Prima di Amerigo
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I Vespucci da Peretola a Firenze alle Americhe

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I Vespucci da Peretola a Firenze alle Americhe

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Se alla fine del Quattrocento i riflettori non si fossero accesi sul navigatore Amerigo, la famiglia Vespucci, forse, avrebbe attirato solo modestamente l'interesse degli storici finendo per rimanere nascosta tra le pieghe della documentatissima storia di Firenze. D'altra parte è ragionevole supporre che, in assenza di Amerigo, l'interesse degli studiosi avrebbe finito per concentrarsi su alcuni Vespucci dal curriculum più significativo di altri nella Firenze medicea.È di questi Vespucci che non conobbero il Nuovo Mondo e che pure lasciarono il loro segno in uno dei centri più dinamici del vecchio, che si occupa questo libro: i Vespucci di cui Amerigo con la sua impresa, probabilmente, potè oscurare la fama, ma anche i soli che, forse, sarebbero stati in grado in sua assenza di assicurare alla casata una certa notorietà.Attraverso l'analisi di materiale documentario inedito il libro ricostruisce l'alveo entro cui la famiglia, inurbandosi da Peretola, gettò le basi della sua presenza a Firenze, rivelando al suo interno, oltre che una familiarità col mondo mercantile, con i commerci e con la navigazione, anche una forte predisposizione per la carriera politica.

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788833131566

1. Da Peretola a Firenze

Memoria e urbanità
A distanza di più di un secolo le molte pagine della Storia di Firenze, alla cui stesura Robert Davidsohn dedicò dal 1896 in avanti la sua intera esistenza, restano ancora un adeguato, e spesso obbligato, punto di partenza per chi voglia avvicinarsi alla Firenze medievale, alla storia della sua struttura sociale e della sua configurazione politica dalle origini fino ai primi decenni del Trecento.2 Rimarrebbe dunque sorpreso chi, andando a cercare il nome dei Vespucci nel volume degli indici, si trovasse a verificare che esso non vi compare affatto, non essendo mai menzionato in alcuno dei sette volumi precedenti. Lo stupore verrebbe certo molto mitigato dal fatto che, come la storiografia ha ormai chiarito da tempo, nonostante la celebre levatura che qualche erudito di età moderna può avergli attribuito, quando Amerigo venne alla luce il 9 marzo del 1454 nella casa di Ognissanti, la famiglia in cui nacque, per quanto potesse già contare su qualche parentela eminente, non poteva considerarsi tra quelle dei maggiorenti cittadini. Soprattutto non poteva considerarsi tra le più antiche.
Sebbene ormai da alcune decine di anni, a quel tempo, ci fossero diversi nuclei Vespucci residenti nell’area di Ognissanti, nel quartiere di Santa Maria Novella, la loro presenza in città non era di antica data come quella delle piu celebri casate – Scali, Spini, Gianfigliazzi, Tornabuoni, per citarne solo alcune – che in quello stesso quartiere avevano la residenza. I Vespucci infatti si erano inurbati solo nel secolo precedente, quando uno dei loro antenati, originari dell’area comitatina di Peretola, si era stabilito a Firenze nel popolo di Santa Lucia Ognissanti, popolo che costituiva la naturale proiezione in città dal borgo di Peretola sulla direttrice urbana di Porta al Prato, e che sarebbe diventato da quel momento in avanti la loro sede di riferimento cittadina.3 Si trattava di una zona popolare, tradizionalmente residenza di tessitori e lavoranti della lana. Ad essa faceva capo, in origine, la chiesa di Santa Lucia sul Prato di Ognissanti, costruita all’esterno della seconda cinta muraria, inizialmente come una semplice cappella. Nel 1251 il vescovo di Firenze la concesse ai frati Umiliati: la presenza di questi religiosi, esperti nella lavorazione della lana, e la prossimità del fiume, fonte di energia preziosa per tale attività, richiamarono nella zona molti operai tessili, con un conseguente aumento della popolazione. Pochi anni dopo fu edificata dagli stessi Umiliati la chiesa di Ognissanti che, col loro trasferimento, nel 1256, iniziò ad avere un’attrattiva sempre maggiore sui residenti che finì col sostituirsi a quella esercitata fino ad allora da Santa Lucia sul Prato.4
Per i Vespucci, dunque, diversamente dalle molte famiglie che erano state protagoniste dell’ascesa di Firenze nell’età di Dante, spesso responsabili del fazionalismo che divideva la città dugentesca, casate delle cui prodezze belliche e delle cui virtù mercantili Dino Compagni e Giovanni Villani, ci hanno lasciato vivaci testimonianze, si deve considerare un’origine meno antica e, dunque, una storia urbana decisamente più recente.5 Si deve addirittura fare i conti, per questa famiglia, con un’autentica marginalità, almeno fino ai primi decenni del XV secolo, vista la modestissima incidenza che i suoi membri ebbero nella vita sociale della città e la loro scarsa influenza politica almeno fino alla piena età cosimiana.6
Se l’area di insediamento urbano era, come si è visto, assai popolare, Peretola, la zona da cui provenivano, era percepita nel Trecento come una tra le più povere del contado: le cronache trecentesche la descrivono come un luogo acquitrinoso ai margini della città, sovente utilizzato, certo per la sua morfologia ampia e pianeggiante, come alloggio per le milizie e gli sbanditi, come teatro di scorribande e perfino come sfondo ideale per la corsa di un infamante palio delle prostitute.7
Sebbene, in quest’ottica, il caso dei Vespucci e di Amerigo meriti una menzione particolare rispetto ai molti fiorentini che hanno attraversato i secoli, almeno per quella sua rilevanza intercontinentale che ne ha distinto la fama e ne ha fatto il simbolo – anche banalmente (top)onomastico – di un vincolo di filiazione tra la storia di Firenze e quella del Nuovo Continente, l’origine comitatina dei Vespucci è una caratteristica che li accomuna a molte di quelle famiglie fiorentine che godettero di popolarità e fama nel Quattrocento e che, tuttavia, ancora alle soglie del Trecento risiedevano fuori dalle mura. È il caso dei Serristori, che provenivano dall’area figlinese, dei Morelli, dei Niccolini, dei Cambini, dei Neroni, dei Ginori, in parte degli stessi Medici.8 Famiglie, insomma, il cui protagonismo urbano risaliva all’epoca successiva alla peste del 1348, quando alcuni dei loro membri andarono incontro a un rapido e dinamico sviluppo sulla scena politica e sociale del Rinascimento ma che, diversamente dai grandi casati mercantili – Scali, Acciaioli, Mozzi, Spini, per citarne alcuni – risiedevano alla periferia urbana negli anni in cui Firenze aveva conosciuto la sua massima espansione.
Va detto che l’antica origine cittadina era sempre stata, in ogni epoca, un motivo di vanto per i fiorentini. Dante alle soglie del Trecento guardava con sospetto e indignazione a quelli che erano considerati i nuovi ricchi della sua epoca – si pensi per esempio ai Cerchi –, famiglie che un secolo prima, ai tempi virtuosi del suo avo Cacciaguida ancora risiedevano in contado. Nel Paradiso, attraverso il pesante giudizio dell’antenato, Dante dava voce al suo personale sdegno per la maniera repentina in cui famiglie di bassa levatura ascendevano al potere decretando il venire meno di stirpi cittadine ben più antiche e nobili. E così ai Cerchi, nella critica che il poeta affidava alla voce del probo Cacciaguida, era toccato un posto di rilievo: se la corruzione e il disordine morale non avessero aperto la strada a una “balorda” mobilità sociale capace di consentire persino l’ascesa di chi era dedito ad arti vili come quella del cambio e della mercatura, «sarieno i Cerchi nel pivier d’Acone e forse in Valdigrieve i Buondelmonti».9 Di fatto, agli inizi del Trecento, Dante si trovava costretto a riconoscere come i Cerchi originari della Val di Sieve fossero ormai a tutti gli effetti rappresentativi della élite urbana più selezionata. Talmente rappresentativi che nel giro di due secoli la loro visibilità sociale si sarebbe addirittura marcata di un segno opposto, al punto da indurre un altro celebre intellettuale, Leon Battista Alberti, negli anni Trenta del Quattrocento, ad annoverarli tra quelle famiglie che se pure «antichissime e nobilissime di virtù», attraversavano un evidente declino a causa dei rovesci imprevisti della sorte.10 Dunque, al tempo dell’Alberti quando i Cerchi avevano a pieno titolo conquistato la gloria di una consolidata antichità cittadina, i nuovi arrivati erano appunto i Morelli, i Vespucci e quei molti altri inurbatisi tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo e non per questo destinati a minor fama.
Anche alla luce di queste considerazioni è facile capire quanto fosse rilevante comprovare la propria datata appartenenza cittadina e, conseguentemente, come l’origine relativamente recente di una famiglia fosse vissuta, non di rado, dai suoi membri più ambiziosi come un fattore limitante capace di offuscarne la fama e la grandezza a venire. Per tale motivo spesso diveniva fondamentale arrabattarsi alla ricerca di carte private e documentazione pubblica che facessero fede della propria antichità, che permettessero di risalire indietro nel tempo per documentare con la più verosimile precisione (ma al contempo con molta approssimazione), la propria ascendenza e l’epoca a cui risaliva il primo insediamento in città.11 Si badi bene che questa necessità non era indotta da motivi pratici: di fatto l’origine recente non poneva alcun ostacolo reale alle possibilità di ascesa di un individuo. Una volta ottenuta la cittadinanza e l’iscrizione tra i contribuenti non vi era operativamente nessun limite per chi, anche di recente ascesa, avesse voluto partecipare alla vita politica o concorrere all’assegnazione di cariche e uffici pubblici dell’esecutivo.
Si trattava però principalmente di una questione di prestigio formale. Era dunque soprattutto l’ambizione di dimostrare in maniera trasversale la propria ascendenza antica, la propria datata “fiorentinità” che induceva i cittadini più recenti a ricostruire la memoria delle proprie origini e a corredarla di date. Ce ne offre un bell’esempio, uno dei più noti in verità, Giovanni Morelli mercante e scrittore, per l’appunto, di una famiglia emergente, vissuto alla fine del Trecento.12 Nel suo libro di ricordi, nel rammentare le origini della sua casa che al tempo in cui Giovanni scriveva (tra l’ultimo decennio del Trecento e i p...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Occhiello
  3. Frontespizio
  4. Colophon
  5. Indice
  6. Prefazione, di Luciano Formisano
  7. Introduzione
  8. 1. Da Peretola a Firenze
  9. 2. Ascesa e declino tra Albizzi e Medici
  10. 3. Le ambigue controversie del potere: il caso di Piero di Giuliano di Lapo Vespucci
  11. 4. L’uomo di Lorenzo: «Messer Guidantonio che sa in modo fare con esso voi»
  12. 5. Tra Firenze e Peretola, tra ambizione e solidarietà
  13. 6. Considerazioni conclusive
  14. Alberi genealogici
  15. Fonti e bibliografia