1. L’ascesa di Pisa
Ahi, Pisa! vituperio delle genti
Del bel paese là dove il sì suona:
Poi che i vicini a te punir son lenti.
Dante, Inferno, XXXIII, 79-81
1. Pisa e Lucca in una nuova organizzazione del territorio
Collegamenti di mare e di terra
La livorosa invettiva di Dante nel XXXIII canto dell’Inferno riportata in epigrafe va letta sullo sfondo delle violente dispute fra le repubbliche cittadine della Toscana dei suoi tempi. All’epoca, particolarmente profonda era la rivalità fra Pisa e la vicina Lucca. Secondo lo statuto di Lucca del 1308 – una fonte contemporanea della Commedia di Dante – dare del “pisano” o del “ghibellino” a qualcuno costituiva una grave ingiuria da punire con l’esclusione dai pubblici uffici, con ammende pecuniarie o con la prigione. E tuttora circola in Toscana il proverbio «Meglio un morto in casa che un pisano all’uscio».
Pisa e Lucca – due importantissimi centri nel medioevo – si trovano ad appena una ventina di chilometri l’una dall’altra. Ma la storia dei rapporti fra le due vicine città rivali non si esaurisce nella loro radicale avversione. Avevano molte cose in comune, ebbero sviluppi complementari e influenze reciproche. L’ascesa delle due città nell’alto medioevo procedette in larga misura parallelamente e fu caratterizzata in maniera decisiva da mutue dipendenze e interazioni. Non si può capire Pisa senza Lucca, e, parimenti, non si può spiegare lo sviluppo di Lucca senza Pisa. Difficilmente nella storia urbana del medioevo è dato incontrare due centri vicini che abbiano conosciuto un’ascesa altrettanto importante ma secondo linee completamente diverse. Così, può essere utile ai fini della nostra ricerca analizzare il percorso che portò Pisa a diventare una potenza marittima e una metropoli culturale nell’alto medioevo in connessione e confronto con la città che sarebbe stata poi sua rivale, Lucca.
Lo specifico quadro delle relazioni fra Pisa e Lucca è legato alla nuova configurazione territoriale assunta dall’Italia nell’alto medioevo. L’invasione dei longobardi nel 568 e le loro conquiste fino alla pace con Bisanzio circa un secolo dopo portarono a un profondo cambiamento della mappa politica della penisola appenninica, dandole il volto che avrebbe mantenuto per oltre un millennio. A differenza degli ostrogoti prima di loro, i longobardi non riuscirono a portare tutta l’Italia sotto il loro controllo. Il loro dominio si impose in maniera pervasiva nell’Italia settentrionale, mentre nell’Italia centrale e in quella meridionale riguardò soprattutto alcune aree interne. Sulle coste invece Bisanzio, grazie alla sua potenza sul mare, riuscì a conservare territori più o meno estesi intorno ad alcune sedi delle sue flotte: in particolare l’esarcato di Ravenna che con il suo territorio circostante arrivava fino alle Venezie e all’Istria, e poi nel Sud parti della Puglia e della Calabria, l’entroterra di Napoli, il ducato di Roma, nonché per un periodo relativamente breve le coste della Tuscia e della Liguria e per un tempo più lungo le grandi isole del Mediterraneo occidentale, e cioè Sicilia, Sardegna e Corsica. Ma queste residuali regioni dell’Impero romano d’Oriente in Occidente, la cui sopravvivenza era dovuta solo ai loro collegamenti marittimi, non erano tenute saldamente in pugno dal potere centrale. Il legame con Costantinopoli andò allentandosi soprattutto in occasione dei contrasti religiosi. Il conseguente processo di emancipazione portò al costituirsi di forme di potere particolari in ognuna delle regioni. Per ricordarne solo due particolarmente importanti: sotto la guida del vescovo di Roma nacque il Patrimonium Petri, che diventerà poi lo Stato della Chiesa; vecchie e nuove città portuali del territorio bizantino si trasformarono a poco a poco in grandi centri commerciali e a volte anche in importanti potenze marittime: Venezia, Amalfi, Napoli e Gaeta rientrano fra queste. Ma la tendenza alla regionalizzazione riguardò anche il territorio dei longobardi. I ducati dell’Italia meridionale e centrale – Benevento e Spoleto – si integrarono piuttosto debolmente nel regno, il quale appare talvolta più che altro una malferma unione di ducati. La distribuzione in regioni a più forte vocazione marittima e in regioni a più marcata impronta continentale, e in generale la frammentazione in entità a forte caratterizzazione locale a seguito dell’invasione dei longobardi, ha influenzato in misura notevole la storia successiva dell’Italia.
Pisa incarna la tipologia dello sviluppo marittimo, laddove la pur vicinissima Lucca incarna quella continentale, peraltro influenzata sotto molti aspetti dalla città portuale. Lucca fu conquistata dai longobardi già all’inizio della loro invasione dell’Italia e divenne capitale di un ducato: una decisione che avrebbe avuto un’importanza duratura, visto il posto di primo piano che Lucca occuperà per molto tempo fra le città della Toscana. La sua funzione di residenza dell’autorità territoriale risale già alla fine del VI secolo. La scelta di Lucca da parte dei longobardi rispondeva a varie motivazioni. Già nella tarda antichità, secondo la testimonianza della Notitia dignitatum, Lucca era uno dei luoghi più importanti d’Italia per la produzione di armi, e in particolare l’unico specializzato nella produzione di spade. Forse per questo gli ostrogoti avevano difeso così tenacemente Lucca contro l’esercito dell’imperatore Giustiniano. Solo nel 553 la città passò a Bisanzio, e appena vent’anni dopo si trovava già in mani longobarde. Di sicuro però anche i problemi legati al traffico ebbero importanza nella scelta di Lucca come sede del duca longobardo. I valichi appenninici delle strade che partivano da Firenze erano nelle mani dei bizantini, e non portavano ai centri del nuovo regno. Per collegare la capitale Pavia con la Tuscia, la strada più conveniente era quella che transitava per il passo della Cisa, più tardi chiamato Monte Bardone, cioè monte dei longobardi. Anche questo passo, attraverso il quale probabilmente i longobardi erano arrivati in Toscana, dovette avere un peso nella scelta di Lucca.
Mentre già poco dopo l’invasione dei longobardi Lucca era divenuta sede di un ducato, Pisa conseguì un ruolo autonomo per vie del tutto diverse. Una lettera di papa Gregorio Magno del 603 all’esarca Smaragdo di Ravenna, il più alto funzionario dell’impero bizantino in Italia, accenna in due brevi passi ai «pisani». Vi si parlava del mantenimento di una tregua appena negoziata, di cui il papa aveva informato i pisani, ma senza successo dal suo punto di vista: «drumones eorum iam parati ad egrediendum nuntiati sunt» («è stato annunciato che i loro dromoni sono già pronti a partire»). La breve notizia offre parecchie informazioni preziose. Prima di tutto ci dice che all’inizio del VII secolo Pisa non era stata ancora conquistata dai longobardi. Poi dimostra una capacità di azione politica dei pisani relativamente indipendente rispetto alle direttive provenienti sia da Roma sia da Ravenna. Infine lascia intendere che la città disponesse di un notevole potenziale di forze militari marittime, fra cui i dromoni. Il dromone – come indica il nome che significa “corsa” – era un tipo di nave particolarmente veloce. Era stato sviluppato nel VI secolo a Bisanzio e fu lo strumento che consentì all’Impero romano d’Oriente di mantenere ancora a lungo la superiorità militare sul mare. Nel 525 il re degli ostrogoti Teodorico fece costruire mille dromoni per la sicurezza del suo regno. Forse i dromoni che nel 603 si trovavano nel porto di Pisa pronti a partire risalivano ancora a questa attività produttiva di Teodorico. Ed è anche possibile che fossero stati radunati in quel porto per la prima volta dai bizantini. Fatto sta che all’inizio del VII secolo i pisani – che su di essi basavano la loro forza militare – potevano presentarsi come una potenza marittima che operava in maniera indipendente.
Per difendersi dai longobardi in avanz...