III. Un cantiere naturalistico barocco
5. Pensare la storia naturale dei nuovi mondi a Roma
1. Animalia mexicana: orizzonti epistemici di un artefatto romano
1.1. Alla fine del 1625, il progetto di commento del De materia medica Novae Hispaniae di Recchi entrava in una decisiva fase di lavorazione. Definitivamente chiara era apparsa la limitatezza delle annotazioni al Dioscoride americano, «nelle quali Terrentio è stato molto secco». La visione della “mirabile congiuntura” barberiniana sollecitava la sensibilità lincea per l’infinita varietà degli esseri viventi e sembrava rendere possibile a Roma un progetto che si proponeva come “moderno”. Non si trattava soltanto di spingersi oltre il raggio dell’ecumene antico, ormai definitivamente allargato alla scala del globo. Piuttosto in gioco c’era la sfida di intrecciare, in modo profondo, il problema della pluralità della natura nel mondo, la prospettiva di un cattolicesimo romano globale e la consapevolezza di una trasformazione dell’uomo di segno ormai pienamente barocco. Il cantiere di produzione naturalistica lincea era in attività da quasi vent’anni, aveva riconfigurato il suo orizzonte di possibilità attraverso diversi pontificati e si doveva ridefinire, a quel punto, nel confronto obbligato con la sua stessa dinamica storia.
Fabio Colonna era stato coinvolto da Cesi in una nuova campagna di descrizione delle piante esotiche americane, sul filo di una comunicazione di lungo corso fra Roma e Napoli, in cui trovavano posto tanto la granadilla urbana di Donato d’Eremita che la papaia orientale di Pietro Della Valle. Il sodale Francesco Stelluti si lanciava allora nella traduzione in volgare dei versi di Persio, pensando a un più ampio intervento naturalistico con l’aiuto della filologia. Cesi continuava a meditare, dal canto suo, su un Theatrum totius naturae, capace di accogliere l’infinita varietà dei fenomeni della vita. L’intenso lavorio accademico nel segno delle api, trovava esito in originali artefatti di carta capaci di intevenire nella complesso scenario della comunicazione fra corte e città. Il foglio grande Apiarium, il libretto antiquariale delle Apes Dianae e la tavola figurata della Melissographia (Fig. 35), prodotti di esplicita destinazione encomiastica, erano oggetti insoliti, la “retorica materiale” dei quali si articolava fra tradizione antiquariale, nuovi strumenti di osservazione e antica tradizione del bestiario del papa. Fra valori epistemici, tensioni estetiche e rivendicazione lincea, non si trattava soltanto di porre l’accademia sotto l’egida pontificia, in ossequio a inaggirabili e sempre cogenti logiche di patronage. Si intendeva ripensare ex novo, piuttosto, il ruolo performativo del natural desiderio di sapere, declinandolo nell’immaginata “magnifica congiuntura” barberiniana. La natura di vecchi e nuovi mondi appariva così, più che mai, risorsa duttile attraverso la quale rinegoziare un posizionamento collettivo e un ruolo di interprete della nuova politica culturale pontificia.
Mentre Animalia mexicana era in piena lavorazione, come cantiere intellettuale ma anche già come prodotto editoriale, usciva l’Exactissima descriptio rariorum quarundam plantarum quae continentur Romae in horto Farnesiano (Roma, 1625). Si trattava di una storia naturale annunciata, in realtà, da tempo, dal «chimico, cioè spagirico et semplicista» farnesiano Tobia Aldini, che l’aveva anticipata nell’avviso «alli benigni lettori» di una elegante tavola celebrativa dedicata alla granadilla, acclimatata negli orti del Palatino «nel quale solo si ritrova» (Fig. 36). Nel frattempo, il «praeclarissimum eruditissimumque» medico Pietro Castelli, frequentatore abituale dei giardini, insieme allo speziale Corvino, era intervenuto sul progetto delle sedici monografie sulle piante esotiche farnesiane. Manipolando, ancora una volta, i registri di pubblicità e segreto, egli lanciava una nuova sfida per l’occupazione dello ...