1. La Commissione parlamentare d’inchiesta sulle spese di guerra
«Risolvere in modo soddisfacente il problema dei lucri cagionati dalla guerra è [opera] certamente grandemente difficile», scrisse Luigi Einaudi sul Corriere della Sera il 6 ottobre 1916. Sembra opportuno iniziare proprio da qui per analizzare un tema come quello dei lucri indebiti, una delle principali chiavi di volta per comprendere l’importante nodo storiografico rappresentato dal rapporto tra Stato e capitalismo privato. Su di essi, e sul sistema gestionale e organizzativo che li aveva permessi, aveva indagato la Commissione parlamentare d’inchiesta sulle spese di guerra, operando «una delle più importanti inchieste condotte dal Parlamento italiano», l’ultimo grande tentativo liberale di riformare la pubblica amministrazione, il mondo delle imprese e il rapporto che li legava.
1. La nascita e la composizione della Commissione
Già pochi mesi dopo l’inizio delle ostilità, in Italia iniziavano a susseguirsi voci sempre più insistenti sul fatto che alcune industrie private, fornitrici di materiale bellico all’Esercito o alla Marina, stessero realizzando profitti illeciti approfittando delle urgenze di approvvigionamento. Nel 1916 queste voci iniziavano a trovare spazio anche su alcuni pamphlet e su diversi quotidiani del tempo, primi fra tutti l’Avanti!, il Corriere della Sera, La Tribuna e La Stampa. Terminato il conflitto, la grave crisi economica e le note difficoltà sociali avrebbero accresciuto i sentimenti di rivalsa da parte della popolazione verso i cosiddetti “pescecani industriali”, e persino personalità moderate come l’onorevole Meda, che re-incontreremo nella storia della Commissione, sostenevano la necessità di «recuperare all’erario i sopraprezzi che i produttori hanno fatto pagare alle pubbliche amministrazioni e che queste hanno troppo spesso tollerati se non pure incoraggiati». Il tema della conduzione economica della guerra diveniva in questa maniera centrale nella campagna elettorale del 1919, quando Giovanni Giolitti annunciava il proprio ritorno nell’agone politico. Tale problematica si inseriva, tra l’altro, in quell’articolata situazione globale che Wolfram Fischer, tra i numerosi storici che hanno analizzato questo periodo, ha descritto con le seguenti parole:
negli anni immediatamente successivi alla Prima guerra mondiale […] una nuova struttura della economia mondiale era ancora in fase di formazione. Tutto era in forte trasformazione e per gli osservatori dell’epoca e, a maggior ragione, per imprenditori, sindacalisti e politici impegnati nell’azione pratica, il quadro complessivo risultava di difficile se non impossibile interpretazione. […] Nessuno sapeva esattamente se valessero ancora le regole che valevano prima della guerra.
La necessità di comprendere quali politiche adottare rendeva, dunque, fondamentale compiere un’analisi sulla conduzione economica e industriale nel conflitto appena concluso.
È in questo contesto che Giolitti proponeva, fra gli elementi essenziali del proprio programma, il pronto insediamento di una Commissione parlamentare d’inchiesta con cui denunciare «la terribile responsabilità che pesa sopra coloro che gettarono l’Italia in guerra senza prevedere nulla […] e senza neanche ricordare la esistenza di necessità economiche, finanziarie, commerciali, industriali». Nelle intenzioni dello statista piemontese questa Commissione era prima di tutto uno strumento politico facente parte di un progetto di più ampio respiro che, partendo da un fattore spesso strategico come l’indignazione, aspirava a contribuire a riordinare, fin dalle fondamenta, l’intera organizzazione statale italiana e, al contempo, a rinnovare anche la classe dirigente del Paese. Non a caso, lo stesso Giolitti aveva sostenuto che
La terribile guerra, oltre alle gravi condizioni create anche ai vincitori, ha trasformato l’Europa sia dal punto di vista geografico […] sia da quello degli ordinamenti politici […]; ha alterato tutti i valori politici, sociali, economici e finanziari: ha quindi segnato l’inizio di un periodo storico assolutamente nuovo.
La sua scelta di individuare negli industriali la categoria sociale alla quale richiedere i sacrifici maggiori per sostenere il risanamento statale, una decisione dalla forte connotazione politica e morale, era fondata sul «principio di far pagare in più larga proporzione coloro ai quali l’imposta non toglie il necessario, ma solamente diminuisce il superfluo […]», attingendo alle «nuove grandi fortune di fornitori e speculatori, le quali […], anche se onestamente fatte, avendo origine dalla guerra, è giusto che concorrano in più larga misura a portarne i pesi». Tale decisione veniva evidentemente presa in discontinuità con i precedenti governi, prima quello di Orlando e poi quello nittiano, il quale era «orientato a scambiare sacrifici territoriali [il dominio dell’Adriatico, ndr] per prodotti alimentari, carbone e crediti […] per finanziare la ricostruzione italiana». Entrambi, infatti, avevano deciso di non affrontare il tema dei lucri di guerra nella loro completezza.
Vinte le elezioni e costituito il suo quinto governo, il 24 giugno 1920 Giovanni Giolitti si metteva all’opera e presentava una proposta di legge per l’istituzione di una Commissione d’inchiesta sulle spese di guerra. Questo organo aveva, secondo quanto dichiarato nello stesso documento presentato dal Presidente del Consiglio, tre diversi scopi: «conoscere quale somma di oneri finanziari abbia sostenuto il Paese […] ed in qual modo essi siano stati erogati»; imporre «un severo controllo sulla legittimità di detti oneri ed erogazioni» al fine di procedere eventualmente alle «conseguenti reintegrazioni dovute al pubblico erario». La proposta giolittiana, nella quale sarebbe stato inserito dalla commissione parlamentare ristretta a cui era stata consegnata prima del dibattito parlamentare anche il compito di «accertare le responsabilità» morali, giuridiche, amministrative e politiche, veniva tra l’altro accolta in maniera sostanzialmente positiva dalla Camera che, oltre ad alcune marginali proteste, provvedeva a una veloce discussione che si concludeva il 16 luglio, con una votazione che passava, a scrutinio segreto, con 223 voti a favore e solo 13 contrari. Arrivato al Senato, il provvedimento veniva approvato con procedura d’urgenza, nonostante i tentativi di limitare i poteri e i compiti della Commissione stessa. Erano infatti molti i senatori esponenti di quell’elite agraria, industriale e m...