Mathieu Duchâtel*
Il punto debole nella corsa ai semiconduttori
Gli Stati Uniti hanno individuato un fattore di debolezza cinese nel cruciale settore tecnologico dei semiconduttori: come Trump, anche Biden lo sfrutterà per colpire Pechino. Dal design al packaging, le catene produttive sono lunghe e complesse, e poche aziende occidentali occupano tuttora le posizioni dominanti. La Cina sconta anche una relativa inefficienza interna nell’allocazione delle risorse. Da parte sua, l’Europa deve puntare sulle proprie importanti eccellenze – più che su un’irrealistica autonomia – e dialogare con gli Stati Uniti per un migliore coordinamento.
Nel 2019 la Cina ha importato semiconduttori per 304 miliardi di dollari: più del petrolio e dell’import complessivo dall’Unione Europea, suo maggior partner commerciale1. L’industria cinese dei circuiti integrati è forte e in rapida crescita, trainata dal primato nazionale nella fabbricazione di prodotti elettronici, dall’enorme mercato interno e dal costante sostegno statale, ma resta indietro ai leader mondiali del settore in tutti i segmenti della filiera produttiva. Inoltre, solo il 15,7% dei semiconduttori utilizzati in Cina nel 2019 era stato prodotto nel paese2. Il mercato più grande al mondo dei semiconduttori e dei circuiti integrati dipende dai fornitori stranieri non solo per i processori finiti e per altri circuiti, ma anche per forniture e software essenziali in ogni fase della filiera, dalla progettazione alla produzione, fino all’imballaggio.
L’interdipendenza è stata a lungo vantaggiosa per la Cina, alimentando la rapida crescita della sua industria microelettronica. Huawei, attraverso la sua sussidiaria HiSilicon, ha potuto progettare e realizzare circuiti per smartphone di ultima generazione e impianti 5G in virtù del libero accesso alla filiera di approvvigionamento globale.
Quest’età dell’oro potrebbe essere gli sgoccioli. Con Trump gli Stati Uniti hanno identificato nei semiconduttori una grande vulnerabilità della Cina e ne hanno sfruttato la dipendenza dalla tecnologia straniera. In particolare, hanno limitato il loro export di microelettronica a fini militari, prendendo di mira i destinatari della stessa. Negli ultimi due anni l’industria dei semiconduttori è divenuta così uno dei principali terreni di scontro tra Stati Uniti e Cina. Le restrizioni all’export statunitense, inizialmente concentrate su Huawei e sui suoi più stretti affiliati, si sono gradualmente allargate ad altri fruitori cinesi della microelettronica d’importazione, compresa la stessa industria dei semiconduttori. I primi indizi suggeriscono che Biden proseguirà nel solco tracciato dal suo predecessore, ribadendo e magari inasprendo ulteriormente l’approccio restrittivo.
Tutto ciò ha messo in allarme Pechino. Prima dell’offensiva di Trump, la Cina aveva fissato obiettivi ambiziosi (forse troppo) per la sua industria dei semiconduttori. Il piano “Made in China 2025”, formulato nel 2015, mirava a produrre in patria il 40% dei semiconduttori usati dal paese entro il 2020 e il 70% entro il 2025. Ora questi obiettivi di autosufficienza sono stati ulteriormente alzati: il quinto plenum del diciannovesimo Comitato centrale – il principale organismo decisionale del paese, che ha approvato le linee del Piano quinquennale 2021-2026 e gli obiettivi strategici nazionali per il 2035 – ha decretato che “l’autonomia scientifica e tecnologica è il pilastro della strategia di sviluppo cinese”3.
Ma affinché la strategia cinese di “sviluppo guidato dall’innovazione” possa avere successo, recuperare terreno nel campo dei semiconduttori è essenziale. Quella dei semiconduttori è un’industria chiave che merita particolare attenzione da parte dei governi impegnati nella competizione tecnologica, perché è il motore della rivoluzione attualmente in corso nel campo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT). I semiconduttori sono centrali in tutti i settori industriali dove la Cina punta a diventare un leader globale, da quello militare all’economia digitale legata al 5G: intelligenza artificiale, cloud computing e Internet delle Cose. Se il paese resterà vulnerabile ai controlli sul trasferimento di tecnologia straniera verso la sua industria dei semiconduttori, vedrà allontanarsi gli obiettivi enunciati da Xi Jinping al XIX Congresso nazionale del Partito comunista cinese (PCC) del 2017: rendere entro il 2050 la Cina una potenza globale, tecnologicamente innovativa e con un esercito di prim’ordine4.
Oggi nessun’altra industria cinese mostra un divario maggiore tra obiettivi e stato dell’arte. I semiconduttori sono la miglior dimostrazione di quanto affermato da Xi Jinping nel 2016 sul fatto che “la dipendenza da tecnologie chiave è il maggior pericolo occulto per noi”5. Il problema cinese dei semiconduttori può essere paragonato solo alle persistenti difficoltà che il paese incontra nel progettare e fabbricare da sé motori per la propria industria aeronautica, civile e militare. Ciò contrasta fortemente con gli spettacolari progressi compiuti in molti altri settori ad alta intensità tecnologica, come il programma spaziale, l’energia nucleare o l’alta velocità ferroviaria.
LA SUPPLY CHAIN GLOBALE: INTERDIPENDENZA E COLLI DI BOTTIGLIA. Il termine “semiconduttore” indica un materiale le cui proprietà di conduzione elettrica sono alla base dell’elettronica. È usato per designare circuiti integrati realizzati assemblando transistor stampati su wafer di silicio, germanio o arseniuro di gallio. Dal primo circuito integrato della Texas Instruments, nel 1958, l’industria dei semiconduttori è divenuta globale, concentrata, specializzata, interdipendente e trainata da colossali investimenti in ricerca e sviluppo. I suoi attuali fulcri sono gli Stati Uniti, la Cina, la Corea del Sud, Taiwan, il Giappone e l’Europa occidentale; la sua struttura si articola in complesse catene del valore che collegano numerosi soggetti ai rispettivi subappaltatori. Il settore produce due tipi principali di circuiti integrati: processori (logici e analogici, come le unità d’elaborazione grafiche e dei computer) e memorie.
Per comprendere gli sforzi cinesi occorre illustrare il processo produttivo6, suddiviso in tre fasi principali: progettazione, produzione e assemblaggio, test e imballaggio. Solo pochi giganti del settore, i cosiddetti produttori integrati, realizzano al loro interno tutte e tre le fasi. Si tratta di realtà come Intel, Samsung, SK Hynix e Micron Technology. L’Europa conta tre produttori tra i primi venti: Infineon, NXP e STMicroelectronics.
Il processo comincia con la progettazione, detta in gergo “fabless”: cioè, la progettazione da parte di aziende che mancano (less) di una fabbrica (fab) fisica, in quanto la produzione è realizzata altrove. (È anche un gioco di parole sull’inglese fabulous – favoloso.) Il fabless vale circa il 38,5% del volume globale di vendite dei circuiti integrati. Questo modello spiega perché gli Stati Uniti dominino il segmento a più alto valore aggiunto dell’industria dei semiconduttori con il 47% del valore, sebbene nessuno stabilimento americano sia oggi in grado di produrre circuiti di ultima generazione7.
Il primato statunitense è accentuato dal fatto che nel concepire nuovi circuiti, le aziende fabless dipendono da quattro imprese di software avanzati: tre americane (Cadence, Synopsis, Ansys) e una tedesca (Siemens EDA, già Mentor Graphics, acquistata da Siemens nel 2017 ma la cui proprietà intellettuale resta essenzialmente statunitense). Questi giganti dominano il 90% del mercato globale dei software per la progettazione e produzione dei circuiti integrati, la cui realizzazione diventa sempre più complessa e tecnologicamente avanzata.
Una volta progettati i semiconduttori, la loro fabbricazione è appaltata alle fonderie. Quelle più avanzate sono ad alta intensità di capitale, il che spiega l’elevata concentrazione del segmento a livello globale. Le fonderie pure-play (prive cioè di capacità di progettazione) e i produttori integrati condividono un mercato dominato dal gigante Taiwan Semiconductor Manufacturing Corporation (TSMC), pioniere del modello fabless-fonderia. Il suo solo concorrente di pari taglia è la sudcoreana Samsung. La fascia alta del settore, insomma, è un duopolio e questo ha notevoli implicazioni per l’economia digitale, che fa affidamento molto più di altri comparti sulla progressiva miniaturizzazione dei circuiti integrati.
Le fonderie richiedono inoltre apparecchiature altamente specializzate, la cui industria è dominata da tre aziende americane – Applied Materials, Lam Research e Kla-Tencor – e una europea, l’olandese ASML. Quest’ultima ha il monopolio della litografia ultravioletta estrema, necessaria a stampare i nodi dai 7 nanometri in giù e dunque essenziale per raggiungere l’obiettivo dei 2-3 nanometri, che rappresenta la frontiera attuale8. Un singolo macchinario di ASML costa circa 250 milioni di dollari e gli unici a usarli oggi sono Samsung e TSMC.
L’ultima parte del processo vede coinvolte le aziende di assemblaggio, test e imballaggio, che generano circa il 6% del valore aggiunto del comparto. Quest’industria da 30 miliardi di dollari è dominata da imprese taiwanesi (ASE, SPIL, Powertech) e cinesi (JCET Group, Tongfu Microelectronics, Tianshui Huatian Technology) e da un gruppo americano, Amkor Technology. È un segmento a minore intensità di tecnologia e capitali rispetto ai precedenti, il che spiega perché sia stato il primo a essere delocalizzato in Estremo Oriente già negli anni Sessanta. Tale passaggio è stato decisivo per l’emergere di un’industria dei semiconduttori a Taiwan, ma anche per lo sviluppo del settore in Cina9.
Questa descrizione schematica evidenzia la complessa e intricata interdipendenza che caratterizza la catena del valore nell’industria dei circuiti integrati, il cui successo si deve soprattutto alla divisione del lavoro e alla specializzazione, che hanno consentito di aumentare molto la qualità dei prodotti a costi sempre minori. La creazione di un nuovo processore implica uno scambio continuo tra ideatori, progettisti di software, fabbricanti di macchinari e fonderie, in un complesso iter d’innovazione che riposa sulla forza di tutti i soggetti coinvolti. La corsa alla miniaturizzazione dei processori, infatti, è anche una corsa ad aggiornare i software e i macchinari che ne consentono la fabbricazione. Ne consegue che la catena del valore è anche una catena di fiducia: le aziende che si occupano di testare i prodotti, ad esempio, hanno pieno accesso alla proprietà intellettuale di uno specifico circuito integrato, il che crea tra l’altro nicchie specifiche per forme ottimali di assemblaggio, test e imballaggio.
La tecnologia di punta dei circuiti integrati ha applicazioni puramente digitali nei computer, nell’elettronica portatile e nelle telecomunicazioni. Nei prossimi cinque anni nodi da cinque, tre e due nanometri integreranno i processori di nuova generazione, i centri dati del cloud computing (comprese le applicazioni che fanno uso dell’intelligenza artificiale), i server e gli smartphone di fascia alta.
Questo è di gran lunga il segmento di mercato a più alto valore aggiunto, in quanto il costo di produzione dei relativi processori cresce in misura proporzionale alle prestazioni e ai requisiti di dissipazione energetica. Ecco perché Intel, pur non avendo fonderie in grado di fabbricare nodi inferiori ai 7 nanometri, domina il mercato dei server. Insomma: l’industria che produce l’hardware dell’ICT è un potente volano di modernizzazione dei circuiti integrati. Oltre ai computer e agli smartphone, infatti, server, fornitori di servizi cloud e “fabbricanti” di criptovalute alimentano la domanda di processori grafici e computazionali. In prospettiva, lo sviluppo del 5G, dei supercomputer, dell’intelligenza artificiale e del connesso machine learning (l’apprendimento autonomo delle macchine), oltre ai continui sviluppi del settore automobilistico (elettrificazione, guida autonoma e così via), manterranno i semiconduttori al centro della competizione economica globale, e dunque della rivalità tra potenze.
TSMC e Samsung hanno tutti i requisiti per trarre il massimo vantaggio dalla nuova rivoluzione digitale in corso, perché l’economia digitale globale dipende dalle loro fonderie avanzate. In pratica, però, il mondo dipende da TSMC molto più che da Samsung, perché quest’ultima – in quanto conglomerato industriale che sforna prodotti finiti – assorbe il grosso della propria offerta di circuiti integrati.
Le passate generazioni di semiconduttori continuano a trovare numero...