Dentro e fuori lo stato di Milano:
prospettive di lungo periodo su casi cittadini
Carlo Baja Guarienti
Dalla bottega al castello. Trasformazione delle élite cittadine a Reggio fra XIV e XVI secolo
1. I termini della questione
Le pagine che seguono tentano di esaminare i meccanismi di affermazione della classe dirigente nella città di Reggio fra la seconda metà del XIV secolo e la prima metà del XVI: una classe formata da famiglie di provenienza mercantile e professionale che, nel giro di poche generazioni o talvolta in oltre un secolo e mezzo, percorrono l’intero cammino di ascesa dall’inurbamento all’ingresso nei ranghi della nobiltà.
Occorre dunque, innanzitutto, dare ragione dei limiti cronologici scelti per l’indagine.
Nell’introduzione al volume La mobilità sociale nel medioevo Sandro Carocci ha ribadito sulla scorta di una storiografia consolidata l’importanza della Peste Nera del 1348-1349 come spartiacque: la pandemia, causando un crollo della popolazione e l’estinzione di intere famiglie, ha rimescolato le carte della demografia e dell’economia aprendo spazi di mobilità in molti contesti europei.
Diversamente da quanto accade in altre realtà della penisola, a Reggio – come si vedrà – nel Trecento la partecipazione ai Consigli cittadini è sostanzialmente preclusa ai milites, che allo stesso tempo vedono restringersi gli spazi di manovra sia sullo scenario cittadino sia nella dialettica fra città e castelli del contado. Una dinamica, questa, che appare già avviata nella seconda metà del XIV secolo, ma – dopo una sostanziale continuità fra età gonzaghesca e viscontea – si accentua con la dedizione agli Este nel 1409.
Per questi motivi si è scelto di porre il punto di partenza dell’indagine al 1371, inizio della dominazione viscontea, quando, metabolizzati in un ventennio gli effetti immediati della Peste Nera, la città vive la sua penultima stagione di instabilità politica prima di entrare nell’orbita estense; il secondo limite cronologico dell’indagine è posto intorno alla metà del XVI secolo, quando la breve parentesi della dominazione papale (1512-1523) è ormai archiviata e le famiglie dell’élite cittadina – anche le più irrequiete – sono rientrate nei ranghi.
Dato questo arco cronologico, l’indagine parte dal già citato arretramento dei milites – studiato in profondità da Andrea Gamberini – per seguire l’avanzata di una nuova élite attraverso due casi in particolare: quelli delle famiglie che all’inizio del XVI secolo si porranno alla guida delle fazioni, i ghibellini Scaioli e i guelfi Bebbi. Durante l’indagine, tuttavia, si vedranno più in breve anche i percorsi di altre famiglie.
Nell’esaminare le parabole ascendenti di alcune famiglie (cui corrispondono, seppure asimmetricamente, le parabole discendenti di altre) si è subito reso evidente come l’equazione fra successo economico e promozione sociale fornisse una lettura limitata del fenomeno. Per questo le pagine che seguono tengono conto, per le famiglie oggetto dell’indagine e per i loro membri di spicco, di tutti i principali indicatori di mutazione «nella gerarchia delle disuguaglianze economiche, nel panorama della considerazione e del prestigio, nelle forme della partecipazione politica, e in ogni altro elemento rilevante» nello spazio sociale di riferimento prestando attenzione ai diversi «capitali» acquisiti dai protagonisti: quello economico, quello culturale, quello sociale, quello simbolico. Tutto questo tenendo presente che, nel caso in esame, l’obiettivo finale sotteso al movimento ascendente sembra essere proprio l’uscita dal ceto di provenienza e il passaggio a quello superiore con una completa adesione all’ideologia di quest’ultimo e un relativo atteggiamento mimetico.
Nelle conclusioni si tenterà, sulla base dei dati raccolti, di tracciare un quadro sinottico delle strategie di affermazione e di individuare i canali e i principali marcatori della mobilità sociale.
2. L’arretramento dei milites
Nel 1371 le truppe del condottiero tedesco Lucio Lando, assoldato da Niccolò II d’Este, assaltano Reggio saccheggiandola per settimane. Alla loro partenza i soldati di Feltrino Gonzaga, rimasti asserragliati nella cittadella, restituiscono la città a Bernabò Visconti – signore di Milano e vicario imperiale – che l’aveva infeudata agli stessi Gonzaga nel 1358; il prezzo della restituzione di Reggio, devastata dalle truppe del Lando, è di 50.000 fiorini d’oro.
Nel prendere possesso della città, i Visconti si trovano subito a dover fronteggiare una situazione diversa da quella di molte altre aree del loro dominio: il territorio reggiano è frammentato in un mosaico di piccole signorie impegnate nel mantenimento di un margine di libertà maggiore possibile – tanto rispetto alla città quanto nei confronti del principe – tramite un attento gioco di negoziazioni. Caso esemplare è quello dei Fogliani che, strettamente legati ai marchesi di Ferrara all’inizio della dominazione viscontea, rinegoziano presto il proprio rapporto con i nuovi signori in un’alternanza di ostilità, alleanze suggellate da matrimoni e richieste di aiuto contro i pericolosi giuramenti prestati dagli abitanti dei castelli alle autorità della città.
Le stesse famiglie che dominano il contado cercano di esercitare anche in città un peso politico. Se gli uffici pubblici e i Consigli sono già concretamente preclusi ai membri del ceto nobiliare – una prassi, questa, consolidata ancorché non sancita da alcuna norma statutaria – lignaggi come i Canossa e i Sessi non rinunciano a esercitare forme di controllo sulla politica cittadina: grazie a una presenza tangibile nell’esagono (palazzi, affari, benefici) la nobiltà riesce ancora a influenzare gli orientamenti politici comunitari e in alcuni casi ad assicurarsi posizioni di grande potere e prestigio (come accade per i Sessi, che alla fine del Trecento riescono a conquistare per due volte di seguito il seggio vescovile). Inoltre, per le «squadre», gruppi di natura fra il politico e il clientelare facenti capo a membri della nobiltà, transitano inesorabilmente le famiglie di estrazione popolare intenzionate a giocare un ruolo nell’agone politico.
Nonostante questo sforzo per tenere le posizioni, tuttavia, si è già avviato il processo che gradualmente porterà a un forte ridimensionamento del peso dei signori del contado. Il fenomeno assume una fisionomia riconoscibile già all’avvento della signoria estense: fra i capitoli redatti dagli Anziani nel 1409 in occasione della dedizione a Niccolò III, infatti, compaiono richieste – come il divieto di usare i segni e le parole distintive dell’appartenenza a una parte – chiaramente indirizzate a limitare il potere nobiliare.
Di fronte a questa pressione, le reazioni dei milites sono di varia natura: alcuni (come i Dalli) si ritirano progressivamente fino a scomparire, altri (come i Gonzaga o i da Correggio) spostano drasticamente il baricentro della propria politica sulle piccole corti di cui sono signori e si accontentano di rimanere sulla scena cittadina come referenti politici esterni facendosi garanti di paci, dando alloggio ai banditi e prestandosi come mediatori nei conflitti. Altri ancora puntano a mantenere almeno in parte le proprie pedine sullo scacchiere: è il caso – in realtà quasi isolato – dei Canossa, che talvolta ricoprono ruoli nella compagine di governo comunale e si ritagliano spazi di autonomia oggetto di continue negoziazioni (si veda il periodico rifiuto di giurare fedeltà ai marchesi di Ferrara).
3. L’avanzata del ceto mercantile e professionale
Come si è visto, i Consigli della Reggio viscontea sono di fatto preclusi alla nobiltà.
Nel 1371-1372 (all’inizio della serie archivistica delle Provvigioni, quasi concomitante con la presa...