La Disfida di Barletta
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La Disfida di Barletta

Storia, fortuna, rappresentazione

  1. 225 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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La Disfida di Barletta

Storia, fortuna, rappresentazione

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13 febbraio 1503, 13 cavalieri italiani si scontrano con altrettanti francesi: è la Disfida di Barletta, un episodio delle Guerre d'Italia, nelle quali il Mezzogiorno fu campo di devastanti battaglie, ma soprattutto un eccezionale evento mito-motore. Attraverso il romanzo di Massimo d'Azeglio, le rappresentazioni cinematografiche, le strumentalizzazioni di epoca risorgimentale e fascista, essa ha contribuito a rinsaldare il senso identitario di una nazione in formazione. In questo volume, per la prima volta in maniera approfondita e precisa, della Disfida sono analizzati i contesti storici, letterari, culturali, oltre che le trasformazioni evolutive e deformanti delle sue narrazioni e raffigurazioni, che l'hanno resa un inestimabile patrimonio della memoria collettiva locale, europea e mediterranea.

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788833132679
Argomento
Storia
La fortuna
Sebastiano Valerio

Antonio Galateo e il “mito” umanistico della Disfida

La fortuna critica di Antonio Galateo ebbe, a metà dell’Ottocento, un improvviso risveglio grazie alla pubblicazione da parte di Angelo Mai di alcune Epistolae selectae inserite nell’ottavo volume dello Spicilegium romanum, che vide le stampe per la prima volta nel 1839.180 Mai, che per primo indicò l’autografia del codice vat. Lat. 7584,181 portò all’attenzione della critica letteraria il caso di un autore che, nel corso degli ultimi due secoli, era rimasto confinato ad una circolazione “provinciale”, che, al massimo, giungeva a Napoli ma che, dopo alcuni importanti episodi cinquecenteschi,182 non aveva mai visto l’onore delle stampe. Le epistole pubblicate dal Mai sono forse quelle di maggiore significato e di maggior peso in quella raccolta delle epistole galateane che rappresentò, come ha scritto Tateo, un vero e proprio testamento del letterato salentino che trovò la morte nel 1517, probabilmente mentre stava ancora lavorando alla silloge.183 Tra queste un posto di rilievo l’ha l’epistola XXIX, indirizzata a Crisostomo Colonna con il titolo De pugna tredecim equitum, in calce alla quale Mai ricorda che si trattava del celebre certamen di cui avevano parlato Giovio, Guicciardini e Vida (la cui opera era stata da poco pubblicata), ma aggiungeva che in modo specifico meritava fede la narrazione del Galateo che scriveva «illis ipsis diebus», per quanto poi le preoccupazioni del religioso lo inducessero a ricordare come l’età moderna dovesse rifiutare l’assurdo e bestiale modo di fare duelli, non consentito né dalla religione né da un sano consiglio («absurdum hunc et ferinum privatorum certaminum morem, quem nec religio nec sanum consilium patiuntur»),184 forte dell’opinione in materia di Scipione Maffei, e intervenendo ancora in nota a specificare che il parallelo che Galateo aveva fatto tra quel duello e lo scontro tra David e Golia era del tutto inopportuno, viste le diverse finalità.185
Il secondo episodio che nel corso dell’Ottocento restituì ampia circolazione all’opera del Galateo è la pubblicazione, con traduzione in calce, dell’intera opera avvenuta per volontà dello studioso salentino Salvatore Grande nella «Collana di opere scelte e inedite di scrittori di Terra d’Otranto», che vide le stampe tra il 1867 e il 1875. Mi interessa qui in modo specifico una lunga recensione che Luigi Capuana fece al primo volume nel 1867, poi raccolta in Il teatro contemporaneo. Saggi critici.186 Qui Capuana proponeva una lettura dell’opera dello scrittore salentino che risentiva fortemente del clima risorgimentale e dall’estetica romantica di impianto giobertiano, mettendo in evidenza la portata nazionale, patriottica di quegli scritti, cosa ovviamente estranea al Mai, ma anche ai precedenti commentatori, più attenti alla dimensione erudita degli scritti del Galateo. Capuana scrive che
Galateo, in mezzo agli errori d’ogni sorta che sconvolsero l’Italia dal 1450 al 1517, sembra la espressione dell’ideale verso cui gl’italiani d’allora dovevano sospirar coll’animo in segreto e in palese. E questo sospiro all’ideale non trasparisce unicamente dai suoi pensieri, ma anche dalla forma con cui esso li esprime.187
La forma, asciutta e lineare, del latino del Galateo, risponderebbe, come è stato notato, «ad una precisa esigenza di chiarezza»188 che porterebbe il Galateo a precorrere forme di scrittura improntate al realismo e alla scienza, rinunciando agli orpelli della retorica. Capuana indica come importante sia proprio l’epistola XXIX dedicata alla Disfida, sottolineando come il Galateo, «nato in terra italiana, non sa frenare i palpiti del suo cuore, quando in mezzo a’ mali di essa vede spuntare un raggio di virtù vera e di gloria»,189 e riportando quindi un ampio brano (unico caso nella recensione) della lettera. Bisogna notare che il forte apprezzamento di Capuana per l’opera di Galateo verte essenzialmente sul «peso storico straordinario» che le sue opere hanno, con quella che viene definita «una interpretazione negativa che egli fa del suo secolo»,190 filtrata attraverso una sensibilità personale, una schiettezza di sentimenti che fa ricordare i precetti di Sainte-Beuve. Ora, la descrizione della Disfida viene definita appunto una pagina di «storia», che però si chiude con parole che Capuana definisce «uno specchio morale dove si riflette limpidissima la simpatica figura dello scrittore», riferendosi all’episodio, narrato in chiusura dell’epistola dal Galateo, dello “scorno” del monaco francese che aveva benedetto, come un druido, i cavalieri francesi, contrapposto alla compostezza con cui il Galateo, presso la tomba di San Nicola a Bari, aveva invocato i santi cavalieri Giorgio, Demetrio, Martino e Niceta.191
Quando, insomma, Galateo torna all’attenzione della critica nazionale, la narrazione della Disfida assurge ad un ruolo centrale, anche perché in quegli anni centrale è il ruolo della Disfida nella definizione di un carattere italiano. Galateo aveva in verità dedicato due epistole alla Disfida, ambedue indirizzate a Crisostomo Colonna, umanista assai vicino al mondo aragonese. La prima brevissima lettera, la XXVIII, sembra accompagnare un dono, forse un’effigie, un ritratto, un medaglione di Prospero Colonna e di Fieramosca, benché la lettera nel manoscritto autografo riporti nel titolo solo il primo nome. L’accenno al fatto di avere già parlato di costoro fa pensare, più che all’esistenza di altre lettere, alla probabilità che questa lettera, che precede la XXIX, la quale narra accuratamente i fatti della Disfida, possa esserle successiva e che in una fase di risistemazione dell’epistolario sia stata messa prima, per introdurre, con un breve medaglione dei protagonisti principali, la più distesa narrazione storica. Serve in qualche modo a focalizzare il senso dell’evento, attraverso la declinazione delle virtù dei condottieri, e così Prospero Colonna presenta «la cultura, la magnanimità unita alla clemenza, la saggezza unita alla civiltà, l’er...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Occhiello
  3. Frontespizio
  4. Colophon
  5. Fulvio Delle Donne, Victor Rivera Magos, Introduzione. La Disfida, la storia e le sue rappresentazioni
  6. La storia
  7. La fortuna
  8. La rappresentazione: politica, arte, società
  9. Fonti e bibliografia
  10. Gli autori