EDIPO GOTICO
SOGGETTIVITÀ E CAPITALISMO IN BATMAN BEGINS DI CHRISTOPHER NOLAN
Batman ha dato un considerevole contributo all’«oscurità» che incombe sulla cultura contemporanea come un pittoresco drappo funebre. Il termine «oscuro» segnala allo stesso tempo uno stile estetico altamente redditizio e un atteggiamento etico, o meglio anti-etico, una sorta di nichilismo griffato che ha come principale posizione teorica la negazione della possibilità del Bene. Gotham, in particolare nella versione reinventata da Frank Miller negli anni Ottanta, è insieme allo Sprawl di William Gibson e alla Los Angeles di Ridley Scott una delle principali sorgenti geo-mitiche di tale tendenza.
L’eredità di Miller nel campo dei fumetti è stata, a voler essere generosi, ambivalente. Va ricordato che la sua ascesa ha coinciso con una fase in cui i fumetti erano ormai quasi del tutto incapaci di inventare nuovi supereroi dotati di risonanza mitica. La «maturità» per la quale Miller è stato osannato corrisponde a un’adolescenza depressa e introspettiva dei fumetti, in cui, come per tutti gli adolescenti, l’esuberanza è il peccato peggiore. Da qui il tipico stile deflattivo e taciturno: pensate a tutte le sue sontuose pagine prive di dialoghi in cui non accade quasi nulla, e mettetele a confronto con la dissennata effervescenza del tipico fumetto Marvel degli anni Sessanta. Le pagine di Miller hanno l’assorto silenzio di un ragazzino imbronciato di quindici anni. Non ci sono dubbi: il silenzio significa.
Miller ha sfruttato il desiderio ipocrita degli adolescenti maschi di leggere i fumetti e sentirsi al tempo stesso superiori a loro. La sua smitizzazione però produce inevitabilmente una nuova mitologia, che si presenta in apparenza più sofisticata di quella che ha sostituito, ma che in realtà offre un mondo prevedibilissimo di «ambivalenza morale» in cui «esistono solo sfumature di grigio». Ci sono varie ragioni per essere scettici del tentativo di Miller di introdurre nel fumetto la tetraggine nichilista da noir «light» che ha costituito a lungo un cliché di libri e film. L’«oscurità» della sua visione è in realtà curiosamente rassicurante e tranquillizzante, e non solo a causa della presenza di un sentimentalismo inestirpabile (il mondo «duro» di Miller a me non ricorda tanto il noir, quanto la simulazione del noir in The Singing Detective di Dennis Potter, le fantasie/sogni a occhi aperti di un giornalista di serie C pieno di misoginia e misantropia e gonfio di disprezzo di sé).
Non sorprende che il realismo di Miller sia salito alla ribalta del fumetto nell’epoca in cui la reaganomics e il thatcherismo si presentavano come l’unica soluzione pratica ai mali dell’America e della Gran Bretagna. Reagan e Thatcher sostenevano di averci «liberati dalle “astrazioni mortali” generate dalle “ideologie”» del passato. Di averci risvegliato dai sogni fallaci e pericolosamente illusori di collettività, e rifamiliarizzati con la «verità essenziale» che gli esseri umani sono motivati soltanto dai loro interessi animali.
Tutte queste asserzioni appartengono a una struttura ideologica implicita che possiamo definire realismo capitalista. Sulla base di una serie di presupposti (gli esseri umani sono irrimediabili egoisti, la Giustizia sociale è un’utopia), il realismo capitalista proietta intorno a sé una visione di ciò che è «Possibile».
Per Alain Badiou la nuova egemonia di questa possibilità intesa in senso ristretto va interpretata come un periodo di «Restaurazione». Come dichiara in un’intervista concessa alla rivista Cabinet, «in Francia con Restaurazione si intende il periodo del ritorno del re nel 1815, dopo la Rivoluzione Francese e Napoleone. Oggi viviamo un periodo analogo. Consideriamo il capitalismo liberale e il suo sistema politico, il parlamentarismo, le uniche soluzioni naturali e accettabili». Secondo Badiou, la difesa ideologica di queste configurazioni politiche si manifesta sotto forma di una riduzione delle aspettative:
Viviamo una contraddizione: una situazione brutale, profondamente disegualitaria – in cui tutta l’esistenza è valutata in termini puramente monetari – ci viene presentata come ideale. Per giustificare il proprio conservatorismo, però, i partigiani dell’ordine costituito non possono più definirlo ideale o meraviglioso. Perciò hanno deciso di dichiarare che tutto il resto è spaventoso. Certo, dicono, forse non viviamo in una situazione ideale di Bene assoluto. Ma siamo fortunati perché non viviamo neanche in una condizione di Male. La nostra democrazia non è perfetta. Ma è meglio delle dittature feroci. Il capitalismo è ingiusto. Ma non è criminale come lo stalinismo. Lasciamo che milioni di africani muoiano di Aids, ma non lanciamo proclami razzisti di tipo nazionalistico come Miloševic´. Mandiamo i nostri aerei a bombardare gli iracheni, ma non tagliamo loro la gola con un machete come succede in Ruanda, eccetera eccetera.
Il capitalismo e la democrazia liberale sono «ideali» precisamente nel senso che costituiscono «il massimo che ci si possa aspettare», vale dire il meno peggio. Questa visione è in sintonia con la rappresentazione dell’eroe di Miller nel Ritorno del cavaliere oscuro e in Batman Anno Uno. Batman forse è anche autoritario, violento e sadico, ma in un mondo di corruzione endemica rappresenta il male minore (anzi, in condizioni di diffusa disonestà tratti di questo tipo possono rivelarsi necessari). Esattamente come suggerisce Badiou, nella Gotham di Miller non è più possibile immaginare l’esistenza del Bene. Il Bene non ha più nessuna presenza positiva: l’unico Bene è definito in riferimento al Male lampante che esso non è. Il Bene, cioè, è l’assenza di un Male la cui esistenza è invece data per scontata.
Il fascino di Batman Begins, la nuova versione cinematografica di Batman diretta da Christopher Nolan, sta nel parziale ritorno del problema del Bene. Il film appartiene ancora alla fase di «Restaurazione», nel senso che è incapace di concepire un possibile al di là del mondo capitalista: come vedremo, Batman Begins demonizza una specifica modalità di capitalismo (il capitalismo finanziario postfordista), non il capitalismo in sé e per sé. Ma il film lascia aperta una possibilità di azione che è invece preclusa dal realismo capitalista.
La rivisitazione di Batman realizzata da Nolan non è una reinvenzione, ma una rivendicazione del mito, una grandiosa sincresi fondata sull’intera storia del personaggio. Con nostro sommo piacere, quindi, Batman Begins non parla di «sfumature di grigio», ma di differenti versioni del Bene in competizione tra loro. In Batman Begins il Bruce Wayne di Christian Bale è ossessionato da una sovrabbondanza di padri (e dalla quasi totale assenza di madri: la madre quasi non apre bocca), ciascuno dei quali offre una sua personale interpretazione del Bene. Prima di tutto c’è Thomas Wayne, il padre biologico, un personaggio di sfondo tinto di rosa che funge da pietra di paragone morale, l’incarnazione del capitalismo filantropico, l’«uomo che ha costruito Gotham». In linea con il mito di Batman inventato negli anni Trenta dalla serie «Detective Comics», Wayne padre è ucciso nel corso di una rapina in strada, e sopravvive solo come spettro che perseguita la coscienza del figlio orfano. In secondo luogo c’è R’as Al Ghul, che nel film di Nolan ricopre il ruolo di mentore-guru iperstizionale, una figura terroristica che incarna uno spietato codice etico diametralmente opposto al benevolo paternalismo di Thomas Wayne. Nella lotta tra le due figure paterne (combattuta nella sua psiche) Bruce è coadiuvato da una terza figura, l’Alfred di Michael Caine, il maggiordomo «materno» che offre al giovane Bruce amore incondizionato.
La lotta tra Padri diventa anche un conflitto tra Paura e Giustizia che è stata parte integrante del mito di Batman fin dalla sua comparsa nel 1939. In Batman Begins, la sfida per Bruce Wayne non è semplicemente quella di prevalere sulla Paura, qui incarnata dai personaggi milleriani del boss Falcone e di uno Spaventapasseri munito di «armi allucinogene», ma anche di identificare la giustizia, che, come il giovane Wayne apprende, non può coincidere con la vendetta.
Il mito di Batman si è concentrato fin dall’inizio sul tentativo di mettere la Paura Gotica a servizio della Giustizia eroica. In un’eco della storia delle origini narrata da «Detective Comics» nel 1939, dove Bruce pronuncia la celebre frase in cui dichiara che «i criminali sono un branco di codardi e superstiziosi, perciò il mio travestimento dovrà incutere terrore ai loro cuori», il Wayne di Nolan si dedica a volgere la paura contro coloro che la creano. Nella versione di Nolan, però, la vicenda delle origini si rivela più edipica e al tempo stesso più antiedipica della versione primitiva del fumetto. Nel fumetto Bruce adotta il nome «Batman» dopo che un pipistrello irrompe nella sua stanza. La resa di Nolan di questa scena originaria è sensibilmente diversa, perché si svolge fuori della casa di famiglia e oltre il dominio dell’edipico, in una caverna che si trova nell’ampio territorio di Villa Wayne, e vede l’intervento non di un’unica creatura notturna, ma di un intero stormo (deleuziano) di pipistrelli. Il nome «Batman», con tutte le sue suggestioni di divenire-animale, contiene in effetti un’eco deleuze-guattariana. E neppure casuale è l’affinità tra il nome dell’eroe e quello di alcuni casi celebri discussi da Freud (specialmente l’«uomo dei topi», ma anche l’«uomo dei lupi»). Batman resta una figura assolutamente edipica, e Batman Begins lo conferma appieno. Il film collega divenire-animale e dimensione edipica facendo apparire il terrore dei pipistrelli di Bruce come causa parziale della morte dei genitori. Il giovane Bruce si trovava in un teatro d’opera, quando la vista di figure simili a pipistrelli sul palco lo ha spinto a chiedere ai genitori di andare via da teatro, dopodiché questi sono stati uccisi.
Gli elementi Gotici e Edipici si intrecciano sin dall’inizio nel mito di Batman, fino dalle due pagine di «Detective Comics» che narrano per la prima volta l’origine del personaggio. Come nota Kim Newman, il momento di rivelazione epifanica in cui Wayne dichiara: «Voglio diventare una terribile creatura della notte... diventerò un PIPISTRELLO... una figura notturna soprannaturale», contiene riferimenti «subliminali» sia a Dracula («creature della notte, quale dolcissima musica intonano») che al Gabinetto del dottor Caligari («Tu diverrai Caligari»). A queste tre vignette ne seguono altre tre nella parte alta della pagina, dove un Bruce terrorizzato vede i corpi senza vita dei genitori («Papà, mamma [...] Morti, sono morti») e giura sulla loro morte di «vendicarli dedicando il resto della vita a combattere tutti i criminali». Batman è consapevolmente immaginato (e autocreato) come mostro gotico, «figura soprannaturale dell’oscurità», che però userà «la notte» per combattere i criminali che di solito vi si nascondono.
Se Batman è pesantemente indebitato con l’espressionismo tedesco (passando per i film horror Universal), altrettanto si può dire del film noir, che come l’eroe incappucciato emerge tra fine anni Trenta e inizio anni Quaranta (come già detto, la versione di Batman realizzata da Miller può essere considerata sotto molti aspetti un’esplorazione postmoderna di tale parallelismo). Alcune osservazioni di Alenka Zupančič suggeriscono una possibile sorgente occulta di complicità tra Batman e noir: ancora Edipo. «In contrasto con Amleto», scrive Zupančič,
si è spesso detto che la storia di Edipo appartiene al genere «giallo». Alcuni si sono spinti anche più in là, e hanno visto in Edipo Re il prototipo del genere «noir». Motivo per cui Edipo Re è apparso in una «serie noir» dell’editore Gallimard («tradotto dal mito» da Didier Lamaison).
Batman, il supereroe-detective, ripercorre i passi del primo detective della storia, Edipo.
Alla fine, in ogni caso, il problema di Batman resta quello di un Edipo che non ha sperimentato il complesso di Edipo. Come osserva Zupančič, il complesso di Edipo ruota intorno al contrasto tra padre simbolico e padre empirico: il Padre Simbolico è l’incarnazione dell’ordine simbolico, solenne vettore del Significato e portatore della Legge; il padre empirico è il «semplice padre, più o meno rispettabile». Per Zupančič la rappresentazione standard della «genesi tipica della soggettività» immagina il bambino che innanzitutto incontra il padre simbolico, e poi apprende che quella potente figura è il «semplice padre, più o meno rispettabile». Invece, secondo la studiosa, una simile tra...