Il mestiere di storico (2015) vol. 2
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Il mestiere di storico (2015) vol. 2

  1. 275 pagine
  2. Italian
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Il mestiere di storico (2015) vol. 2

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Informazioni sul libro

RiflessioniTommaso Detti, The History Manifesto e la longue duréeSalvatore Adorno, La città laboratorio di storiaDiscussioniAdriano Roccucci, Mariuccia Salvati, Raffaele Romanelli, Teodoro Tagliaferri, Ilaria Porciani, Massimo De Giuseppe, Federico Romero, Valerio Castronovo, Simona Colarizi, Giovanni Gozzini, Connessioni globali e storia transnazionale (a cura di Massimo De Giuseppe e Adriano Roccucci)Rassegne e lettureGiovanni Cristina, Mediterranean-nessPaolo Pombeni, La «lunga» storia contemporaneaSalvatore Lupo, Storie italiane, variegate e tortuoseSilvano Montaldo, LombrosianaAnnaRita Gori, Massoneria, simboli e storiaMargherita Angelini, Franco Venturi tra storia e politicaSimone Neri Serneri, Partigiani in cittàJean-Dominique Durand, Diplomazia vaticana tra guerre e comunismoMemorie e documentiI libri del 2014 / 2CollettaneiMonografieIndiciIndice degli autori e dei curatoriIndice dei recensori

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Informazioni

Anno
2016
ISBN
9788867285877
Argomento
History
I LIBRI DEL 2014 / 2
COLLETTANEI
Risorgimento e unificazione
Francesco Atzeni, Antonello Mattone (sotto la direzione di), La Sardegna nel Risorgimento, Roma, Carocci, XXII-1091 pp., € 95,00
Pier Luigi Ballini (a cura di), Lotta politica ed élites amministrative a Firenze 1861-1889, Firenze, Polistampa, 310 pp., € 18,00
Giuseppe Barone (a cura di), Matteo Raeli. L’uomo, il patriota, lo statista, Acireale-Roma, Bonanno, 253 pp., s.i.p.
Antonio Lerra (a cura di), La Basilicata per l’Unità d’Italia. Cultura e pratica politico-istituzionale (1848-1876), Milano, Guerini e Associati, 616 pp., € 34,50
Prosegue la proposta di storie regionali dell’unificazione che già ha annoverato la Romagna (2012) e la Puglia (2013). I volumi a cura di Atzeni-Mattone e Lerra rendono ora conto di due diversi aspetti della «questione meridionale».
I saggi sulla Sardegna prendono spesso le mosse dal ’700, ma il cuore sta nel periodo che va dal 1820 al 1865. Fu, infatti, quel frangente a dare forma a una Sardegna che, pur sostenendo il moto risorgimentale, risentì dopo la perdita delle autonomie di gravi problemi. Tanto che i direttori dell’opera preannunciano che proprio quei decenni diedero origine alla «questione sarda». Impossibile rendere qui conto di tutti i cinquantasei saggi. Basterà dire che sono presenti i migliori risultati della risorgimentistica sarda del XXI secolo, memore dei «maestri» ma anche rinvigorita dagli scavi archivistici e dalle riflessioni metodologiche.
Un cenno a parte merita il lunghissimo contributo di Mattone, che si sofferma sull’iter contrastato dello smantellamento degli usi collettivi offrendo un quadro articolato di quella che si presentava come l’incapacità dei torinesi a far sì che nell’isola decollasse una moderna economia senza danno per le vocazioni produttive. Rovinata la pastorizia, messa la proprietà terriera nelle mani di assenteisti, introdotti massicciamente gli interessi dei genovesi, i governi subalpini imposero spesso una modernizzazione tanto traumatica quanto incompleta.
Ecco perché – ed entriamo nella rassegna degli altri saggi – Cavour ebbe scarsa popolarità tra i sardi. Da rilevare la larga affermazione del mazzinianesimo e del garibaldinismo; un’affermazione che interessò non solo il noto Asproni ma anche universitari di prestigio, intellettuali e scrittori. E se la cultura politica arrivava a fiancheggiare – senza però abbracciarlo definitivamente – il federalismo cattaneano, attecchirono anche il neoguelfismo e poi il rifiuto del potere temporale del papa (nonostante la presenza di un alto clero intransigente). E se nella massoneria si assistette a un amalgama tra proprietari, artigiani e bottegai, nelle campagne si assisteva a un banditismo non compreso nelle sue ragioni strutturali. Se l’intellettualità isolana richiamava il governo alle disfunzioni prodotte, i problemi relegavano l’isola in una considerazione sprezzante da parte dei torinesi. D’altro canto, troppo debole appariva la rappresentanza parlamentare dei sardi; le voci più forti si trovavano all’opposizione e ne pagavano il prezzo; la letteratura e la musica non raggiunsero un’autonoma identità sebbene forte fosse la rappresentazione di una persistente «nazione sarda».
Di culture e di personale politici si tratta soprattutto nel volume sulla Basilicata, che presenta un utile intervento d’insieme di Antonino De Francesco, riferimento di tanti dei giovani autori presenti per i suoi studi sul democratismo meridionale. Ecco dunque che i saggi contribuiscono a dimostrare la lunga tenuta della generazione repubblicana fino al 1848, quando si verificò un avvicendamento; a illuminare i momenti in cui il radicalismo di quella che si era presentata nel 1799 come provincia «democraticissima» fu messo da parte nei luoghi decisionali, per sopravvivere con personaggi che molto avrebbero preparato la vittoria della sinistra storica; a svelare quali furono i limiti e la sfera d’azione di saperi economici, di pratiche della mediazione, di velleità amministrative che dovettero fare i conti con la marginalizzazione della provincia in seno alla monarchia amministrativa prima e alla compagine unitaria poi. Ricognizioni prosopografiche (particolarmente riuscita quella di Gaetano Morese sugli uomini del Consiglio provinciale), traiettorie biografiche, illustrazioni di fondi d’archivio, indagini sui milieux cospirativi e sulla circolazione delle idee, incursioni nella storia delle relazioni diplomatiche: differenti tipi d’intervento contribuiscono ad aggiornare il quadro storiografico di quella che fu una realtà territoriale dalle molte contraddizioni. Terra del democratismo se non del radicalismo, la Basilicata si ritrovò negli anni ’60 a contemplare la reviviscenza dei filoborbonici e un imponente tasso di brigantaggio. Sullo sfondo l’irrisolto problema dei demani, questione destinata a dividere in due il fronte patriottico. Come è consuetudine della collana «Storiografica», il volume ospita anche messe a punto sul dibattito specialistico, confronti esaustivi con la memorialistica, rigorose definizioni dell’ideario politico.
Un convegno ha celebrato a Noto il bicentenario della nascita di Matteo Raeli, con l’auspicio di sottrarre all’oblio questa importante figura di giurista moderato e politico della destra storica. I saggi raccolti sotto la direzione di Barone presentano con dovizia di documentazione i vari aspetti della complessa biografia del protagonista, che fu uomo della monarchia amministrativa borbonica, poi deputato e ministro del governo rivoluzionario di Palermo e braccio destro di Ruggero Settimo fin nell’esilio (volontario, nel suo caso) a Malta. Quella di Raeli fu una prolifica attività patriottica che contribuì a ispessire il profilo di quello che sarebbe diventato un uomo chiave della destra cavouriana nei mesi dell’annessione, nella lotta al brigantaggio e in seguito nel contenzioso tra Stato italiano e papato. Raeli fu l’estensore della prima versione della legge delle Guarentigie, ispirate al principio separatista ma anche informate dalla volontà di pacificazione. Non mancano incursioni nella sfera privata, attraverso la lettura del carteggio con la figlia, né ampi affreschi della situazione di Noto, capoluogo di provincia fino al 1865 e quindi, come dimostra il saggio del curatore, città periferica nella vita amministrativa ed economica, privata col declino della destra della classe di governo che l’aveva guidata fin dagli anni del processo risorgimentale.
Va oltre l’affermazione della sinistra storica il volume curato da Ballini, primo esito di una ricerca condotta dal Centro Sidney Sonnino. Dopo saggi introduttivi sulla cultura di governo della consorteria (che ci informano sulle manovre economiche e sulla politica scolastica nel periodo dell’autonomia), si entra nel cuore della ricerca con tre ampi studi che ripercorrono le elezioni e la vita amministrativa fiorentina. Si viene a sapere della tenuta dei candidati della «Nazione», messa in crisi nel 1865 dall’arrivo di homines novi (del commercio, dell’industria, ma soprattutto delle professioni e dell’insegnamento) a seguito dell’innesto della legge sabauda. L’egemonia della consorteria durò inalterata fino al 1871, quando cominciarono a profilarsi gravissimi problemi finanziari e l’ascesa di figure del repubblicanesimo, del radicalismo e del socialismo. Ma soprattutto, quando si rese necessario ai consorti giungere a compromessi con gli eletti clericali, che rappresentarono una novità sempre più vistosa. Il curatore restituisce nell’ampio saggio finale la parabola della prima sindacatura elettiva. Del monopolio terriero e aristocratico rimaneva ben poco, alla fine degli anni ’80; la consorteria non era scesa a patti con liberali più avanzati; i candidati moderati erano suddivisi tra un numero sovrabbondante di associazioni; anche i democratici erano frazionati tra fedelissimi della repubblica e sottoscrittori del programma garibaldino. Alla fine si intravede la fioritura del socialismo fiorentino, gravido di memorie risorgimentali, che largo spazio avrebbe avuto nel secolo successivo.
Maria Pia Casalena
La Grande guerra
Quinto Antonelli, Fabio Bartolini, Mirko Saltori (a cura di), L’ultimo giorno di pace, 27 luglio 1914, catalogo della mostra, Trento, Palazzo Trentini, 25 luglio-12 ottobre 2014, Trento, Società di Studi Trentini di Scienze Storiche, Consiglio della Provincia autonoma di Trento, 132 pp., € 10,00
Giuseppe Barone (a cura di), Catania e la Grande Guerra. Storia, protagonisti, rappresentazioni, Acireale-Roma, Bonanno, 296 pp., € 30,00
Patrick Gasser, Andrea Leonardi, Gunda Barth-Scalmani (a cura di), Guerra e turismo nell’area di tensione della Prima Guerra Mondiale, Merano, Touriseum, 580 pp., € 39,90
Le manifestazioni compendiate nei volumi presi in esame indagano, con differenti focus, l’impatto degli accadimenti bellici su due regioni geograficamente – ma non solo – collocate alle punte estreme della penisola: il Trentino Alto Adige e la Sicilia.
Il testo curato da Gasser, Leonardi e Barth-Scalmani, raccoglie gli atti del convegno internazionale svoltosi a Merano dal 7 al 9 novembre 2013, promosso dal Museo provinciale del Turismo dell’Alto Adige con il lodevole intento di offrire agli operatori del marketing turistico la possibilità di avvalersi della riflessione storiografica sul rapporto tra guerra e turismo in quell’area (Barth-Scalmani). Tra il XIX e il XX secolo, la zona a sud del Brennero aveva costituito un importante luogo di villeggiatura, ma l’irrompere del conflitto determina un brusco arresto dei flussi turistici (Leonardi), mentre hotel, locande e rifugi vengono riconvertiti in luoghi di accoglienza e di cura del personale militare imperialregio e degli ufficiali russi fatti prigionieri (Walleczek-Fritz, Moritz). A partire dal dopoguerra, però, il fenomeno registra una formidabile quanto accelerata ripresa, grazie alle strategie operate dagli albergatori (Zanini) e al graduale dirottamento di finanziamenti dalle reti ferroviarie alle strade (Strangio), costruite durante la guerra anche grazie all’uso dei prigionieri (Residori). Dopo la conferenza di pace di Versailles, lo spazio turistico alto-atesino si ricompone nella nuova regione dolomitica, una sorta di zona «franca» in quanto «contigua ma non direttamente coinvolta né nelle tensioni politiche e culturali d’anteguerra, né dagli interessi economici già consolidati nel turismo» (p. 288). Tuttavia, a partire dagli anni ’20 in questi territori si realizza una torsione nazional-reducista nella gestione dei rifugi (Morosini) e nella percezione della montagna (Battilani e Palla) strettamente legata al mutamento della clientela, sempre più nazionale e sempre meno mitteleuropea.
Il volume curato da Antonelli, Bartolini e Saltori focalizza lo sguardo sull’area trentina, e accompagna la mostra organizzata dal Consiglio della Provincia autonoma di Trento e dalla Società di Studi Trentini di Scienze Storiche. Il lavoro svela tutte le contraddizioni di una società che a passi veloci si dirige verso un destino inesorabile, malgrado la stampa tenti fino all’ultimo di ostentare una finta quotidianità. Già nei primi giorni di guerra, la pace diviene l’oggetto del cortocircuito della memoria dei soldati al fronte, che nei diari o nelle lettere che inviano ai familiari rimpiangono un tempo idealizzato e astorico, laddove altre tipologie di documentazione proposta evidenziano, invece, problematiche socio-economiche strutturali, non innescate dal fragore delle armi (Antonelli).
Frutto dell’omonimo convegno tenutosi a Catania nel maggio 2014, nel libro curato da Barone si analizza la cesura che la Grande guerra produce nel circolo virtuoso – in termini economici, politici e culturali – avviatosi in età giolittiana in questa importante realtà meridionale. Sin dai primi anni del ’900 la «Milano del Sud» diviene centro di sperimentazione di un originale modello interclassista di gestione urbana (Barone); a promuoverlo è Giuseppe De Felice Giuffrida, sindaco, deputato e, dopo la morte del ministro degli Esteri Di San Giuliano, «la personalità più rappresentativa della mediazione tra il centro nazionale e la “periferia catanese” […] per tutto il corso della guerra» (p. 97). Il gruppo «popolare»...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. INDICE
  5. RIFLESSIONI
  6. DISCUSSIONI
  7. RASSEGNE E LETTURE
  8. MEMORIE E DOCUMENTI
  9. I LIBRI DEL 2014 / 2