Putin e il mondo che verrà
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Putin e il mondo che verrà

Storia e politica della Russia nel nuovo contesto internazionale

  1. 341 pagine
  2. Italian
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Putin e il mondo che verrà

Storia e politica della Russia nel nuovo contesto internazionale

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Per quanti negli anni della Guerra fredda si erano assuefatti a considerare la Russia nelle vesti di superpotenza non è stato facile adattarsi all'idea che il suo ruolo nel mondo post Guerra fredda sia stato spesso quello di comprimario solo in alcuni casi capace di svolgere un ruolo attivo nel "nuovo disordine mondiale". Per il suo passato, le dimensioni geografiche, la cultura politica, la Russia resterà sempre un paese unico, chiamato a affrontare problemi comuni a quelli di molti grandi paesi del mondo contemporaneo, che non difendono lo status quo, né puntano a una sua revisione; piuttosto agiscono da riformisti, impegnati nella gestione di un ordine internazionale in continua trasformazione.La constatazione ci riporta all'interrogativo di fondo: la Russia sarà protagonista del XXI secolo come lo è stata del XX? Nonostante i molti problemi irrisolti della transizione post comunista, la Russia fa parte del ristretto numero di paesi che possono ambire a stabilizzare il "disordine mondiale", o a renderlo definitivo. Osservarla più da vicino è quindi passaggio obbligato per non farsi cogliere di sorpresa dai problemi di formazione del mondo che verrà.

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Informazioni

Anno
2018
ISBN
9788833130712
Argomento
Storia
Categoria
Storia russa

1. Il mondo post

1. In che mondo viviamo?
Nel 1944, venticinque anni dopo il Trattato di Versailles, la Seconda guerra mondiale volgeva al termine e le potenze vincitrici erano impegnate nella formazione di nuove istituzioni e di un nuovo ordine internazionale. Nel 1970, a venticinque anni di distanza dalle Conferenze di Jalta e Potsdam, la distensione era entrata nella sua fase più alta, culminata nella firma del primo accordo Salt e dell’Atto finale di Helsinki, entrambi ispirati dalla convinzione che il riconoscimento dello status quo territoriale e militare fosse preferibile ai tentativi di una sua revisione unilaterale. Oggi, a più di venticinque anni dalla fine della Guerra fredda e dal crollo dell’Unione Sovietica, non siamo ancora in grado di prendere decisioni a livello globale sulle grandi questioni che riguardano il nostro futuro, né abbiamo una visione condivisa di quali esse siano.
Il sistema della Guerra fredda non è mai stato il migliore dei mondi possibili, né è stato immune da pericolose crisi, ma ha offerto un quadro di riferimenti stabili nell’interpretazione del presente e nella previsione del futuro sino a quando l’imprevisto crollo dell’Unione Sovietica ha imposto la revisione delle categorie storiche con le quali sino ad allora era stato interpretato il mondo. Oggi è chiaro che l’impegno per formare un nuovo ordine internazionale è approdato a esiti provvisori. Profezie politiche e provocazioni intellettuali formulate al momento della scomparsa del mondo bipolare sono state smentite dal corso degli eventi. La Storia non è finita.
La tesi della «fine della Storia» ha trovato la sua esposizione più popolare nella versione che nel 1992 ne dette Francis Fukuyama, secondo la quale il capitalismo e la democrazia occidentale avrebbero riportato una vittoria resa totale dalla scomparsa di alternative sistemiche praticabili, e il loro trionfo avrebbe garantito all’umanità un futuro di pace e di benessere.1 Venti anni dopo, l’ottimismo iniziale si era trasformato in un grido di allarme. Statistiche rassicuranti comunicavano che il numero degli Stati democratici era in aumento, all’orizzonte non si scorgevano ancora ideologie alternative, il mondo non attraversava una crisi paragonabile a quella interbellica descritta da Edward Carr,2 ma lo stesso Fukuyama riconosceva che il kantiano triangolo della pace – democrazia, commercio e istituzioni internazionali – non era riuscito a scongiurare nuove guerre, né ad assicurare a livello globale la supremazia della democrazia politica sulle pratiche dell’economia, spesso poco attente all’interesse comune.3 Un numero crescente di saggi e interventi pubblici segnalava la divaricazione fra diffusione della democrazia e consolidamento dello Stato di diritto; fra globalizzazione economica e finanziaria e diffusione di Stati canaglia o semplicemente falliti; fra l’ascesa di nuove potenze e la conservazione all’interno delle principali istituzioni internazionali di equilibri e regole stabiliti negli anni della Guerra fredda, e soprattutto l’esaurimento del momento unipolare della politica internazionale, che impediva alle trasformazioni in atto di avere una guida sicura.4 A temperare il pessimismo era la constatazione che non vi era stato alcun grande scontro di civiltà del genere preconizzato da Huntington, con la sua scia di grandi e piccoli conflitti, e gli Stati Uniti non si trovavano nella condizione di «lonely superpower» fronteggiata da una «anti-hegemonic coalition» prevista dallo studioso americano.5
All’inizio del XXI secolo il mondo non era più bipolare, non era divenuto unipolare, ed era regolato dalle organizzazioni internazionali create dopo la Seconda guerra mondiale che, con l’importante eccezione del Patto di Varsavia, erano rimaste tutte in attività, affiancate da un numero crescente di organizzazioni regionali e settoriali formatesi in epoca successiva, con composizione e funzioni variabili nel tempo, in coerenza con la loro natura di strutture nate come risposta ad hoc a problemi specifici. Non era compito dei più facili trovare una definizione che ne sintetizzasse i caratteri di fondo, come era accaduto nel secondo dopoguerra con la metafora semplificatrice della Guerra fredda. Fra le tante formule usate per definire il mondo in cui viviamo, quella del “nuovo disordine mondiale” meglio di altre si presta a cogliere il carattere frastagliato e fluido delle attuali relazioni internazionali. La sua accezione non è necessariamente apocalittica e si sovrappone persino a quella di un altro termine ormai divenuto di largo uso: governance globale.6 La crisi dell’ordine liberale mondiale è oggi tema ricorrente dei dibattiti politici e delle analisi specialistiche, ma forse più che di crisi si dovrebbe parlare di fine dell’illusione che il mondo potesse essere governato da un unico centro, in grado di concepire e realizzare scelte strategiche di lungo periodo. Il mondo reale ha funzionato grazie a una combinazione postmoderna di pragmatismo, eclettismo e agnosticismo, che ha favorito l’integrazione di paesi ai margini del sistema internazionale, la cooperazione di Stati con diversi sistemi istituzionali e diseguali livelli di sviluppo, la coesistenza di attori statuali e privati e la formazione di nuove organizzazioni regionali, ma ha anche indotto a procrastinare la riforma dell’Onu, la formazione di un sistema di sicurezza mondiale, la soluzione dei problemi legati alla difesa dell’ambiente e alla definizione di nuove regole per l’economia globale. La riscoperta neomodernista del nazionalismo e della tradizione non ha sciolto il nodo della contraddizione fra una globalizzazione che ha beneficiato molti, pur allargando l’arco delle disuguaglianze fra paesi e strati sociali, una sovranità che risponde ad aspirazioni diffuse di tutela da regole imposte dai paesi più forti e avanzati, e la difesa dei valori della democrazia e dei diritti umani, che ha coinvolto solo un numero limitato di paesi, e in modo non sempre profondo e irreversibile.7 Viviamo in un mondo nel quale tutti i principali attori della politica internazionale riconoscono l’esistenza di problemi di natura globale, quali la difesa dell’ambiente, la regolamentazione dell’emigrazione, la garanzia della sicurezza interna e internazionale, la diffusione delle scoperte scientifiche e tecnologiche, che possono essere risolti solo con un impegno congiunto della comunità internazionale, guidata dai principi di razionalità, trasparenza dei processi decisionali, normatività delle scelte, apertura del sistema internazionale all’ingresso di nuovi protagonisti. Allo stesso tempo le novità principali giungono dai contesti regionali, dove si sono formate molte nuove organizzazioni, cementate, con l’importante eccezione della UE, da interessi più che da valori comuni. Antiche rivalità e tensioni non sono state rimosse, ma per ora sono contenute da questo involucro protettivo. Elemento di stabilizzazione in questo contesto è l’assenza di alternative ideologiche globali al “disordine mondiale”. Non lo è l’Islam radicale dello Stato islamico, di Al Qaida e dei salafiti. Non lo sono la Cina, l’India, il Brasile, per ora riluttanti attori globali che hanno evitato di contrapporsi apertamente alle ambizioni unipolari degli Usa, ma dichiarano il loro impegno per la formazione di un mondo multipolare. Non lo è la Russia, la più decisa nell’indicare nella sovranità l’asse attorno al quale organizzare l’ordine internazionale, senza ambire alla formazione di un fronte antioccidentale. Obiettivo tattico, di più corto respiro, della diplomazia russa è piuttosto spostare il confronto internazionale dai temi della democrazia e dei diritti umani a quelli dell’ordine, della sicurezza, del rispetto del diritto internazionale.8
Non vi è nulla di sorprendente in tutto questo. Il sistema internazionale del post Guerra fredda è più duttile e rappresentativo di quello che lo ha preceduto, ma ha un lato oscuro espresso dal “G-Zero World”, incapace di prendere decisioni durevoli e universali, ben descritto da Bremmer e Roubini. E se oggi la possibilità di una guerra su larga scala è remota, e la competizione fra grandi potenze è economica più che militare, lo spettro del protezionismo che aleggia su molte esperienze multipolari e organizzazioni regionali, le crepe che si stanno aprendo nel multilateralismo, la fortuna della vaga formula della guerra ibrida ci ricordano che «l’era G-Zero produrrà prolungati conflitti con maggiore probabilità di qualsiasi cosa che assomigli a una nuova Bretton Woods».9
2. La Russia: ancora un enigma?
Per quanti, specialisti e non, negli anni della Guerra fredda si erano assuefatti a considerare la Russia nelle vesti di superpotenza, dalle cui azioni dipendevano le sorti del mondo nel corso di buona parte del XX secolo e dell’Europa negli ultimi tre secoli, non è stato facile adattarsi all’idea che il suo ruolo nel mondo post Guerra fredda sia stato spesso quello di comprimario che si è adattato al corso degli eventi, e solo in alcuni casi ha svolto un ruolo attivo nella formazione del “nuovo disordine mondiale”. Né è stato semplice accettare che la Russia abbia affrontato problemi comuni a quelli di molti grandi paesi del mondo contemporaneo. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, la nuova Russia ha dovuto ridefinire gli interessi nazionali e i paradigmi della sicurezza interna ed esterna, rinunciando alla bussola della competizione per l’egemonia su scala planetaria, un’ambizione che ormai solo gli Usa potevano avere. In circostanze meno drammatiche, molti altri Stati e organizzazioni internazionali hanno dovuto compiere la stessa operazione. Alla metà degli anni Novanta del XX secolo, la Russia ha reagito a una devastante crisi economica e a una presidenza inadeguata rinunciando a porre sogni revanscisti al centro dell’agenda internazionale. In una forma o nell’altra, è divenuta membro di quasi tutte le più importanti organizzazioni internazionali, e ne ha formate di nuove. Oggi, per territorio e forza militare, la Russia può ambire a un ruolo globale, mentre lo stato dell’economia, il declino demografico e, per alcuni, il limitato soft power gettano ombre persino sulla capacità di esercitare una egemonia regionale. A eccezione degli Stati Uniti, si trovano in questa condizione spuria tutti i maggiori protagonisti della politica internazionale, che non difendono lo status quo, né puntano a una sua revisione; piuttosto agiscono da paesi “riformisti”, che si muovono all’interno delle istituzioni esistenti ma ne creano di nuove, dichiarano...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Occhiello
  3. Frontespizio
  4. Colophon
  5. Indice
  6. Introduzione
  7. Avvertenza
  8. 1. Il mondo post
  9. 2. Il futuro non è più quello di un tempo
  10. 3. Alla ricerca del vero Occidente
  11. 4. L’Oriente è vicino
  12. 5. Il lungo addio alla Guerra fredda