterapia e, in particolar modo, psicoterapia infantile?
Se è vero che ricerche di processo (Goldfried, 2004) hanno consentito di individuare fattori comuni ai processi terapeutici quali, una forte giustificazione teorica della terapia, le attese del terapeuta sul cambiamento del paziente e una forte relazione terapeutica (Wampold, 2001)4, secondo Schnider (1990), la psicologia oggi, si trova di fronte ad un bivio critico.
Uno dei problemi di questa disciplina, che riguarda anche la psicoterapia infantile, è una tendenza centrifuga che dà origine a specializzazioni distinte, frammentarie e auto-limitanti. I terapeuti infantili pensano di dover aiutare i loro pazienti bambini utilizzando un solo modello teorico, quello che hanno acquisito nel corso della loro specializzazione; hanno come punto di riferimento modelli diversi e divisi tra loro da quelli psicodinamici a quelli cognitivi, comportamentali e cognitivo-comportamentali e lavorano con uno solo di questi indirizzi (Schacht, 1984)5.
Infatti, «sebbene siano attualmente usate 230 forme di terapia con i bambini, gli approcci dominanti sono solo tre: quello cognitivo, quello comportamentale e quello psicodinamico. Queste scuole sono quasi sempre isolate e ciascuna difende le proprie posizioni ignorando o rifiutando quelle degli altri»6.
Ma, l’attenzione all’infanzia, è frutto di molti fermenti e si è consolidata con lo sviluppo delle nuove scienze (psicologia, psichiatria, pediatria, pedagogia). Non è stata un’attenzione “liberamente fluttuante”: nasce dalla necessità di “far chiaro” su problemi che riguardavano innanzitutto l’adulto, le contraddizioni della sua anima, il suo rapporto troppo spesso disadattivo con la società7.
«Le ricerche sulle competenze interattive del bambino con un’attenzione alle fasi sempre più precoci dello sviluppo, i lavori sull’intersoggettività, le attuali conoscenze sul cervello e la scoperta dei neuroni specchio, gli studi di matrice evoluzionistica delle disposizioni motivazionali alle diverse forme di relazione, lo studio accurato dei contesti evolutivi e gli studi longitudinali sullo sviluppo (Sroufe, 1989; Grossmann, Grossmann, Waters, 2005) hanno prodotto, infatti un sistema integrato di conoscenze che fornisce una nuova definizione dei processi di sviluppo e costituisce un elemento imprescindibile per la comprensione del disagio psichico nell’infanzia e per la strutturazione di interventi clinici specifici»8.
Marcelli (1999) afferma che le scelte terapeutiche sono complesse, soprattutto se parliamo di bambini. Vanno, infatti, considerati sia le molteplici tecniche terapeutiche che i quadri istituzionali esistenti, nonché le teorie etiopatogenetiche sottostanti9. Allora, sarebbe anacronistico pensare a una separazione netta tra “scuole di pensiero”.
Oggi non possiamo prescindere dalle attuali conoscenze dello sviluppo. Esse costituiscono la base che rende possibile il dialogo e la collaborazione fra i teorici e i clinici dei differenti approcci. «Mantenendo le proprie specificità, ogni orientamento tende ad approfondire lo studio di alcuni aspetti e a privilegiare alcune priorità cliniche»10.
Gli studi più recenti, infatti, hanno dimostrato su più fronti, la stretta connessione fra dimensioni emotive, relazionali, cognitive e sociali. Esse, sia nei processi evolutivi tipici che atipici, coinvolgono tutti gli ambiti dello sviluppo, da quello intrapsichico a quello interpersonale e ambientale.
Secondo l’ottica psicodinamica di Spiegel (1989), l’obiettivo dell’intervento sui bambini è quello di accrescerne l’autostima, aiutandoli a vedere se stessi o gli altri più realisticamente e a diventare consapevoli dei propri sentimenti.
La psicoanalisi, attenta alla dimensione intrapsichica dell’esperienza e all’analisi del mondo interno dell’individuo, si apre oggi alla considerazione degli aspetti “reali e osservabili” dei comportamenti e delle relazioni.
Di orientamento cognitivo-comportamentale, Kendall e Braswell (1985), affermano che lo scopo della terapia infantile «è insegnare al bambino a frenare l’impulso, ad esaminare a livello cognitivo le varie alternative comportamentali prima di agire” ed “insegnare i processi di pensiero»11. Tale orientamento non può fare a meno, attualmente, di considerare la matrice relazionale dello sviluppo e di alcuni processi cognitivi.
Anche l’approccio sistemico familiare si apre ai contributi teorici e di ricerca della teoria dell’attaccamento e dell’intersoggettività.
Santo Stefano (2002) afferma che se da un lato, è possibile individuare aspetti di somiglianza fra la psicote...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. CAPITOLO 1
  3. CAPITOLO 2
  4. CAPITOLO 3
  5. CAPITOLO 4
  6. CAPITOLO 5
  7. Conclusioni
  8. Allegati