La Curia romana nell'età moderna
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La Curia romana nell'età moderna

Istituzioni, cultura, carriere

  1. 317 pagine
  2. Italian
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La Curia romana nell'età moderna

Istituzioni, cultura, carriere

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Il volume affronta alcuni aspetti del rapporto tra la Curia romana e le realtà ecclesiali e religiose, sociali e politiche, della Chiesa cattolica nell'età moderna: dalla fiscalità spirituale pontificia alle Congregazioni del Sant'Uffizio e dei Riti, fino alle riforme dello Stato e della Curia, nello scorcio del Seicento.Una galleria di «ritratti», dal cardinale Giulio Antonio Santoro a Scipione Gonzaga e Guido Bentivoglio, fino al cardinal nipote Ludovico Ludovisi, ci conduce, dal «gran teatro del mondo» della Roma della Controriforma, alle trasformazioni operate, agli inizi del Settecento, nella cultura del personale curiale attraverso i suoi legami con l'Europa della «repubblica delle lettere».Pagine diverse, che seguono un'intensa stagione storica e che rappresentano un più che ventennale percorso di ricerca, qui offerto nell'intento di sollecitare nuove riflessioni.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788867283156
Istituzioni
I
La Curia romana nell’età moderna
1. Dal Concilio di Trento alle riforme sistine
Dopo la fastosa età di Leone X, le esigenze di riforma della Curia, anche in conseguenza della frattura luterana, divengono più pressanti sotto Adriano VI. Il breve pontificato di Adriano non consentì tuttavia che si andasse al di là della riduzione dei referendari di Segnatura e di qualche timido ritocco alla struttura della Penitenzieria. Lo scoglio contro il quale naufragò ogni tentativo fu rappresentato soprattutto dalla Dataria, mentre agli ultimi isolati atti del pontefice, che colpivano le entrate dei vari uffici e le rendite dei cavalieri di S. Pietro, si accompagnarono le proteste di un cospicuo numero di cardinali e l’ironico Capitolo di papa Adriano, «O poveri, infelici cortegiani», di Francesco Berni, che attesta in ogni caso come, almeno nelle intenzioni, si fosse incominciato a voltar pagina nei confronti di un costume di vita e della pletora dei letterati in auge sotto Leone X. Al vuoto di ogni intervento concreto sulla struttura curiale durante il papato di Clemente VII, su cui incise comunque il Sacco di Roma del 1527, seguirà un momento di parziali realizzazioni sotto Paolo III Farnese. Sarà in particolare una bolla del 1535 a legare la riforma curiale alla ricerca di un consenso più vasto tra i gruppi impegnati nella riforma della Chiesa, dando vita ad una commissione che, presieduta dal cardinale Contarini, elaborerà il famoso Consilium de emendanda Ecclesia (1537). Ancora una volta però sarà la Dataria a costituire l’ostacolo maggiore ad una riforma, per i contrasti insorti nella commissione riguardo all’abolizione delle “composizioni”, mentre qualche consistente passo in avanti verrà compiuto con l’istituzione della prima Congregazione stabile, quella del S. Uffizio della Inquisizione (1542), per la lotta contro l’eresia, e con altri interventi riguardo alla Cancelleria e soprattutto, grazie all’energia di Gian Pietro Carafa, nei confronti della Penitenzieria apostolica.
Sarà appunto sotto il rigido Carafa, divenuto Paolo IV, che la riforma della Curia subirà un impulso determinante, allorché nelle intenzioni del pontefice il progetto di riforma della Curia si inserì in un piano ben più largo e complesso di accentramento dei poteri e di rafforzamento dell’autorità papale. Accanto alla fondamentale decisione del pontefice di creare per il cardinal nipote Carlo la soprintendenza dello Stato della Chiesa per il governo degli affari temporali, è significativo infatti che nel 1557 venissero attribuite alla Congregazione della Inquisizione, nella quale Paolo IV da cardinale era stato membro influentissimo, una vasta serie di competenze già della Penitenzieria, della Cancelleria e di altri tribunali curiali.26 Non senza decisione, seppure con minore drasticità, la linea di papa Carafa verrà continuata dal successore Pio IV e dal cardinal nipote Carlo Borromeo. Le sessioni conclusive del Concilio di Trento con i loro decreti disciplinari creano ora lo sfondo entro il quale si collocano le riforme della Rota (1561), della Penitenzieria (1562) e della Camera Apostolica (1564), nonché la istituzione della Congregazione del Concilio (1564), per l’interpretazione e l’attuazione della normativa tridentina. Contemporaneamente un duro colpo verrà assestato al personale del Palazzo pontificio e ai “familiari” dello stesso pontefice, notevolmente ridotto di numero, mentre andava delineandosi un nuovo clima, che doveva trovare più cospicue realizzazioni durante il pontificato di Pio V. Tra il 1566 e il 1567 papa Ghislieri tenterà in effetti di imprimere ad una Corte e ad una Curia in parte “riformata” un carattere conventuale e severo, consono a chi come lui proveniva dall’Ordine domenicano, e gli ideali di un più rigoroso ascetismo. Non è un caso che l’attenzione di Pio V si rivolga in particolare ad una riforma complessiva della Penitenzieria (1569), in questa seguendo i suggerimenti del Borromeo, e alla istituzione di due nuove Congregazioni, quella dell’Indice (1571), affiancata alla Inquisizione, nel cui ambito prima di divenire pontefice il Ghislieri aveva compiuto una lunga militanza, e quella dei vescovi (1571-1572) – dopo la istituzione della Congregazione del Concilio – per più adeguate forme di intervento in senso centralizzatore e curiale nei confronti della gerarchia ecclesiastica periferica.27
Il cumulo degli affari, gli interessi politici e religiosi sullo scacchiere italiano e internazionale, l’ampliamento stesso delle sfere di intervento, il generale clima post-tridentino fanno sempre più sbiadire, nell’ultimo trentennio del Cinquecento, i modi della Curia dei primi decenni del secolo. Il concistoro rimane ancora un organo collegiale, che vede riuniti il pontefice e i cardinali nei momenti di maggior rilievo nella vita dello Stato ecclesiastico e della Chiesa cattolica e per la provvista dei benefici maggiori (vescovadi o grandi abbazie), ma sempre più si frantuma nelle funzioni delegate alle Congregazioni ordinarie e straordinarie. Queste rispondono al solo pontefice, soprattutto sotto Gregorio XIII (1572-1585), allorché attraverso la rete delle nunziature, la organizzazione dei grandi collegi romani e le missioni in Europa, nel Nuovo Mondo e in Asia, la Curia si trasforma nella centrale operante della Controriforma, caratterizzando un momento avanzato di quel processo che troverà il suo sbocco sotto Sisto V (1585-1590). Accanto all’azione energicamente dispiegata contro le forze centrifughe all’interno dello Stato, come la lotta al banditismo e al baronaggio romano, e alla politica monumentale e urbanistica celebrativa di una Chiesa militante e trionfante, quel che qui interessa dell’età sistina è il poderoso processo di accentramento che si realizza ad opera del pontefice nella Curia romana. La Congregazione del Concilio si vedrà attribuire un più largo potere sull’attività dell’intero episcopato attraverso il ripristino programmatico delle visite ad limina Apostolorum, dapprima effettuate a Roma dai presuli solo per consuetudine, e l’obbligo generalizzato delle relative relazioni sullo stato delle singole diocesi; della Congregazione della Inquisizione e della Congregazione dell’Indice, sul modello di Pio V, verranno ampliati i settori di intervento sino a far rientrare nelle sfere di competenza della prima, con una specifica costituzione (1586), i casi di magia, astrologia, divinazione e fattura. Ma dove l’azione di Sisto V risultò più coerente e incisiva fu riguardo alla riforma del Collegio cardinalizio e di conseguenza riguardo alla radicale riorganizzazione della Curia attraverso il sistema delle Congregazioni.
La bolla Postquam verus (1586) fissava a settanta il numero dei cardinali a ricordo dei settanta Anziani del Vecchio Testamento chiamati accanto a Mosè, mentre una seconda bolla del 1587 definiva ulteriormente sul piano formale le caratteristiche del Sacro Collegio e la qualità dei titoli cardinalizi. Era, questo, il primo essenziale passo sulla linea di una serie di interventi papali, accentuatisi almeno da Paolo III in poi, per la definitiva trasformazione del sistema di governo curiale, sino ad allora fondamentalmente basato, nonostante il graduale accentramento dei poteri nella persona del papa, sul rapporto dialettico tra il pontefice e il Collegio cardinalizio nelle settimanali riunioni del concistoro. Il secondo passo verrà compiuto con la bolla Immensa Dei (1588), che non passò senza opposizione soprattutto da parte dei cardinali Santacroce, Madruzzo e Paleotti. Con essa venne smontato completamente l’antico sistema concistoriale, che fu sostituito da un complesso meccanismo di quindici Congregazioni permanenti (alcune, come quella della Inquisizione, dell’Indice, del Concilio, già esistenti), nove delle quali dovevano occuparsi delle questioni spirituali della Chiesa e sei degli affari temporali dello Stato. Il centro di gravità della Curia passava così dal concistoro alle Congregazioni, per le quali si adottò e si generalizzò il modello della Inquisizione, cui fu preposto un porporato – ma l’Inquisizione continuò ad essere presieduta dal papa – con competenze che si andarono definendo nel corso di riunioni anch’esse settimanali, come quelle del concistoro, ma secondo un sistema policentrico e polisinodale. Questo, se da un lato svuotò il Collegio cardinalizio dei residui poteri reali, senza tuttavia ridurre il peso individuale dei cardinali “politici”, membri di famiglie regnanti e protettori influenti di Ordini religiosi, dall’altro garantì attraverso un meccanismo burocratico, perfezionatosi nel tempo, l’esplicitarsi di un nuovo equilibrio di forze: il quale, se era riflesso dei diversi orientamenti esistenti nel corpo ecclesiale, e se non escluse talora al livello della Curia scelte e scontri anche laceranti, come a proposito del giansenismo e del quietismo, del lassismo e del rigorismo o del gesuitismo, fu in grado di perpetuare, senza una vera soluzione di continuità, i modi di gestione di un variegato e composito gruppo di potere. In effetti, il Cinquecento non produsse una vera e propria riforma amministrativa curiale, ma la istituzionalizzazione di una nuova struttura di governo; e se mutarono le persone e i gruppi del meccanismo, non ne mutarono i modi, poiché all’antica oligarchia ecclesiastica avignonese e rinascimentale non stabile subentrò definitivamente una oligarchia più larga, stabile o tendente alla stabilità, attraverso l’acquisto delle cariche e le diverse forme di cooptazione al suo interno, un sistema caratterizzato anch’esso, come nel passato, da molteplici intrecci aristocratici e finanziari.28
2. Nel «gran teatro del mondo»: il nepotismo papale
Se le straordinarie capacità personali di Sisto V avevano in qualche modo compressa la presenza dei suoi più stretti collaboratori e quella del giovanissimo nipote, il cardinale di Montalto, è con Clemente VIII che il nepotismo papale si dispiegherà ai vertici del potere curiale, per toccare l’apice con i Borghese e soprattutto con i Barberini. Esso rispondeva, in questa fase storica, al di là delle denunzie rigoriste e “politiche” che più tardi gli furono rivolte, alle specifiche esigenze di rafforzamento dell’autorità papale che aveva in quel momento, in cui era sorto il sistema polivalente delle Congregazioni, più che mai bisogno nel governo della Chiesa e dello Stato di uno strumento di coordinamento e di riferimento, oltre che di un tramite presso la stessa persona del pontefice, cioè di uno o più uomini di assoluta fiducia o addirittura del «suo stesso sangue», come si era espresso a suo tempo Paolo IV a legittimazione dell’ascesa dei nipoti Carafa. Ma esso più in generale scaturiva dalle strategie clientelari e familiari proprie di una società aristocratica, assunte e sempre più praticate dai ceti nobiliari della penisola, accanto alla grazia papale, agli interventi dei diversi poteri politici e agli appoggi degli Ordini e delle Congregazioni regolari, elementi determinanti di scelta e di spinta nella formazione dei quadri curiali bassi ed alti, e nello stesso sviluppo delle carriere presso la Corte di Roma.
Questa fase diversa, ma non nuovissima, della realtà della Curia romana, mirabilmente descritta nelle Memorie del cardinale Guido Bentivoglio, e analizzata in un numero sterminato di descrizioni e di “avvertimenti” sulla Corte di Roma, atti a richiamare nella capitale della cattolicità, tra le immagini negative della incerta fortuna e quelle positive delle “protezioni”, quanti, sopratutto tra i piccoli e medi patriziati provinciali italiani, ambivano a progredire nel cursus honorum, troverà il suo primo fulcro, dopo Sisto V, nella politica degli Aldobrandini. In un contesto di più accort...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Occhiello
  3. Frontespizio
  4. Colophon
  5. Marcello Verga e Maria Antonietta Visceglia
  6. Istituzioni
  7. Cultura e devozione
  8. Carriere e mobilità
  9. Opere citate
  10. Indice dei nomi
  11. Quarta di copertina